Non è colpa di Squid Game.
Come proteggere i bambini dai pericoli della Rete
di Simone Cosimi
Non bisogna concentrarsi solo sull'allarme emulazione della serie tv del momento:
online ci sono furti d'identità, truffe, bullismo, odio e pedopornografia.
Rispetto al passato, però, le piattaforme offrono funzioni di controllo,
dal Family Link di Google al Collegamento familiare di TikTok
Secondo i dati dell'indagine EU Kids online 2020 è a dieci anni che i
bambini finiscono col possedere per la prima volta uno smartphone tutto per loro. Ma la realtà è che utilizzano dispositivi e strumenti di ogni genere, dei genitori, di amici e amiche o di sorelle e fratelli, fin dai primi anni d'età, e appunto non sempre sotto la (spesso svogliata)
sorveglianza degli adulti. Attraverso quegli strumenti si immergono nelle mode del momento - basti pensare alla sanguinosa e surreale serie tv sudcoreana
"Squid Game" e
all'ingiustificato allarme emulazione, che ritorna puntualmente quando i problemi sono invece altri - e iniziano a costruire la propria identità in un continuo gioco di sovrapposizione, fra realtà fisica e digitale.
Un sondaggio condotto da Kaspersky in collaborazione con Educazione Digitale, una piattaforma didattica per gli insegnanti, su 1.833 bimbi tra i 5 e i 10 anni spiega che solo il 25% degli intervistati mette da parte il dispositivo quando è in compagnia, per giocare con gli amici senza distrazioni. Basta osservarli, ad esempio, quando sono in gruppo:
smartphone e altri dispositivi sono la porta d'accesso alla comunità locale e alle passioni globali, agli equilibri di comunità e alle tendenze planetarie.
Competenza non vuol dire sicurezzaCompetenza tecnologica non significa però sicurezza. Sempre dall'indagine si scopre ad esempio che i bambini spesso non hanno una
piena consapevolezza delle possibili conseguenze delle azioni commesse online e dei rischi che ne derivano. Un esempio banale? Il 40% ha affermato che risponderebbero tranquillamente alle domande personali del tipo "dove abiti", "dove vai a scuola" o "che lavoro fanno i tuoi genitori", rendendosi di fatto facilmente individuabile nella vita quotidiana. Numeri significativi, se si considera che il 97% degli adolescenti di 15-17 anni usa ogni giorno lo smartphone, così come il 51% dei bambini di 9-10 anni.
Non a caso, nel corso del tempo è cresciuto in modo significativo il numero di bambini e ragazzi tra i 9 e i 17 anni che hanno vissuto in rete e sui social network
esperienze che li hanno turbati o fatti sentire a disagio: si è saliti dal 6% del 2013 al 13% del 2017 secondo Eu Kids online, con numeri da vedere evidentemente al rialzo nell'ultimo quinquennio. Parliamo di contenuti del tutto fuori target, razzisti, divisivi e ricchi di
contenuti d'odio, pornografia, sexting che spesso sfocia nelle cosiddette "sex extortion", e l'onnipresente
bullismo, che colpisce soprattutto le ragazze e i più piccoli.
I genitori devono "sporcarsi le mani"Se da una parte più tempo si trascorre online più si rischia, dall'altra è altrettanto vero che anche le competenze (non solo tecnologiche ma di contesto e appropriatezza, di prudenza e saggezza, tutte categorie immateriali che qualcuno deve insegnare con l'esempio e con la guida) aumentano. Capacità critiche che consentano di
distinguere fonti e notizie vere da quelle false, abilità nel proteggere appropriatamente i contenuti personali e
impostare sistemi di verifica dell'identità sicuri (ad esempio sistemi a due fattori), gestione senza ansie e stress di eventuali crisi e attacchi online: sono capacità che, appunto, maturano nel tempo. E sulle quali
educatori e
genitori dovrebbero insistere fin dall'inizio, "sporcandosi le mani" con i figli o i bambini che sono sotto la loro responsabilità.
Come? Non solo affiancandoli durante le sessioni online, per esempio quando esordiscono su piattaforme che non conoscono, ma anche studiandole e approfondendole per proprio conto. TikTok, YouTube, Instagram, Twitch, Snapchat e molte altre cambiano infatti di mese in mese, accolgono
nuove funzionalità e arricchiscono ciò che si può fare: chi non si colleghi per tre mesi potrebbe per esempio non sapersi più orientare. Per questo
è necessario trascorrerci del tempo da soli per cercare di capire, prima che accadano, quali sono i punti deboli e i rischi in cui un ragazzo o una ragazza potranno incappare. Ma farsi anche spiegare dal proprio figlio le novità, tentando di rafforzare un patto di fiducia.
Studiare gli strumenti delle piattaformeNon solo: accompagnare il proprio figlio online significa anche acquisire ulteriori competenze utili. Spesso, infatti, si punta il dito sulle piattaforme che tuttavia ormai da tempo, e in particolare nel corso dell'ultimo anno grazie alle indagini del Garante della privacy italiano, offrono numerosi
strumenti per controllare la presenza online dei più piccoli, stabilire i tempi di utilizzo, approvare le applicazioni che intendono scaricare, impostare filtri sempre più granulari su quali contenuti visualizzare (ad esempio su YouTube o TikTok), vietare all'account di comunicare con estranei o adulti attraverso la messaggistica interna delle applicazioni (accade per esempio su TikTok), impostare account privati di default fino a una certa età. D'altronde in
Italia la soglia minima per poter accedere a questi servizi è stata stabilita in
14 anni recependo, qualche anno fa, il
Regolamento generale europeo sulla protezione dei dati personali. Ma sappiamo bene, e appunto le richieste del garante lo hanno messo in evidenza, che i social network sono pieni di bambini. E che nessuno li protegge.
Dalle infinite funzioni dell'universo
Family Link di Google, per orchestrare al meglio tutte le piattaforme di Big G, fino al
Safety Center di TikTok, ricco di consigli e indicazioni per approfondire i controlli dedicati alla sicurezza e alla privacy - dalla modalità con restrizioni al collegamento familiare - gli strumenti sono appunto moltissimi. Vanno approfonditi, bisogna spendere tempo nella loro calibrazione, bisogna soprattutto stringere un accordo con i propri figli verso un percorso di progressiva emancipazione dal controllo che terminerà in una libertà consapevole sempre più ampia.
Genitori ed educatori devono portare competenze relazionali, certo, ma non possono presentarsi sguarniti all'appuntamento. Servono anche delle conoscenze tecniche: ormai non implementarle è solo questione di scelta, visti i percorsi, i contenuti e appunto i tool messi a disposizione degli adulti per capire e intervenire per tempo sugli effetti collaterali degli ambienti digitali da una parte e dall'abuso del dispositivo dall'altra.
NeoConnessi, il progetto di WindTreAnche WindTre ha progettato un percorso di questo genere: si chiama
NeoConnessi ed è una piattaforma pensata per accompagnare scuole e famiglie nel momento delicato in cui i bambini si trovano per la prima volta a possedere uno smartphone o un tablet e a navigare in autonomia. Tante le risorse a disposizione: un
kit didattico per le scuole, un
corso di formazione per i docenti, un
magazine e un gruppo Facebook per i genitori ricco di articoli, approfondimenti, indicazioni tecniche di prevenzione e sicurezza, modelli di comportamento che tengono conto della relazione tra controllo e fiducia, iniziative online e offline. E il nuovo
NeoConnessi Senior dedicato ai nonni, per spiegare in modo semplice e accessibile a tutti come imparare a utilizzare lo smartphone, la rete e le tecnologie digitali in sicurezza. Insomma, gli strumenti per aiutare e accompagnare i ragazzi in un'esperienza sicura sono sempre più numerosi: basta volerli usare.
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