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COVID-19

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view post Posted on 4/4/2020, 10:32
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la serpe in seno al forumismo

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«Terapie a casa, un mix di farmaci Potassio e magnesio per il cuore»

Per fare chiarezza su come affrontare l’infezione,
Regione Lombardia ha istituito una Rete per la valutazione farmacologica
e terapeutica dei pazienti con Covid-19


di Laura Cuppini


Come si curano i pazienti positivi a Sars-CoV-2 in isolamento domiciliare? Sulle terapie efficaci contro l’infezione il dibattito è acceso, anche perché non esistono farmaci approvati contro il coronavirus. Le speranze si sono concentrate su medicinali già noti, non solo antivirali perché un ruolo importante nella Covid-19 è quello della cosiddetta «tempesta citochinica», ovvero una iper-produzione di particolari molecole di natura proteica che scatenano l’infiammazione. Per fare chiarezza su come affrontare il nuovo nemico, Regione Lombardia ha istituito una Rete per la valutazione farmacologica e terapeutica, costituita da infettivologi, microbiologi, farmacologi, ematologi e statistici. Il documento prodotto dagli esperti non è stato ancora presentato ufficialmente.

Professor Scaglione, può anticipare qualcosa?
«Innanzitutto si tratta di indicazioni — che verranno costantemente aggiornate — il cui obiettivo è chiarire dubbi in merito alla gestione quotidiana del paziente con Covid-19». Francesco Scaglione, professore di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano e farmacologo clinico presso l’Ospedale Niguarda, è tra gli esperti incaricati di mettere dei punti fermi sulle terapie che hanno mostrato, ad oggi, prove di efficacia nei confronti della patologia scatenata da Sars-CoV-2.


Quali sono quindi i farmaci che funzionano davvero?
«Siamo partiti da una riflessione: un ruolo-chiave è quello del meccanismo di eccessiva infiammazione associato a una sindrome da rilascio citochinico. Basandoci su questa rilevazione, e nell’ottica di prevenire le forme gravi nei pazienti in isolamento domiciliare, abbiamo messo a punto una proposta di terapia da seguire a casa, economica e che potrebbe essere facilmente prescritta dai medici di famiglia. La combinazione è la seguente: idrossiclorochina (un vecchio farmaco antimalarico), azitromicina (antibiotico con effetto immunomodulante) e celecoxib, antinfiammatorio con attività nei confronti della ciclo-ossigenasi di tipo 2 (COX-2, enzima che determina il rilascio di citochine). Sono stati ipotizzati due dosaggi diversi di idrossiclorochina per gli under 65 senza fattori di rischio e per i soggetti over 65 e/o con patologie concomitanti. Tutti i pazienti dovrebbero assumere supplementi di potassio e magnesio per scongiurare il rischio di aritmie cardiache, possibile effetto collaterale della combinata idrossiclorochina-azitromicina».

I farmaci anti-Hiv, di cui si parla tanto, non sono citati.
«È stata una scelta precisa: l’esperienza maturata nei centri clinici lombardi in merito all’uso di lopinavir/ritonavir (e altri medicinali che agiscono in modo simile) mostra, in una percentuale rilevante di pazienti, una scarsa tollerabilità alla terapia e inoltre c’è una diffusa percezione di mancata efficacia. Lopinavir, così come darunavir, sono farmaci pensati per colpire un bersaglio tipico del virus Hiv, che in Sars-CoV-2 non c’è».

Cosa consigliate per la gestione dei pazienti con forme gravi di Covid-19?
«Si sta valutando positivamente l’efficacia dei farmaci biologici (tocilizumab, sarilumab, anakinra), da somministrare in ospedale, valutando ogni singolo caso, e sotto stretto controllo medico».

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Coronavirus, non solo tosse e febbre:

tutti i segnali del Covid-19


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Covid-19 una malattia dai mille volti. Lo sanno bene i medici di ogni parte del mondo che stanno curando i contagiati, e che ogni giorno imparano qualcosa in più sugli effetti del nuovo coronavirus, sui sintomi e i 'danni' che provoca all'organismo umano. Dunque a tosse e febbre, i primi 'segnali' registrati in ordine di tempo, si sono aggiunti con il passare dei giorni la perdita dell'olfatto, spesso associata alla mancanza del senso del gusto, ma anche - più recentemente - sintomi gastrointestinali, dermatologici, cardiaci. A descrivere le diverse forme cliniche con cui si manifesta l'infezione, ma non solo, sono le pubblicazioni scientifiche che 'lievitano' di giorno in giorno.

Lavori scientifici che evidenziano anche la complessità del profilo clinico e biologico di alcuni pazienti: ad esempio sono stati illustrati casi di infezione asintomatica in alcune persone che presentavano però, dal tampone naso-faringeo, una carica virale simile a quella osservata nei pazienti sintomatici. Allo stesso modo, ci sono stati casi di pazienti moderatamente sintomatici che avevano anomalie polmonari significative visibili agli esami del torace. Questa una rassegna delle principali pubblicazioni scientifiche, segnalate dal quotidiano francese 'Le Monde', che mostrano la complessità della malattia causata dal Sars-CoV-2 e che aggiungono, di volta in volta, nuove tessere al puzzle ancora molto incompleto delle conoscenze.

INFLUENZA E COVID-19 - Naso che cola, febbre, tosse, lombalgia, affaticamento: i primi sintomi di Covid-19 sono paragonabili a quelli dell'influenza. E' comprensibile che non sia stato facile distinguere tra queste due patologie lo scorso gennaio in Cina, come evidenziato da un caso riportato l'11 marzo sulla rivista 'Emerging Infectious Diseases'. La storia è quella di un uomo di 69 anni ricoverato al China-Japan Friendship Hospital di Pechino per febbre e tosse secca. Il paziente, che si era recato a Wuhan tra il 18 dicembre 2019 e il 22 gennaio 2020, ha iniziato a manifestare sintomi il 23 gennaio. Lo scanner toracico ha poi mostrato immagini anomale del polmone destro. Il suo recente viaggio nella città epicentro dell'epidemia allerta l'assistenza sanitaria. I tamponi nasofaringei sono negativi per Sars-CoV-2, ma positivi per l'influenza A.

Il paziente lascia l'ospedale, ma i medici gli chiedono di rimanere confinato a casa. Le sue condizioni cliniche si stanno deteriorando, per cui viene ricoverato di nuovo in ospedale. Gli esami toracici questa volta mostrano un danno polmonare diffuso, che indica una sindrome respiratoria acuta grave. Il quarto test diagnostico Pcr sull'espettorato è ancora negativo. Eseguono quindi una broncoscopia con la raccolta di liquido bronco-alveolare. Sofisticati esami di biologia molecolare rivelano finalmente la presenza di materiale genetico di Sars-CoV-2 nel fluido bronco-alveolare, e il test Pcr (esame della proteina C-reattiva rilasciata nel sangue poco dopo l'inizio di un'infezione, un'infiammazione o un danno ai tessuti), risulta positivo. Questo caso clinico mostra la difficoltà di diagnosticare Covid-19 in caso di falsi risultati negativi su campioni nasofaringei ma positivi per un altro virus respiratorio.

PAZIENTI POSITIVI ANCHE DOPO LA 'GUARIGIONE' - Un'altra situazione complessa è quella dei pazienti curati da Covid-19 in cui il virus Sars-CoV-2 continua a essere rilevabile. I radiologi e i biologi dell'ospedale di Hongnan dell'Università di Wuhan hanno riferito il 27 febbraio sul 'Journal of the American Medical Association' (Jama) il caso di 4 pazienti, operatori sanitari, che erano stati esposti al coronavirus. Tutti hanno un test Pcr positivo e gli Rx al torace mostrano immagini polmonari anormali.

In questi 4 pazienti la malattia di Covid-19 è da lieve a moderata, dunque viene permesso loro di lasciare l'ospedale dopo che l'équipe medica ha osservato la risoluzione dei sintomi e delle anomalie polmonari, nonché la mancanza di rilevamento dell'Rna virale in due serie di campioni di vie aeree superiori a intervalli di 24 ore. A seconda dei casi, tra 12 e 32 giorni trascorsi tra l'insorgenza dei sintomi e la cura.

Non solo: al momento della dimissione dall'ospedale e alla fine della quarantena il test Pcr su campioni respiratori tra il 5 e il 13esimo giorno continuano ad essere positivi. Casi emblematici, questi, che suggeriscono quindi come una piccola percentuale di pazienti curati può ancora essere portatore del coronavirus.

SINTOMI GASTROINTESTINALI - Sono diversi gli studi che descrivono la presenza di sintomi gastrointestinali nell'infezione da Sars-CoV-2. Alcuni casi, registrati in Cina, riferiscono di pazienti Covid-19 che come primo sintomo hanno avuto diarrea e addirittura, in casi più rari, i pazienti hanno solo sintomi gastrici senza quelli respiratori. Pubblicato il 28 marzo sull''American Journal of Gastroenterology', uno studio retrospettivo ha coinvolto 204 pazienti di età media 54 anni. Di questi più della metà, 103 pazienti, ha avuto uno o più sintomi gastrointestinali, in 97 casi accompagnati a quelli respiratori gli altri no. In totale il 18% dei pazienti analizzati ha presentato almeno un sintomo gastrointestinale specifico (diarrea, nausea, vomito o dolore addominale), e spesso ha anche un aumento del livello di enzimi epatici. Gli autori dello studio hanno anche notato che il periodo che intercorre tra l'insorgenza dei sintomi gastrointestinali e il ricovero è significativamente più lungo (9 giorni) rispetto agli altri (7 giorni).

Ma come si spiega questa sintomatologia? I ricercatori avanzano diverse ipotesi. In primo luogo, Sars-CoV-2 è simile al coronavirus responsabile della Sars (Sars-CoV). Entrambi usano il recettore Ace2 come 'porta d'ingresso' nelle cellule che infettano. Il virus della Sars provoca danni al fegato aumentando l'espressione del recettore Ace2 nel fegato, quello del nuovo coronavirus può anche danneggiare, direttamente o indirettamente, il sistema digestivo attraverso la risposta infiammatoria del corpo. Diversi studi hanno anche dimostrato la presenza del materiale genetico del virus nelle feci (fino al 53% dei pazienti analizzati). Infine, la presenza di coronavirus può interrompere il microbiota intestinale, e per questo sono in corso studi per analizzare l'impatto della Sars-CoV-2 sulla flora batterica intestinale.

A conferma della presenza dei sintomi gastrointestinali, c'è anche uno studio italiano, condotto da ricercatori dell'Università Sapienza e Tor vergata di Roma, pubblicato sulla rivista 'Cureus Journal of Medical Science' - che ritiene questi sintomi una importante 'spia' del coronavirus, dal momento che in alcuni casi compaiono prima ancora dei classici problemi respiratori o addirittura restano gli unici sintomi di Covid-19. Da qui l'invito dei ricercatori a non sottovalutarne la comparsa, come spesso accade.

TRASMISSIONE ORO-FECALE - Su questo tema ci sono ancora pochi studi, dunque è difficile trarre conclusioni su una trasmissione del virus attraverso questa modalità. Ma uno studio pediatrico cinese, pubblicato il 13 marzo su 'Nature Medicine', ha mostrato che in 8 bambini il virus era presente nelle feci, mentre i campioni nasofaringei erano negativi. Una evidenza, questa, che lascia aperta la possibilità di una trasmissione oro-fecale da feci infette.

Allo stesso modo, uno studio cinese pubblicato l'11 marzo sul 'Jama', condotto su 205 adulti con Covid-19, ha rilevato attraverso la Pcr la presenza di coronavirus nel 29% dei campioni fecali (44 su 153 analizzati). Particelle virali vitali sono state osservate anche nella microscopia elettronica in quattro campioni di feci di due pazienti che non avevano diarrea.

Infine, uno studio dell'Università cinese di Hong Kong, pubblicato il 28 marzo sul 'Journal of Microbiology, Immunology and Infection', ha evidenziato che Sars-CoV-2 può restare nell'apparato digestivo più a lungo che in quello respiratorio. Il coronavirus infatti scomparve dalle vie aeree all'incirca entro 2 settimane dal calo della febbre, mentre l'Rna virale era talvolta rilevabile nelle feci per più di 4 settimane. Anche in questo caso, la persistenza del virus nelle feci fa propendere sull'ipotesi di una possibile trasmissione oro-fecale. Tutti questi risultati sottolineano ancora di più l'estrema importanza dell'igiene, in particolare il lavaggio delle mani, per evitare - anche se non ancora confermata - una eventuale trasmissione oro-fecale.

SINTOMI DERMATOLOGICI - Molto recentemente, anche le manifestazioni cutanee legate a Covid-19 hanno attirato l'attenzione dei dermatologi. In questo caso di quelli lombardi che, nella fase emergenziale, si sono trovati, come gli altri medici, in prima linea. Le loro osservazioni quotidiane si sono tradotte in uno studio, pubblicato il 26 marzo sulla rivista 'European Academy of Dermatology'. Un articolo anomalo, per questa branca della medicina, perché privo di fotografie, in quanto ai medici era impossibile girare da una stanza all'altra con una macchinetta potenzialmente contaminata dal virus.

In totale, degli 88 pazienti studiati, 18 (20%) hanno presentato manifestazioni cutanee: 8 all'inizio della malattia e 10 durante il ricovero. Si trattava di eruzioni cutanee eritematose (arrossamento), orticaria diffusa o addirittura vescicole, lesioni più spesso concentrate sul tronco che guarivano in pochi giorni, non proporzionali alla gravità della malattia, e che assomigliavano più ai sintomi osservati nelle comuni infezioni virali.

DANNI CARDIACI - Un tema molto dibattuto è quello dell'impatto delle patologie cardiache sulla mortalità da Covid-19, alla luce dei più recenti dati clinici. I primi dati arrivano il 24 gennaio, quando i medici dell'ospedale Jin Yin-tan di Whuan descrivono sul 'Lancet' le caratteristiche cliniche di 41 pazienti cinesi ricoverati in ospedale per polmonite e infettati da quello che all'epoca non aveva ancora un nome, ed era noto come il nuovo coronavirus. Cinque di questi pazienti hanno un coinvolgimento cardiaco acuto, il 12% della coorte presa in esame. Due settimane dopo, il 7 febbraio, un team dell'ospedale Zhongnan di Wuhan riferisce sul 'Jama' le complicazioni sviluppate da 85 pazienti ricoverati per polmonite associati al nuovo coronavirus. Di questi, circa il 16% ha avuto aritmie e il 7% un infarto.

Recentemente è stato confermato che la sindrome respiratoria acuta grave legata al Sars-CoV-2 può talvolta essere accompagnata da un danno al miocardio. Gli studi hanno valutato il livello ematico di marker cardiaci, sostanze normalmente presenti nel muscolo cardiaco, ma che vengono rilasciate nella circolazione solo se il miocardio è danneggiato o necrotico. Medici dell'ospedale universitario Renmin di Wuhan hanno descritto in uno studio pubblicato il 27 marzo sul 'Jama Cardiology' l'importanza delle malattie cardiache in termini di mortalità. Il loro studio ha coinvolto 416 pazienti ricoverati per Covid-19. Circa il 20% dei pazienti ha avuto un danno cardiaco definito da un'elevato aumento nel sangue della troponina, spia di sofferenza miocardica.

Rispetto ai pazienti senza malattie cardiache, quelli che hanno sviluppato questo tipo di lesione erano più anziani (età media 74 anni contro 60 anni). La presenza di una patologia preesistente (ipertensione, diabete, malattia coronarica, insufficienza cardiaca, malattia cerebrovascolare) era più frequente nei pazienti che hanno avuto un coinvolgimento cardiaco. Ma soprattutto, i pazienti con patologie cardiache erano quelli più (il 58%) presentavano un disturbo respiratorio acuto rispetto agli altri (4%). Tra questi, il tasso di mortalità era significativamente più alto (51%) rispetto ai pazienti senza coinvolgimento cardiaco (4,5%).

QUALI I POSSIBILI LEGAMI TRA COVID-19 E CUORE - Si studia, ma resta ancora da capire, come un coronavirus possa provocare un danno cardiaco. Sempre basandosi sulla letteratura scientifica e nulla altro, andando indietro nel tempo, vediamo che nel 2006 uno studio condotto su 121 pazienti colpiti dalla Sars aveva mostrato la presenza di ipertensione nella metà dei soggetti studiati (61 persone). Tra questi, circa il 72% aveva tachicardia, che di solito scompariva spontaneamente e non era associata a un rischio di morte. Una situazione, quella descritta nel 2006, diversa però da con ciò che osserviamo con Sars-CoV-2. Infatti, i cardiologi dell'ospedale Renmin di Wuhan riportano che oltre la metà dei pazienti Covid-19 che hanno sviluppato un danno cardiaco durante il ricovero sono morti.

Ma la questione è ancora molto dibattuta e assolutamente aperta. Diverse evidenze scientifiche hanno mostrato, come anche nella Mers, che il danno cardiaco potrebbe essere direttamente causato dal coronavirus nella misura in cui il recettore Ace2, porta d'ingresso del virus nelle cellule umane, è fortemente espresso nel cuore. Da qui l'ipotesi del coinvolgimento del recettore Ace2 nei danni cardiaci osservati nei pazienti Covid-19.

Non sembra però che le cose siano così semplici. In effetti, un recente studio di anatomopatologia ha scoperto che, all'autopsia, poche cellule infiammatorie risultavano effettivamente infiltrate nel tessuto cardiaco dei pazienti. Inoltre, le lesione miocardiche non sono significative. Sembrerebbe quindi che il virus Sars-CoV-2 non sia direttamente responsabile del danno cardiaco, dunque sono necessari ulteriori studi per determinare se il virus stesso può causare danni al muscolo cardiaco.

LA 'TEMPESTA DI CITOCHINE' - Le cardiopatie acute possono derivare da quella che gli immunologi chiamano "tempesta citochinica", un massiccio rilascio di molecole infiammatorie prodotte dal sistema immunitario, fortemente 'impegnato' a lottare contro un'infezione virale. Questa reazione incontrollata, legata a una sovrapproduzione di questi messaggeri chimici prodotti dalla continua attivazione delle cellule immunitarie (linfociti, macrofagi), è pericolosa per la vita in quanto è responsabile di infiammazione generalizzata, instabilità della pressione sanguigna e deterioramento del funzionamento di diversi organi (insufficienza multiviscerale). I pazienti con Covid-19 ricoverati in terapia intensiva hanno dimostrato di avere alti livelli ematici in citochine, tra cui interleuchina e Tnf-alfa. Queste molecole infiammatorie potrebbero portare alla morte dei cardiomiociti, cellule muscolari cardiache.

I ricercatori del Renmin Hospital dell'Università di Wuhan riferiscono di aver registrato livelli significativamente alti dei marcatori di infiammazione (Crp, procalcitonina) in pazienti con malattie cardiache. Il 27 marzo uno studio pubblicato sul 'Jama Cardiology', condotto da medici dell'ospedale universitario di Wuhan su 187 pazienti Covid-19, ha riportato risultati simili. Circa il 28% dei pazienti ha sviluppato malattie cardiache, definite da un importante aumento dei livelli ematici di T troponina. Gli autori hanno scoperto che la mortalità era significativamente più alta nei pazienti con alti livelli di troponina T rispetto a quelli con livelli normali di questo marcatore cardiaco. Il tasso di mortalità era rispettivamente del 59% rispetto al 9% circa.

Rispetto ai pazienti con livelli normali di troponina T, quelli con alti livelli avevano un più alto tasso di complicanze: distress respiratorio, gravi disturbi del ritmo cardiaco, insufficienza renale acuta, disturbo emorragico acuto. La presenza combinata di malattie cardiovascolari preesistenti e di alti livelli di troponina T è stata associata durante il ricovero a un alto livello di mortalità (69%). Un valore significativamente inferiore (35%) nel gruppo di pazienti che sono con malattie cardiovascolari ma senza alti livelli di troponina T. E ancora: il tasso di letalità era del 13% tra i pazienti senza malattie cardiovascolari preesistenti e con un normale livello di troponina T. Queste informazioni, che arrivano in tempo reale dalla comunità scientifica, sono dunque della massima importanza perché indicano che Covid-19 può non solo aggravare una condizione cardiovascolare preesistente ma anche indurre danni muscolari cardiaci significativamente associati a un aumento della mortalità.

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Vaccino, al via i test: prime dosi a settembre

di Barbara Di Chiara

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“A fine aprile, in virtù dei dati acquisiti nelle ultime settimane, il primo lotto del vaccino messo a punto dalla partnership Advent-Irbm/Jenner Institute/Oxford University partirà dall’Italia per l’Inghilterra dove inizieranno i test accelerati su 550 volontari sani. Si prevede di rendere utilizzabile il vaccino già a settembre per immunizzare personale ospedaliero e forze dell’Ordine in modalità di uso compassionevole, dapprima nel Regno Unito e poi, se il governo italiano lo riterrà opportuno, anche nel nostro Paese”. Lo rivela all'Adnkronos Salute Matteo Liguori, managing director di Irbm SpA, società con sede a Pomezia che sta collaborando, attraverso la sua divisione vaccini Advent Srl, con lo Jenner Institute dell'Università di Oxford (Regno Unito) per la produzione di un siero dal nome provvisorio 'ChAdOx1 nCoV-19'.

Di Lorenzo: "A settembre primi vaccini per categorie a rischio"

“E’ in fase finale – precisa - la trattativa per un finanziamento di rilevante entità con un pool di investitori internazionali e vari governi interessati a velocizzare ulteriormente lo sviluppo e la produzione industriale del vaccino. Parlando a una pubblicazione nel Regno Unito Sarah Gilbert, professore di Vaccinologia all'Università di Oxford sotto la cui responsabilità sono in corso i lavori sul vaccino, ha confermato che avvierà gli studi sull'uomo entro due settimane. I ricercatori hanno dichiarato di aver iniziato a vagliare volontari sani (di età compresa tra 18 e 55 anni) da venerdì, per lo studio che avverrà nella regione inglese della valle del Tamigi. Secondo l’esperta c’è l’80% delle possibilità che il vaccino funzioni”, evidenzia Liguori.

Dei molti progetti in corso all'estero e anche in Italia per trovare uno 'scudo' contro il nuovo coronavirus, spiega ancora Liguori, "il nostro ha tre caratteristiche che lo differenziano: prima di tutto, è un progetto interamente finanziato e non, al contrario di altri, in cerca di fondi per partire. Secondo, ci avvaliamo di una piattaforma tecnologica già approvata e provata per altri vaccini. Terzo, abbiamo creato con Oxford un partenariato non certo improvvisato per lo studio di vaccini: i nostri partner hanno una grandissima esperienza nel campo dei coronavirus. Abbiamo affrontato delle difficoltà per l'aumento della diffusione dell'epidemia a livello europeo, ma è fortissimo da parte di tutti il desiderio di accelerare l'avanzamento del progetto in ogni modo. I nostri collaboratori lavorano anche di sabato e domenica, senza sosta: avevamo detto che i test sull’uomo sarebbero iniziati a settembre, mentre tutto si sta muovendo molto più velocemente”.

“Specialmente in Inghilterra – continua il manager - l’epidemia sta muovendosi a ritmi sostenuti e una volta che si appurerà che il vaccino non è tossico e non mette a rischio la salute delle persone dal punto di vista degli effetti collaterali, c’è la possibilità che si utilizzi per chi è in prima linea, come medici e forze dell’Ordine. Noi invieremo le fiale che produciamo a Pomezia a fine mese, poi ci saranno i test di fase I-II e se tutto andrà bene l’uso compassionevole inizierà a settembre. Anche l’Italia come nazione potrà renderlo possibile, occorre però che subentri una discussione istituzionale per far sì che possa esserci questo interesse da parte del governo. Se lo si può fare in Inghilterra, lo si può fare anche qui, serve solo il coinvolgimento istituzionale e regolatorio che si devono allineare per renderlo possibile”.

Il vaccino è costruito utilizzando una versione non 'pericolosa' di un adenovirus: un virus che può causare una comune malattia simile al raffreddore. L'adenovirus è stato modificato in modo da non riprodursi nel nostro organismo e inserendo all'interno del genoma adenovirale il codice genetico necessario alla produzione della proteina 'Spike' del coronavirus, in modo da permettere all'adenovirus l'espressione di questa proteina in seguito alla somministrazione del vaccino. Ciò comporta la produzione di anticorpi contro la proteina 'Spike' che si trova sulla superficie dei coronavirus. Negli individui vaccinati, gli anticorpi prodotti contro la proteina 'Spike', possono legarsi al coronavirus che è entrato nell'organismo umano ed impedirgli di causare un'infezione.

"Abbiamo una lunga storia di collaborazione con lo Jenner Institute - precisa il managing director di Irbm - su diversi progetti. Loro stanno lavorando da tempo sui coronavirus in generale, con un progetto che hanno portato ora in fase I contro la Mers. Advent ha invece una speciale expertise sull'adenovirus, che è un vettore virale. Abbiamo unito queste due forze per dare una sensibile accelerazione nel cercare di ottenere il prima possibile un vaccino. Lo Jenner Institute a breve ci farà arrivare il materiale virale per lo sviluppo nei nostri laboratori, che metteremo poi in produzione e che nell'arco di prima dell'estate auspichiamo di trasferire a loro per le fasi successive di sperimentazione".

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Coronavirus,

positivi primi risultati remdesivir


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L'antivirale remdesivir si conferma uno dei farmaci più promettenti contro Covid-19. Buoni risultati sono stati ottenuti nei pazienti trattati in un ospedale di Chicago, che partecipa a un trial clinico sull'utilizzo della molecola contro la malattia da coronavirus. Pazienti in gravi condizioni, che hanno mostrato un rapido miglioramento di sintomi respiratori e febbre e che sono stati tutti dimessi in meno di una settimana, secondo i risultati anticipati dal sito di news statunitense 'Stat'.

A Chicago sono stati arruolati 125 pazienti in due trial clinici di fase 3 condotti da Gilead. Di questi, 113 con malattia grave. Tutti sono stati trattati con infusioni giornaliere dell'antivirale. Ebbene, la stragrande maggioranza è guarita ed è stata dimessa dagli ospedali, solo 2 pazienti sono morti, hanno riferito i medici con un certo entusiasmo.

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Coronavirus, Bill Gates pronto a finanziare

la produzione del vaccino per tutto il mondo


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Il fondatore di Microsoft, tramite la Fondazione Bill and Melinda Gates,
intende partecipare allo sforzo per produrre su larga scala
il vaccino sperimentato in queste settimane a Oxford, se si rivelerà efficace


di Chiara Severgnini


Il fondatore di Microsoft Bill Gates è pronto ad assumersi i costi della produzione di un vaccino contro il coronavirus. La Fondazione Bill and Melinda Gates — la più ricca fondazione privata al mondo, fondata nel 2000 dal magnate insieme alla moglie — aiuterà a trovare i soldi necessari perché, una volta messo a punto il vaccino, sia possibile produrlo su larga scala, in modo da coprire le necessità di tutti i Paesi. Lo ha detto lo stesso fondatore di Microsoft in un’intervista al Times. Sul suo blog ufficiale, pochi giorni fa, Gates aveva detto che la situazione che stiamo vivendo «è come una guerra mondiale, tranne che per il fatto che stiamo tutti dalla stessa parte».

L’impegno di Gates
Gates aveva già avvertito dei rischi di una pandemia globale anni fa e descrive quello che sta accadendo con il Covid-19 come il suo «peggior incubo diventato realtà». Il magnate ha detto di essere in contatto con tutti i programmi di ricerca più innovativi sul vaccino, a cominciare da quello avviato dal Jenner Institute dell’università di Oxford con la partecipazione di un’azienda italiana, la Advent-Irbm di Pomezia. «Se (il loro vaccino, ndr) funziona, io ed altri in un consorzio faremo in modo che ci sarà una produzione massiccia», ha assicurato Gates durante l’intervista, lodando la responsabile dell’istituto di ricerca, la virologa Sarah Gilbert. Al momento, il governo Johnson ha dato al Jenne Institute sufficienti fondi perché possa procedere «a vele spiegate», ma il fondatore di Microsoft sta già parlando con le case farmaceutiche perché siano pronte produrlo su larga scala in tempi rapidi nel caso in cui esso funzioni. L’obiettivo, dice, è produrne in quantità sufficienti per il mondo intero. «Fortunatamente», aggiunge, «nessuno di quanti stanno lavorando ai vaccini si aspetta di farci soldi». Gates si aspetta che il Coronavirus Global Response Summit già convocato online per maggio possa raccogliere, tra governi e organizzazioni, più di 6,5 miliardi di dollari per la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione del vaccino.

La ricerca in corso a Oxford
Il team del «Jenner Institute» al lavoro sul vaccino è composto da un centinaio di studiosi, tra cui anche gli italiani Giacomo Gorini (qui la videointervista), Arianna Marini e Federica Cappuccini. I ricercatori di Oxford hanno già messo a punto un primo vaccino sperimentale, chiamato ChAdOxlnCoV-19: si tratta di una combinazione del virus Chadox1 (una versione indebolita di un virus del raffreddore) e di un frammento di dna del Covid-19. La sua sperimentazione sugli esseri umani è partita giovedì 24 aprile su 510 volontari tra i 18 e i 55 anni: tra loro, anche l’australiano Edward O’Neill, che Antonio Crispino ha intervistato qui per il Corriere. Quello di Oxford non è, comunque, un caso isolato: qui potete leggere il nostro approfondimento su tutti i vaccini in corso di sperimentazione nel mondo.

Gates e l‘impegno contro il Covid
Dopo aver rinunciato ai suoi ruoli nel cda di Microsoft, a marzo, Bill Gates è un filantropo a tempo pieno. La sua Fondazione è stata una delle prime a muoversi con decisione nella lotta al coronavirus: da subito ha messo a disposizione 100 milioni di dollari per finanziare progetti ad ampio raggio come i kit per fare il test in casa e ben sette vaccini sperimentali contro il Covid-19. Due di questi sono già in corso di sperimentazione: oltre al già citato ritrovato realizzato ad Oxford, anche l’Ino-4800 (messo a punto Inovio). Niente false speranze, però: prima di trovare quello giusto, ci vorranno mesi. Su questo, Gates è stato chiaro da subito: «Dovremo costruire molte linee produttive per i diversi approcci, sapendo che alcuni di essi non funzioneranno», ha spiegato a marzo in una Ama su Reddit (“Ask me Anything”, un evento digitale in cui qualcuno risponde alle domande degli utenti, ndr). «Avremo bisogno letteralmente di miliardi di vaccini per proteggere il mondo. E i vaccini richiedono test per essere sicuri che siano sicuri ed efficaci», aveva aggiunto il fondatore di Microsoft. Il 12 aprile, Gates ha scritto di suo pugno alcune riflessioni sul coronavirus, con spunti e indicazioni pratiche destinate ai governi sulle strategie migliori per combattere l’epidemia: l’intervento è stato pubblicato anche dal Corriere, potete leggerlo qui.

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Coronavirus,

«tutti i malati sviluppano anticorpi entro 19 giorni.

E non ci si riammala»


Una buona notizia da uno studio appena pubblicato.
Gli anticorpi ci sono in tutti i malati,
ora resta da scoprire se ci proteggono e per quanto.
Intanto smentite le notizie di seconde infezioni: erano falsi positivi


di Silvia Turin

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Uno studio cinese pubblicato il 29 aprile su “Nature Medicine” dà una buona notizia: tutte le persone entrate in contatto con il virus sviluppano anticorpi. Non era scontato ed è un buon punto di partenza per i test sierologici che sono attualmente in circolazione anche in Italia.

Anticorpi in tutti entro 19 giorni
Gli autori scrivono: “Segnaliamo risposte anticorpali acute a SARS-CoV-2 in 285 pazienti con COVID-19. Entro 19 giorni dall’esordio dei sintomi, il 100% dei pazienti è risultato positivo all’immunoglobulina G (IgG) antivirale. La sieroconversione per IgG e IgM si è verificata contemporaneamente o in sequenza. Entrambi i titoli di IgG e IgM hanno raggiunto il plateau entro 6 giorni dalla sieroconversione. I test sierologici possono essere utili per la diagnosi di pazienti sospetti con risultati RT-PCR negativi e per l’identificazione di infezioni asintomatiche”.

Non basta per sapere se siamo immuni
Quindi il 100% dei pazienti trattati ha sviluppato gli anticorpi che risultano essere la “memoria” del nostro corpo all’infezione (IgG) e anche quelli che indicano la primissima risposta all’attacco del virus (IgM). Altro passo sarà quello di capire (con studi successivi) se gli IgG siano anche protettivi e per quanto tempo. Ora se qualcuno risulti avere gli anticorpi, potrà essere sottoposto a tampone per capire se sia ancora infettivo (QUI spieghiamo perché è necessario anche il tampone) e un domani potremmo capire per quando tempo e se sarà immune. “Lo studio di oggi è importante, perché ci dice che chi ha avuto infezione sviluppa gli anticorpi, cosa che qualcuno metteva in dubbio per via delle recidive. Ora però dobbiamo essere sicuri che siano protettivi, e a lungo termine. La notizia comunque è buona, anche in prospettiva vaccino”, ha dichiarato il direttore del dipartimento malattie infettive dell’Iss, Gianni Rezza. «Buona notizia: seppure in quantità variabili, i pazienti guariti da COVID-19 producono anticorpi contro il virus. Questo è bene perché rende affidabile la diagnosi sierologica e, se gli anticorpi fossero proteggenti, promette bene per l’immunità», scrive il virologo Roberto Burioni su twitter.

Gli anticorpi ci proteggono?
Come detto, è una buona notizia e adesso ci restano da capire due altri fattori fondamentali: se gli anticorpi che sviluppiamo sono anche “neutralizzanti” e, se lo sono come si spera, per quanto tempo lo saranno. Per la prima domanda servono ulteriori ricerche che si stanno facendo: bisogna verificare in laboratorio se l’anticorpo si lega a una determinata proteina (antigene) del virus e poi, qualora ciò avvenga, capire se questo legame è sufficientemente saldo da non permettere più al virus di infettare altre cellule. Nelle analisi si tenta proprio di separare antigene e anticorpo per capire se siamo sulla buona strada. Se l’anticorpo è neutralizzante farà da scudo nel caso di un nuovo incontro con il virus.

Quanto dura la protezione?
Ultimo passo è capire quanto durerebbe l’ immunità e per questo servono mesi, nel senso che bisogna controllare a cadenza fissa se chi ha anticorpi protettivi li ha conservati dopo un certo periodo di tempo. Se Sars-Cov-2 si comportasse come i precedenti coronavirus, Sars-1 e Mers, la protezione dovrebbe durare almeno 12-24 mesi.

Non erano recidive
Questo lavoro sugli anticorpi viene pubblicato contemporaneamente a un altro importante dell’Università di Seoul, che in conferenza stampa presso il National Medical Center locale ha spiegato che quei casi che si consideravano “reinfezioni” sono stati invece falsi positivi. Gli studiosi hanno scoperto che i frammenti e i resti dei virus debellati in passato dall’organismo potrebbero essere stati la causa della positività dei test effettuati a distanza di giorni (e a volte settimane) dalla completa guarigione da Covid-19. «Oltre 260 persone sono risultate positive ai test per il coronavirus dopo recuperi completi avvenuti a giorni o settimane di distanza. Abbiamo poche ragioni per credere che si tratti di reali casi di reinfezioni o riattivazioni di Covid-19, è più probabile che i test abbiano rilevato tracce del DNA del virus nell’organismo ospite perché è stato debellato». I Korea Centers for Disease Control and Prevention (KCDC) sostengono che i pazienti guariti che risultati positivi sembrano non essere contagiosi e dalle analisi sembra che non sia stato possibile rilevare virus vivi in tali situazioni».


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Coronavirus, nessuna vittima in Puglia

e percentuale di contagi più bassa da inizio pandemia


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Secondo i dati della Regione Puglia sul coronavirus sono 10 i nuovi positivi
e 2.110 i tamponi effettuati e comunicati per il 15 maggio.
Cinque dei nuovi provengono dalla provincia di Brindisi


di GIANVITO RUTIGLIANO


Pochi nuovi positivi e un'altra giornata, dopo il 9 maggio scorso, senza decessi. Secondo i dati della Regione Puglia sul coronavirus sono 10 i nuovi positivi e 2.110 i tamponi effettuati e comunicati per il 15 maggio (una percentuale dello 0,47%, la più bassa da inizio emergenza; sempre però - è bene ricordarlo - rapportando i nuovi casi al totale tamponi che comprende anche quelli di controllo).

Non si sono registrati nuovi deceduti e il conto totale delle vittime resta quindi 461. I guariti salgono invece a 1.724 (+81 registrazioni rispetto ai dati di ieri), così gli attualmente positivi (casi totali meno guariti e deceduti) scendono a 2.181. Anche i ricoverati totali calano: sono 308 quelli trasmessi, un indice ormai in costante discesa.

Cinque dei casi nuovi di oggi provengono dalla provincia di Brindisi, 4 da Foggia, 1 da Bari. Nessuno da Bat, Lecce e Taranto. "Un caso registrato nella provincia di Lecce nei giorni scorsi è stato eliminato dal database in quanto doppio. - informa la Regione - Il totale dei casi di Lecce passa così a 507. Pertanto, il numero dei casi totali e degli attualmente positivi è incrementato di 9 unità". Proprio il Leccese si conferma penultimo a livello ponderato (casi su cittadini totali) tra le province pugliesi più colpite. L'ultima è Taranto.

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Oms: "Il Coronavirus non è meno patogeno.

Circola di meno"




La dichiarazione dell’Oms arriva all’indomani delle parole
del direttore della terapia intensiva del San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo,
che aveva affermato che “clinicamente il virus non esiste più”


I casi di Covid-19 appaiono oggi meno gravi rispetto a qualche settimana fa. Un’evidenza, questa, su cui i medici concordano e che ha acceso i riflettori sull’ipotesi che la carica virale del SarsCov2 cui la popolazione è esposta possa essersi attenuata grazie alle misure di cautela adottate. Ma questo non significa che il virus sia mutato e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) avverte: il nuovo coronavirus “non è diventato meno patogeno”.

La dichiarazione dell’Oms arriva all’indomani delle parole del direttore della terapia intensiva del San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo, che aveva affermato che “clinicamente il virus non esiste più”. Una posizione che ha suscitato polemiche poiché, hanno rilevato vari membri del Comitato tecnico scientifico (Cts), se non correttamente interpretata, potrebbe indurre i cittadini ad abbandonate le misure di cautela e distanziamento fondamentali in questa fase. In questa direzione anche la posizione dell’Oms: “Dobbiamo essere estremamente attenti a non dare l’impressione che d’un tratto il virus, di sua volontà, abbia deciso di diventare meno patogeno. Non è affatto il caso”, ha avvertito Michael Ryan, capo del programma Oms per le emergenze.

Dire cioè che la carica virale può essersi attenuata non significa dire che il virus è cambiato, afferma anche lo pneumologo Luca Richeldi, componente del Cts. Attualmente, spiega, “il nuovo coronavirus sta circolando di meno, vale a dire che la carica virale in circolazione tra la popolazione si è attenuata e questo è l’effetto sia del lockdown sia delle misure tuttora in essere come uso delle mascherine e distanziamento. Ciò ha determinato un minor numero di casi ed una minore gravità degli stessi”. “Non ci sono invece al momento prove scientifiche che il virus sia mutato”, precisa. Le parole di Zangrillo “vanno dunque intese in questo senso: e cioè - puntualizza - che ciò che abbiamo cominciato a vedere è una diminuzione delle forme cliniche con sintomi gravi tali da richiedere il ricovero in terapia intensiva. Ma i casi che ora vediamo sono meno gravi perché presumibilmente circola meno virus e questo è appunto l’effetto diretto del lockdown e delle misure in atto”. Una prova arriva anche da uno studio condotto dal San Raffaele, citato dallo stesso Zangrillo ed in via di pubblicazione su una rivista scientifica, che ha evidenziato come il virus SarsCov2 si replica molto meno rapidamente ora rispetto a un paio di mesi fa e la carica virale a maggio è 10 volte inferiore che a marzo. Il dato è stato osservato in 200 pazienti ricoverati nell’ospedale milanese.

Parla di un virus divenuto ora “clinicamente irrilevante” anche la virologa Ilaria Capua. Il virus, sostiene, “non è cambiato, siamo noi che siamo cambiati e siamo diventati più bravi a gestirlo”. Adesso il coronavirus, afferma, “si sta comportando come si comportava i primi di gennaio, non se n’era accorto nessuno, e la seconda ondata è legata ai nostri comportamenti”.

L’invito resta sempre però alla massima prudenza. I casi comunque “continuano ad esserci e nulla ci assicura che i casi ora in diminuzione non possano riprendere a crescere se allentiamo le misure di prudenza e distanziamento - ammonisce Richeldi -. Non bisogna cioè indurre le persone a pensare che il virus non esista più, perché questo non è vero e può essere molto rischioso”. Dal canto suo, Zangrillo conferma le proprie affermazioni, sottolineando di non aver mai detto che il virus è scomparso tout court. E rispetto alle critiche delle ultime ore commenta: “Se andiamo a vedere i parametri, io sono molto più scienziato di tanti autoproclamatosi tali nel Cts”.

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Le 12 regole dell'Iss per andare al mare sicuri.

Distanze, termoscanner e divieto di feste in spiaggia


Sul bagnasciuga col disinfettante.
Le raccomandazioni per gli stabilimenti e i bagnanti.
Sì alla musica ma solo con posti a sedere



Ormai lo sanno anche i ciottoli: quest’estate non sarà come nessun’altra. Lo confermano le raccomandazioni pubblicate oggi dall’Istituto Superiore di Sanità su come comportarsi al mare per ridurre al minimo il rischio di contagio. Eccolo, dunque, il nostro vademecum per i mesi a venire.

Per gli stabilimenti e per i bagnanti l’Iss raccomanda di:

1) prenotare l’accesso agli stabilimenti (anche online), eventualmente per fasce orarie, in modo da prevenire assembramenti, e registrare gli utenti, anche per rintracciare retrospettivamente eventuali contatti a seguito di contagi, mantenendo l’elenco delle presenze per un periodo di almeno 14 giorni, nel rispetto della normativa sulla privacy;

2) utilizzare cartellonistica e locandine con le regole comportamentali per i fruitori delle aree di balneazione e i bagnanti per prevenire e controllare i rischi – comprensibili anche per utenti di altre nazionalità;

3) regolamentare gli accessi e gli spostamenti sulle spiagge, anche attraverso percorsi dedicati, e disporre le attrezzature, in modo da garantire in ogni circostanza il distanziamento interpersonale;

4) garantire distanziamento interpersonale di almeno 1 metro tra persone non appartenenti allo stesso nucleo familiare, in ogni circostanza, anche durante la balneazione;

5) controllare la temperatura corporea, ove possibile, del personale e dei bagnanti con interdizione di accesso se questa risulta superiore ai 37,5°C;

6) vietare qualsiasi forma di aggregazione che possa creare assembramenti, quali, tra l’altro, attività di ballo, feste, eventi sociali, degustazioni a buffet;

7) interdire gli eventi musicali con la sola eccezione di quelli esclusivamente di “ascolto” con postazioni sedute che garantiscano il distanziamento interpersonale;

8) pulire, con regolarità almeno giornaliera, le varie superfici, gli arredi di cabine e le aree comuni e sanificare in modo regolare e frequente attrezzature (sedie, sdraio, lettini, incluse attrezzature galleggianti e natanti), materiali, oggetti e servizi igienici, limitando l’utilizzo di strutture (cabine docce singole, spogliatoi) per le quali non sia possibile assicurare una disinfezione intermedia tra gli utilizzi promiscui;

9) non trattare in alcun caso spiagge, terreni, arenili o ambienti naturali con prodotti biocidi;

10) evitare l’uso promiscuo di qualsiasi attrezzatura da spiaggia;

11) dotare i bagnanti di disinfettanti per l’igiene delle mani;

12) fornire disinfettanti e DPI adeguati al personale (mascherine, schermi facciali, guanti) e utilizzare obbligatoriamente DPI in caso di contatti ravvicinati con bagnanti e attività a rischio.

Infine, rimangono valide le seguenti indicazioni per tutti:

- rispetto del distanziamento interpersonale di almeno 1 metro;

- responsabilità di vigilanza sul distanziamento anche dei bambini;

- misure di igiene personale, pulizia e disinfezione frequenti delle mani;

- igiene respiratoria: starnutire e/o tossire in fazzoletti di carta o nel gomito;

- uso di mascherine quando le misure di distanziamento siano di difficile mantenimento (le mascherine dovranno essere smaltite con i rifiuti indifferenziati).

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Vaccino anti Covid, ecco i primi test: “Così funziona”

AstraZeneca-44

Risultati positivi nella sperimentazione a Oxford e in Cina.
I pazienti sviluppano risposte efficaci con pochi effetti collaterali


di Elena DUSI


Due vaccini contro il coronavirus e due buone notizie. Gli inglesi di Oxford e i cinesi di CanSino ci lavorano da gennaio a testa bassa. E ieri entrambi hanno pubblicato i risultati dei loro prototipi di vaccini sulla rivista medica The Lancet. Fra il 90 e il 100% dei volontari cui sono stati somministrati in via sperimentale hanno sviluppato una risposta immunitaria (la quota varia a seconda delle dosi iniettate). Il sistema immunitario, cioè, ha reagito allestendo una difesa contro un eventuale contatto con il coronavirus. Effetti collaterali: braccio arrossato e al massimo qualche linea di febbre.

Il premier inglese Boris Johnson saluta la notizia come «molto positiva». L’Organizzazione mondiale della Sanità fa i complimenti agli scienziati. Il nostro ministro della Salute Roberto Speranza commenta: «Serve ancora tempo e prudenza. Ma i primi riscontri sul vaccino dell’università di Oxford, il cui vettore virale è fatto a Pomezia e che verrà infialato ad Anagni sono incoraggianti». E già si fanno progetti: prime dosi a ottobre per gli operatori sanitari, vaccinazione più allargata a partire dal 2021.

Tutto perfetto? Restano due incognite. A sollevare la prima è la stessa Sarah Gilbert, la scienziata di ferro a capo del team di Oxford. Lei e il suo Jenner Institute oggi sono in pole position, nella corsa a un vaccino che vede impegnati 160 laboratori nel mondo. All’iniezione sperimentale ha sottoposto anche i suoi tre gemelli di 21 anni (fu il marito a lasciare il lavoro per crescerli). La risposta immunitaria c’è, ha spiegato. «Ma non sappiamo quanto questa risposta debba essere forte per proteggere in maniera efficace contro il Sars-Cov-2». Il vaccino ci fornisce soldati contro il coronavirus. Ma saranno sufficienti, e sufficientemente armati, per sconfiggere il nemico? La sperimentazione di Oxford non l’ha misurato.

La seconda incognita riguarda il tempo. «Non basta suscitare una risposta immunitaria. Questa risposta deve essere duratura», aveva fatto notare il virologo Robert Gallo, fra gli scopritori dell’Hiv, in una nostra intervista. «Ma per sapere quanto persista, dobbiamo aspettare che il tempo passi. Non c’è altra soluzione», conferma Andrea Cossarizza, immunologo dell’università di Modena e Reggio Emilia, fra i più impegnati oggi nella lotta al Covid. Solo di recente, per esempio, abbiamo visto che chi guarisce dal coronavirus ha un calo degli anticorpi già dopo due-tre mesi. Si sperava che durassero di più. «Ma l’osservazione non ha implicazioni per il vaccino», rassicura Cossarizza. «La risposta immunitaria suscitata dalla malattia è diversa da quella del vaccino. Solo il tempo ci dirà quanto duratura sarà la protezione di quest’ultimo, e se saranno necessari richiami».

Nel caso di Oxford, due mesi dopo la somministrazione erano ancora presenti anticorpi. «E molto importante — fa notare Cossarizza — è che il vaccino abbia attivato un altro attore fondamentale del sistema immunitario, le cellule T». Non una, dunque, ma due brigate diverse di soldati si sono preparate alla battaglia. «È una buona premessa, anche se non ancora una risposta definitiva sull’efficacia del vaccino». L’Italia, per accorciare i tempi, a metà giugno ha stretto un accordo con AstraZeneca — l’azienda farmaceutica che si occuperà materialmente della produzione — per 400 milioni di dosi da dividere con Francia, Germania e Olanda. La sperimentazione di oggi ha riguardato 1.077 volontari in Gran Bretagna (solo metà, scelti a caso, ha ricevuto il vaccino). Altre 10 mila persone stanno partecipando a ulteriori test in Brasile e Sudafrica, 30 mila saranno arruolate negli Usa. Gli scienziati inglesi temevano che l’epidemia nel loro Paese si fosse ridotta troppo, e che senza circolazione del coronavirus fosse impossibile misurare l’efficacia del vaccino. L’esplosione di contagi nel mondo, almeno su questo punto, li fa stare sicuri.

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Covid: Pfizer, pronti a chiedere il via libera al vaccino

Albert Bourla: 'La richiesta nella terza settimana di novembre'.
La notizia rilanciata dal virologo Roberto Burioni



La casa farmaceutica Pfizer prevede di chiedere l'autorizzazione per il suo vaccino anti-Covid all'agenzia americana Fda nella terza settimana di novembre. E' quanto rende noto l'amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, in una lettera pubblicata sul sito internet della società e rilanciata dal professor Roberto Burioni.

L'ANNUNCIO DELLA PFIZER - "Ci sono tre aree in cui, come per tutti i vaccini, dobbiamo dimostrare di avere successo per ottenere prima l'approvazione per l'uso pubblico — scrive il Bourla — Innanzitutto il vaccino deve essere efficace, il che significa che può aiutare a prevenire il Covid 19 nella maggior parte dei pazienti vaccinati. In secondo luogo bisogna dimostrare che il vaccino sia sicuro, con dati affidabili generati da migliaia di pazienti. Infine, dobbiamo dimostrare che il vaccino può essere costantemente prodotto secondo i più elevati standard di qualità".

"Volevo parlare - prosegue Albert Bourla - a miliardi di persone, milioni di aziende e centinaia di governi in tutto il mondo che stanno investendo le loro speranze in un vaccino sicuro ed efficace per superare questa pandemia. So che c'è confusione riguardo a cosa ci vorrà per assicurarne l'approvazione e, date le considerazioni critiche sulla salute pubblica e l'importanza della trasparenza, vorrei fornire maggiore chiarezza sulle scadenze per Pfizer riguardo al nostro vaccino COVID-19 del partner BioNTech". "Potremmo sapere se il nostro vaccino è efficace - spiega il Ceo - o meno entro la fine di ottobre. Per fare ciò, dobbiamo accumulare un certo numero di casi Covid 19 nel nostro studio per confrontare l'efficacia del vaccino negli individui vaccinati con quelli che hanno ricevuto un placebo. Poiché dobbiamo attendere che si verifichi un certo numero di casi, questi dati possono arrivare prima o dopo, in base ai cambiamenti nei tassi di infezione. Un comitato di scienziati indipendenti esaminerà i dati completi e ci informerà se il vaccino è efficace o meno sulla base di criteri predeterminati. Pfizer continuerà a eseguire il processo attendendo l' analisi finale anche se viene dichiarato efficace in una fase precedente. Condivideremo con il pubblico qualsiasi lettura conclusiva (positiva o negativa) non appena possibile, pochi giorni dopo che gli scienziati indipendenti ci avranno notificato i risultati. Un punto chiave che vorrei chiarire è che se l'efficacia soddisferà solo uno dei tre requisiti, da sola, non sarà sufficiente per noi per richiedere l'approvazione all'uso". "ll secondo requisito è dimostrare che il vaccino è sicuro. I nostri standard interni per la sicurezza dei vaccini e quelli richiesti dalle autorità di regolamentazione sono elevati. Nel caso dell'autorizzazione all'uso di emergenza negli Stati Uniti per un potenziale vaccino COVID-19, la FDA richiede che le aziende forniscano due mesi di dati di sicurezza su metà dei partecipanti alla sperimentazione dopo la dose finale del vaccino. Attualmente stimiamo di raggiungere questo traguardo nella terza settimana di novembre. La sicurezza è e rimarrà la nostra priorità numero uno e continueremo a monitorare e riportare i dati sulla sicurezza per tutti i partecipanti allo studio per due anni".

"Infine, se otteniamo una lettura positiva dell'efficacia e un robusto profilo di sicurezza, l'ultimo requisito sarà la presentazione dei dati di produzione che dimostrino la qualità e la coerenza del vaccino che verrà prodotto...Quindi lasciatemi essere chiaro: Pfizer richiederà l'uso dell'autorizzazione negli Stati Uniti subito dopo il raggiungimento della pietra miliare della sicurezza nella terza settimana di novembre. Tutti i dati contenuti nella nostra domanda negli Stati Uniti saranno esaminati non solo dagli scienziati della FDA, ma anche da un gruppo esterno di esperti indipendenti in una riunione pubblica convocata dall'agenzia. Le tempistiche riportate riflettono le nostre migliori stime. Da 171 anni Pfizer è nota per gli standard di alta qualità. Il nostro scopo è fare scoperte che cambino la vita dei pazienti. Non riesco a pensare a una svolta che sarebbe più significativa per un numero maggiore di persone di un vaccino COVID-19 efficace e sicuro", conclude Bourla.

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Covid, sei vaccini al fotofinish

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Sono "6 i candidati vaccini anti-Covid al fotofinish per l'approvazione". A fare il punto è il sito anti-bufale 'Dottoremaeveroche', della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo). "Ad ad oggi non sono ancora disponibili vaccini per Covid-19 ma molti studi sono in corso, alcuni in fase avanzata. Per il vaccino sviluppato dalla società Moderna è stata depositata negli Stati Uniti la domanda per la autorizzazione d’emergenza - precisano gli esperti - Poi c'è il siero sviluppato dall’università di Oxford e della casa farmaceutica AstraZeneca. Il vaccino è in corso di valutazione in diversi paesi del mondo, dal Regno Unito al Brasile, Sud Africa e Stati Uniti".


A questi si aggiunge il vaccino Pfizer-BionTech, il primo vaccino presentato alla Food and Drug Administration (Fda) statunitense per l’autorizzazione all’uso di emergenza che oggi ha avuto il via libera anche dall'agenzia britannica Mhra. Infine ci sono gli altri tre sviluppati da Johnson&Johnson, da Sanofi e da CureVac.

L'Italia ha già acquistato milioni di dosi di tutti e sei i vaccini (202 mln in totale) come ha spiegato oggi il ministro della Salute Roberto Speranza nella comunicazione al Senato sul piano vaccinale (AstraZeneca 40,38 milioni; Johnson&Johnson 53,84; Sanofi 40,38 ; Pfizer/Bnt 26,92; CureVac 30,285 e Moderna 10,768).

Ma quando un vaccino viene dichiarato 'efficace'? Quando protegge la persona che lo riceve dalla malattia? "Non esattamente - rispondo gli esperti - L’obiettivo principale di un vaccino dovrebbe essere quello di impedire alle persone di contrarre la malattia, ammalarsi gravemente e morire. A questo riguardo, un sito molto popolare negli Stati Uniti ha ripreso una dichiarazione di Peter Hotez, un docente di particolare esperienza della National School of Tropical Medicine del Baylor College of Medicine di Houston: 'Idealmente, si vuole che un vaccino antivirale faccia due cose: in primo luogo, ridurre la probabilità di ammalarsi gravemente e andare in ospedale e, seconda cosa, prevenire l’infezione e quindi interrompere la trasmissione della malattia'".

"Gli studi di fase 3 attualmente in corso non sono stati disegnati per dimostrare che i vaccini valutati siano efficaci per prevenire esplicitamente gli esiti gravi della Covid-19, come ricoveri ospedalieri, ricovero in terapia intensiva o decesso - precisano gli specialisti - Inoltre, l’efficacia del vaccino non coinciderà con la sua capacità di interrompere la trasmissione della malattia".

"Ogni studio clinico, in particolare la fase 3, è sempre un atto di equilibrio tra esigenze diverse. Desiderando avere una risposta su un esito – come il ricovero in terapia intensiva – che si verifica con una frequenza di un decimo o un quinto della frequenza dell’esito primario – come un’alterazione febbrile o la tosse – sarebbe necessario uno studio 5 o 10 volte più ampio o 5 o 10 volte più lungo (di maggiore durata) per raccogliere quegli eventi. Condizioni improponibili in un momento come questo, in cui è necessario sapere rapidamente se un vaccino funziona", conclude il sito anti-bufale 'Dottoremaeveroche'.

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Pregliasco: "Variante Gb non è un missile, vaccino sembra efficace"

Arcuri: "Ci sono dosi e piano, pronti a campagna vaccini.

In nove mesi avremo immunità di gregge"


In totale "toccheranno all'Italia 202 milioni di dosi. Subito da Pfizer ne avremo 27 milioni:
8,8 nel primo trimestre 2021, 8,1 nel secondo trimestre, 10,1 nel terzo.
E l'Ue sta negoziando con l'azienda per farcene arrivare altri 13,5 milioni"
spiega il Commissario straordinario all'emergenza


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Il 27 dicembre "sarò allo Spallanzani, ma già dalla mattina del 26, perchè la Pfizer ha assicurato che le prime diecimila dosi arriveranno un giorno prima. Il carico sarà diviso per 21 e da Roma ripartiranno le dosi per venti presidi regionali. I viaggi dalla Capitale saranno gestiti dalle forze armate. Nei successivi, a partire dal 30 gennaio, la Pfizer porterà la dosi nei trecento centri regionali". E' il cronoprogramma dei primi giorni della campagna vaccinale riferito al "Fatto Quotidiano" dal Commissario Domenico Arcuri. In totale "toccheranno all'Italia 202 milioni di dosi, il 13,4% dell'Ue. Subito da Pfizer ne avremo 27 milioni: 8,8 nel primo trimestre 2021, 8,1 nel secondo trimestre, 10,1 nel terzo. E l'Ue sta negoziando con l'azienda per farcene arrivare altri 13,5 milioni. Se il 6 gennaio Ema approverà anche Moderna noi siamo pronti per riceverne 10,8 milioni: 1,4 nel primo trimestre, 4,7 nel secondo e altrettante nel terzo. Quindi abbiamo già la discreta certezza di 38 milioni per i primi tre trimestri: la prima dose e richiamo per 20 milioni di italiani in nove mesi". Inoltre "ai 38 milioni di vaccini certri Pfizer e Moderna bisogna aggiungere quelli che l'Ue sta negoziando con le stesse deu case farmaceutiche, appunto, e poi gli altri che arriveranno in approvazione. Confido che arrivino anche le 40 milioni di Astrazeneca".

"In nove mesi avremo immunità di gregge"
''Abbiamo già la discreta certezza di 38 milioni per i primi tre trimestri: prima dose e richiamo per 20 milioni di italiani in nove mesi. Il faro sono quei 42 milioni di italiani: il 70%, l'immunità di gregge''. Lo dice al Fatto Quotidiano Domenico Arcuri, commissario straordinario all'emergenza Covid-19, che spiega: ''Pfizer ha assicurato che le prime diecimila dosi arriveranno un giorno prima del Vaccine Day europeo. Il carico sarà diviso per 21 e da Roma ripartiranno le dosi per venti presìdi regionali. I viaggi dalla capitale saranno gestiti dalle forze armate. Nei successivi, a artire dal secondo del 30 gennaio, la Pfizer porterà le dosi nei trecento centri regionali''. ''Abbiamo condiviso la scelta dei luoghi e delle dosi per regione - prosegue Arcuri -. Il 98% dei siti individuati dispone già di cella frigorifera o ne disporrà nei primi giorni del 2021. Al restante 2% le stiamo comprando noi. In totale toccheranno all'Italia 202 milioni di dosi, il 13,4% dell'Ue. Subito da Pfizer ne avremo 27 milioni: 8,8 nel primo trimestre 2021, 8,1 nel secondo trimestre, 10,1 nel terzo. E l'Ue sta negoziando con l'azienda per farcene arrivare altri 13,5 milioni. Se il 6 gennaio Ema approverà anche Moderna noi siamo pronti per riceverne 10,8 milioni: 1,4 nel primo trimestre, 4,7 nel secondo e altrettante nel terzo. E l'Ue sta negoziando perché ce ne arrivino altri 10,8 milioni''. ''Ai 38 milioni di vaccini certi di Pfizer e Moderna - continua Arcuri - bisogna aggiungere quelli che stanno negoziando con le stesse due case farmaceutiche e poi gli altri che arriveranno in approvazione''. Un errore puntare troppo su Astrazeneca? ''Non ci abbiamo puntato troppo noi, ma la centrale unica d'acquisto europea. Penso che sia una bella dimostrazione del modo di essere Europa: l'Ue negozia per tutti i Paesi e divide i vaccini sulla base di criteri certi e condivisi. Confido che, in tempi speriamo non troppo più lunghi, arrivino anche le 40 milioni di dosi di Astrazeneca''.

"No caos mascherine. Abbiamo piano strategico"
Sulla possibilità che si assista a un altro caos tipo mascherine, il commissario straordinario spiega che "il 'sistema Italia' di contrasto all'emergenza ha dieci mesi di esperienza e lavoro comune. I vaccini non sono un bene scarso come mascherine e ventilatori a marzo. Abbiamo un piano strategico approvato dal Parlamento: tre settimane fa ci accusavano di non averlo E abbiamo implementato il sistema informatico per seguire in tempo reale le vaccinazioni. Per l'Interpol c'è il rischio di furti dei vaccini. Il trasporto su gomma sarà scortato''. Dopo la prima fase delle fasce deboli, dice ancora, ''non ci saranno corsie preferenziali, né un mercato dei vaccini. Saranno gratuiti per tutti ed obbligatori per nessuno. Quando avremo dosi sufficienti, speriamo tra il secondo e il terzo trimestre, tutti potranno facilmente vaccinarsi. Coinvolgeremo anche i medici di base e i pediatri. La promessa solenne è: non lasceremo una sola dose di vaccino nei nostri depositi''. Quanto alle 'misure di Natale', ''quelle del 3 novembre sono servite - afferma -. L'Rt è a 0,8 e si abbasserà ancora. Prima delle zone a colori era il doppio. La situazione sarà più sotto controllo. È un ulteriore sacrificio, ma s 'intravede la luce. Spero che il 7 gennaio si vada a scuola? I prefetti stanno facendo un lavoro straordinario per connettere trasporti e scuola e consentire la riapertura''.

Conte: "A Natale mantenere guardia alta, vaccino più di un segnale di speranza"
"Il Natale alle porte rappresenta un momento di serenità per le nostre comunità, ma allo stesso tempo siamo chiamati proprio ora a mantenere alta la guardia. Perchè la pandemia ha comportato un costo umano devastante e ha messo a dura prova le nostre abitudini". Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un videomessaggio di Natale realizzato dai 27 leader europei. "Questo - dice Conte - sarà un Natale diverso, ma lo sviluppo dei vaccini e il loro lancio a breve sono più di un segnale di speranza per tutti noi".

Speranza: "Vaccino apre nuova fase"
"L'agenzia europea del farmaco ha dato l'ok al vaccino Pfizer Biontech. È la notizia che aspettavamo. La battaglia contro il virus è ancora molto complessa, come dimostrano anche le ultime notizie provenienti da Londra, ma avere a disposizione un vaccino efficace e sicuro apre una fase nuova e ci da più forza e fiducia". Lo ha affermato il ministro della Salute, Roberto Speranza.

Pregliasco: "Variante Gb non è un missile, vaccino sembra efficace"
"La variante inglese di Covid-19 non è un missile che cambia le cose, e le informazioni attuali ci fanno ritenere che il vaccino sia efficace". Lo spiega il virologo dell'Università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco, che il 27 dicembre sarà fra gli operatori sanitari protagonisti del V-day e verrà vaccinato contro Covid-19. "Ebbene sì, mi vaccinerò anche io nel V-day del 27 dicembre: l'appuntamento è al Niguarda di Milano, e poi seguirà anche una sessione nel pomeriggio al Pio Albergo Trivulzio. Devo dire che sono emozionato e felice: è importante essere testimoni diretti dell'utilità della vaccinazione. E io ci credo profondamente: è l'unico modo per uscire dal tunnel di Covid e mettere fine a questi continui lockdown". Lo afferma all'Adnkronos Salute il virologo dell'Università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco, protagonista fin dall'inizio della pandemia di Sars-Cov-2 delle analisi e della ricerca sul Covid-19. "Preoccupa - ammette il virologo - la quota di scettici, che sta emergendo, e che è piuttosto elevata. Proprio a loro voglio dire di superare il dubbio: i rischi sono piccolissimi, anzi irrisori, come per qualsiasi vaccino. Ma i benefici saranno immensi. Non sono invece preoccupato per la mutazione 'inglese': non è un missile che cambia le cose, e anzi le evidenze attuali ci fanno ritenere che i vaccini saranno efficaci anche contro questa mutazione". "Quanto alla variante, alcuni test andranno messi a punto e validati, per confermare la capacità di diagnosticare l'infezione. Ma non ritengo sia opportuno suscitare eccessivi allarmi e non sono particolarmente preoccupato per la variante britannica", assicura Pregliasco.

Galli: "Vaccino valido e sicuro, per me un atto dovuto"
Il vaccino "ha ampie garanzie di efficacia e sicurezza, e vaccinarmi non è niente di eroico, è un atto dovuto. Il mio è anche un dovere sociale nella prospettiva di raggiungere l'immunità di gregge che ci toglierà da un guaio mai finito altrimenti, e ci permetterà di vivere finalmente le nostre esistenze, in particolare quelle dei più anziani". Parola di Massimo Galli, direttore del reparto malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano. E' un po' una luce in fondo al tunnel? "Un pochino di più: se riusciremo nell'arco del prossimo anno a raggiungere un numero sufficiente di vaccinati e immunizzati - afferma Galli - costruiremo un muro contro il quale Covid non potrà fare altro che battere il capo e ritirarsi".

Domenica si parte con un gruppo di operatori sanitari
A vaccinare contro il Covid-19 in Italia "si inizierà domenica con un gruppo limitato di operatori sanitari. Poi saranno tutti gli operatori sanitari, circa un milione, nel mese di gennaio, ad essere vaccinati. Quindi le persone nelle Rsa, per un analogo volume di popolazione. Dopo il vaccino verrà fatto alle persone a rischio, anziani o soggetti con specifiche patologie". "Il 27 è il V-day a livello europeo: anche questo è un grande passo avanti, in termini simbolici per il sentirsi parte di una grande comunità".

Ok vaccinazione sopra i 16 anni
"Il vaccino è approvato - ha detto Magrini - per tutta la popolazione sopra i 16 anni e non ha controindicazioni particolari". "Quella di oggi è una giornata eccezionale per quello che comporta, cioè avere disponibile un vaccino", è il commento del presidente dell'Agenzia italiana del farmaco Giorgio Palù.

Controindicazioni
Il vaccino “non ha controindicazioni assolute - spiega il direttore generale dell'Agenzia del farmaco, Nicola Magrini, Non sono richieste accortezze particolari per popolazioni specifiche né per anziani o immunodepressi, inclusi chi ha problemi di coagulazione del sangue o sanguinamento. “Anche per la gravidanza e l’allattamento - ha continuato il direttore generale dell’Aifa - che si era detto potessero essere controindicazioni assolute, non lo sono, perché anche in questo caso i benefici superano i rischi".

La piattaforma
"La piattaforma a mRna è facilmente modulabile e, nel caso il virus dovesse evolvere in maniera tale da superare le difese immunitarie, ha un vantaggio rispetto alle piattaforme tradizionali con virus vivo o ucciso o basate su proteine ricombinanti". Il presidente Palù, ha spiegato in merito alla possibilità di aggiornamento del vaccino in funzione delle mutazioni di Sars-Cov-2, la "piattaforma permette di essere modulata e costituirà la base per futuri vaccini, non solo in ambito infettivologico, ma anche anticancro".

La risposta
La risposta immunitaria sarà già visibile 6-7 giorni dopo la prima dose, la seconda dose del vaccino sarà fatta a 3 settimane dopo la prima. Magrini rispondendo in merito all'eventualità che si possa contrarre il Sars-Cov-2 tra una dose e l'altra del vaccino, ha detto che "nella rara ipotesi che ci si infetti in questo breve lasso di tempo, lo si sarebbe verosimilmente in forma più lieve".

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view post Posted on 30/12/2020, 15:20
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Vaccino covid AstraZeneca:

come funziona, quanto è efficace


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Il vaccino AstraZeneca-Oxford viene approvato dalla Gran Bretagna. Un'altra arma, dopo il vaccino Pfizer-Biontech, per contrastare il coronavirus. Come funziona il vaccino? Conservazione e trasporto cosa richiedono? Quanto costa? Domande che diventano ancor più attuali visto che il prodotto, Oltremanica, verrà somministrato ai soggetti di età superiore ai 18 anni probabilmente già a partire dal 4 gennaio.


Rispetto al vaccino Pfizer, quello di AstraZeneca è a 'vettore virale'. Non viene iniettato l'mRNA per produrre la proteina spike di Sars-Cov-2 ma viene utilizzato un virus reso innocuo e che contiene una sequenza di Dna utile a far produrre, dall'organismo del paziente, la proteina. L'autorizzazione raccomanda la somministrazione di due dosi con un intervallo tra le quattro e le 12 settimane.

Domenica, in un'intervista al Sunday Times, il Ceo di AstraZeneca ha fatto chiarezza sull'efficacia del vaccino: i nuovi dati che verranno pubblicati, dice Pascal Soriot, mostreranno che il vaccino garantisce una protezione del 95% dei pazienti -al livello dei prodotti di Pfizer e Moderna- ed è "efficace al 100%" nella prevenzione delle forme più gravi delle patologie legate al coronavirus che richiederebbero altrimenti l'ospedalizzazione del paziente. "Riteniamo di aver trovato la formula vincente per arrivare all'efficacia che, dopo 2 dosi, è al livello di tutti gli altri. Non posso dire di più perché pubblicheremo i dati".

Inizialmente, un primo trial aveva evidenziato un'efficacia al 90% dell'abbinamento tra metà dose nella prima somministrazione e una dose 'piena' nella seconda. .

Rispetto al vaccino Pfizer, che necessità di una particolare 'catena del freddo' per conservazione e trasporto, il vaccino AstraZeneca-Oxford può essere conservato, trasportato e manipolato in condizioni refrigerate normali (due-otto gradi centigradi) per almeno 6 mesi e somministrato all'interno di strutture sanitarie esistenti. Questi elementi influiranno anche sul prezzo di ogni singola dose.

Una decina di giorni fa il giornale fiammingo Het Laatste Nieuw ha pubblicato lo screenshot di un tweet della sottosegretaria al Bilancio belga Eva de Bleeker, che aveva pubblicato online i prezzi dei vari vaccini. La sottosegretaria ha poi cancellato il tweet, ma Hln lo ha screenshottato e lo ha diffuso: secondo la tabella, il vaccino Oxford/AstraZeneca è il più economico (1,78 euro a dose). Per Curevac sono 10 euro a dose, per Sanofi/Gsk 7,56 euro a dose, per Johnson & Johnson 8,5 dollari a dose.

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view post Posted on 6/1/2021, 10:52
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Il vaccino italiano di ReiThera ha funzionato nella fase Uno.

Presentati i dati allo Spallanzani


di Elena Dusi

Arcuri: "Importante essere indipendenti". Serviranno sei mesi per le altre due fasi.
Poi sarà possibile produrne 100 milioni di dosi all'anno.
Ippolito: "Il vaccino è sicuro e stimola il sistema immunitario come Moderna e Pfizer".
Ne basta una dose. Può essere conservato in un normale frigorifero


Vaccino


Il vaccino italiano prodotto da ReiThera ha presentato i dati della fase uno della sperimentazioni. Le prime iniezioni erano avvenute il 24 agosto. I volontari arruolati sono stati 100. Non ci sono state reazioni avverse. Il sistema immunitario è stato attivato, sia sul fronte degli anticorpi che bloccano il virus in circolazione, sia sul fronte delle cellule T, che distruggono le cellule del nostro organismo già infettate. "Abbiamo la capacità di produrre cento milioni di dosi all'anno" ha spiegato Antonella Folgori, presidentessa di ReiThera.

Per la fase due e la fase tre delle sperimentazioni serviranno altri sei mesi. "Poi il vaccino sarà valutato in modo indipendente dall'Autorità europea per il farmaco, come avviene per tutti gli altri" ha spiegato il direttore dell'Aifa Nicola Magrini. "Abbiamo disposto che l'azienda abbia le risorse per portare a termine le sperimentazioni" ha assicurato il commissario per l'emergenza Domenico Arcuri. "Oggi vediamo quanto stiamo combattendo per importare vaccini dagli altri paesi. Sappiamo quanto valore abbia invece dotarci di una produzione direttamente in Italia. Per questo abbiamo previsto un'iniezione di equity e un ingresso pubblico nel capitale di ReiThera. Dobbiamo provare a essere indipendenti con i vaccini come siamo riusciti a esserlo per i ventilatori e gli altri dispositivi, che a marzo importavamo in toto, e che oggi riusciamo invece a fabbricare da soli".

"Il vaccino è sicuro, non ci sono stati eventi avversi gravi. C'è stata un po' di infiammazione sul sito di iniezione. Le reazioni sono state comunque inferiori a quelle di Moderna e Pfizer" ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani. I volontari hanno sentito in qualche caso mal di testa, stanchezza o poche linee di febbre. "Con una sola dose, gli anticorpi raggiungono il picco dopo 4 settimane, poi restano costanti. Potrebbe dunque non esserci bisogno di richiamo". Le fiale possono essere conservate a 2-8 gradi. "La produzione di anticorpi è stata equivalente nelle tre diverse dosi testate" ha proseguito Ippolito.

Oltre agli anticorpi, quel che conta per valutare un vaccino è la presenza delle cellule T. "Per quanto riguarda gli anticorpi neutralizzanti, li abbiamo trovati su 42 dei 44 volontari che hanno ottenuto il vaccino" ha spiegato Ippolito. Le due persone senza risposta avevano avuto la dose più bassa. Metà dei volontari non hanno ricevuto il vaccino perché, su base casuale, gli è stato somministrato un placebo. "Le cellule T sono il maestro d'orchestra del sistema immunitario, persistono nei tessuti per lungo periodo e danno la memoria immunitaria. Gli anticorpi invece sono i soldati della prima linea. Anche sul fronte delle cellule T la risposta è stata in linea con i vaccini di Moderna e Pfizer, superiore rispetto alle persone guarite dal virus" ha spiegato Ippolito.

"I vaccini che utilizzano Dna o Rna sono i più rapidi da produrre, per questo sono molto adatti alle malattie emergenti e alle emergenze" ha detto Folgori. Possono anche essere riadattati nel giro di uno o due mesi in cambio di mutazione drastica del virus. "Nel nostro campus a Castel Romano svolgiamo tutte le fasi della produzione, dalla ricerca alla manifattura finale". Finora ReiThera ha ricevuto 5 milioni di euro dalla Regione Lazio, 3 dal Ministero dell'università e della ricerca, ne ha investiti 12 in proprio e ha ottenuto la collaborazione dell'Istituto Spallanzani di Roma per i test e la sperimentazione di fase uno, che si sono in parte svolti anche al Policlinico universitario di Verona.

ReiThera collabora con l'azienda tedesca Leukocare, in particolare per rendere possibile la conservazione a 2-8 gradi anziché a meno 80, e con la belga Univercells. Nella conferenza stampa allo Spallanzani è stata fatta una domanda sulla nazionalità della società che controlla ReiThera, che è svizzera. "Si chiama Keires ed è nata nel 2013 in Svizzera perché all'epoca il fondatore di ReiThera, il noto scienziato e accademico Riccardo Cortese, risiedeva lì" ha risposto Folgori. "Ma tutti i soci di ReiThera sono cittadini e contribuenti italiani, e anche la società è italiana, risponde al diritto italiano, produce, crea lavoro nel Tecnopolo di Castel Romano e paga le tasse in Italia".

www.repubblica.it

 
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