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COVID-19

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view post Posted on 3/2/2021, 17:55
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Covid, vaccino russo Sputnik efficacissimo e sicuro.

Ora l’Europa lo corteggia


Il vaccino russo 'Sputnik V' ha un'efficacia del 91,6% contro Covid-19.
Anche Burioni lo definisce 'eccezionale'.


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Il vaccino russo ‘Sputnik V’, somministrato in 2 dosi a 21 giorni di distanza l’una dall’altra, ha un’efficacia del 91,6% contro Covid-19. L’effetto protettivo non è statisticamente diverso per gli over 60 rispetto al gruppo 18-60 anni e il profilo di sicurezza è alto, con la maggior parte (94%) degli effetti avversi che si presenta in forma lieve. Sono i risultati preliminari di uno studio di fase 3 pubblicato su ‘The Lancet’, secondo quanto annunciato dal Gamaleya National Research Centre of Epidemiology and Microbiology del ministero della Salute della Federazione Russa e dal fondo sovrano Rdif (Russian Direct Investment Fund).

Lo studio riporta i risultati preliminari di efficacia e sicurezza dell’analisi ad interim della sperimentazione di fase 3 sul vaccino russo anti-Covid. Analisi che ha incluso dati su quasi 20mila partecipanti. Il calcolo sull’efficacia del regime a 2 dosi del prodotto scudo a base di adenovirus è stato effettuato sull’esame di 78 casi confermati di Covid-19, 62 identificati nel gruppo placebo e 16 nel gruppo vaccino. “Tra i casi analizzati, oltre il 98% dei volontari ha sviluppato una risposta immunitaria umorale e il 100% una risposta immunitaria cellulare”, riferiscono gli esperti.

Dalle analisi condotte, il livello di anticorpi neutralizzanti dei volontari vaccinati con Sputnik V è risultato “1,3-1,5 volte superiore al livello di anticorpi dei pazienti che sono guariti da Covid”, hanno spiegato gli autori. Gli eventi avversi gravi, cioè che hanno richiesto il ricovero ospedaliero, sono stati “rari sia nel gruppo placebo che in quello del vaccino (0,2%)” e “nessuno è stato ritenuto associato alla vaccinazione”. La maggior parte degli eventi avversi riportati sono stati “lievi, inclusi sintomi simil-influenzali, dolore al sito di iniezione e debolezza”. Nello studio sono stati segnalati 4 decessi, nessuno dei quali è stato considerato correlato al vaccino. I dati sugli over 60 sono ricavati da una sottoanalisi di 2.144 persone (età massima 87 anni), secondo cui l’efficacia per gli anziani è stata del 91,8%.

La sperimentazione ancora è in corso e mira a includere un totale di 40mila partecipanti, aggiungono gli autori. Il monitoraggio della sicurezza e dell’efficacia continua. “Il vaccino è efficace al 100% nel prevenire malattie gravi o morte, che è il parametro più cruciale – sottolinea Hildegund CJ Ertl, professore del The Wistar Institute (Usa) in una dichiarazione citata nel sito web dedicato al vaccino Sputnik V – Anche dopo una singola dose, la protezione contro la malattia era dell’87,6%”. Il Gam-COVID-Vac è un vaccino in 2 parti che include 2 vettori di adenovirus (rAd26-S e rAd5-S), modificati per esprimere la proteina Spike di Sars-CoV-2. Secondo gli autori l’uso di un diverso vettore di adenovirus per il richiamo può aiutare a creare una risposta immunitaria più potente, poiché riduce al minimo eventuali rischi di resistenza.

“La nostra analisi ad interim ha mostrato un’elevata efficacia, immunogenicità e un buon profilo di tollerabilità nei partecipanti di età pari o superiore a 18 anni”, afferma Inna V Dolzhikova, co-autore principale dello studio, del russo Gamaleya National Research Center for Epidemiology and Microbiology. “Fermare la pandemia richiede l’introduzione di più vaccini basati su differenti meccanismi d’azione per coprire le diverse esigenze sanitarie globali. Il nostro vaccino, insieme ad altri, aiuta a diversificare la pipeline mondiale”, afferma Denis Logunov, l’altro co-autore principale del Gamaleya National Research Center for Epidemiology and Microbiology. Al momento nel mondo si contano 64 vaccini in fase di valutazione clinica (13 alla fase 3) e 173 in analisi preclinica. Vaccini basati su una varietà di piattaforme, appunto.

Lo studio sul vaccino russo è stato condotto in 25 ospedali e policlinici a Mosca. I partecipanti, tra il 7 settembre e il 24 novembre 2020, sono stati assegnati in modo casuale ai 2 gruppi, uno destinato a ricevere il vaccino, l’altro placebo. Gli autori precisano che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere l’efficacia del vaccino su Covid asintomatica e sulla trasmissione del virus. “La pubblicazione di dati revisionati a livello internazionale sui risultati degli studi clinici di Sputnik V è un grande successo nella battaglia globale contro la pandemia”, commenta Alexander Gintsburg, direttore del Gamaleya Research Institute.

“Il mondo ha bisogno di tutti i buoni vaccini che può ottenere contro Covid – riflette David Livermore, University of East Anglia (Uk) – E lo Sputnik V è il primo vaccino a vettore adenovirus a raggiungere l’efficacia del 90% osservata con i due vaccini a mRna”. La temperatura di conservazione del prodotto è, fra le altre cose, “tra 2 e 8° C, il che consente una distribuzione più semplice in tutto il mondo”, evidenziano infine gli esperti russi.

Burioni: “Ottima notizia, vaccino russo ha efficacia eccezionale”

“Ottima notizia, il vaccino ‘russo’ ha un’efficacia superiore al 90%. Un altro vaccino dall’efficacia eccezionale con un meccanismo simile ad AstraZeneca, ma con una differenza fondamentale di cui parleremo”. Lo ha sottolineato in un tweet il virologo dell’Università San Raffaele Roberto Burioni commentando la notizia.

Galli: “”Mi ha sorpreso”

Anche l’infettivologo del Sacco di Milano Massimo Galli ha accolto con entusiasmo le notizie provenienti da Mosca: “Sputnik con dati oltre le aspettative. Sono rimasto colpito dal risultato. Un risultato anche più pulito degli altri perché hanno escluso dalle sperimentazioni chi aveva già avuto la malattia. E’ evidente che i risultati di Sputnik sono superiori a quelli ottenuti da Astrazeneca” continua il professor Galli.

Politica

E chissà che ora, con le note difficoltà dell’Europa con le forniture delle aziende farmaceutiche occidentali, Sputkìnik non diventi un prezioso alleato anche per uno scongelamento dei rapporti fra Ue e Russia. Rispondendo a una domanda proprio sul vaccino russo anticovid, Angela Merkel ha detto alcune settimane fa: “Se il vaccino sarà approvato dall’EMA, potremo parlare di accordi sulla produzione e anche dell’uso”, queste le parole della Cancelliera sottolineando di aver offerto che attraverso il Paul Ehrlich Institut la Russia abbia “supporto nello sviluppo” del vaccino. “Al di là delle differenze politiche che sono ampie, possiamo certamente lavorare insieme in una pandemia, in un settore umanitario”.


quifinanza.it

 
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view post Posted on 4/2/2021, 13:30
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Anticorpi monoclonali, Palù: "Non potevamo attendere"

"Tributo di vittime che paghiamo ogni giorno
uno dei motivi per spingere sul via libera",
spiega il presidente Aifa


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"Il tributo di vittime che paghiamo ogni giorno" al coronavirus Sars-CoV-2 "non poteva farci attendere. E' stato uno dei motivi per spingere sul via libera agli anticorpi monoclonali e ho trovato la sensibilità del ministro della Salute Roberto Speranza". Il presidente dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa, Giorgio Palù, spiega così all'Adnkronos Salute il valore dell'ok accordato all'uso degli anticorpi monoclonali, quelli prodotti da Regeneron e da Eli Lilly, per il trattamento di Covid-19 in precise condizioni.

"C'era qualche motivo di riflessione perché l'agenzia europea Ema non si è ancora espressa - evidenzia il virologo - Negli Usa la Fda ha autorizzato l'uso emergenziale di questi anticorpi monoclonali. Ricorderete il 'cocktail'" di farmaci "utilizzato per l'allora presidente Donald Trump, che in 24 ore uscì dall'ospedale. Ma ora ci sono dati inoppugnabili. Quello che emerge dai lavori pubblicati su riviste importantissime è il fatto che sono un'arma potente se somministrata nelle prime fasi d'infezione, ai primi sintomi, prima che l'infezione progredisca. Ed è questo l'uso che se ne farà in pazienti ad alto rischio, con comorbosità e alto rischio che l'infezione evolva in malattia grave".

Il presidente di Aifa chiarisce anche il suo "impegno in questa iniziativa. Devo dire che ho fatto perno sulla grande sensibilità mostrata dal ministro Speranza, dal quale ho ricevuto un sollecito e per il quale avevo preparato una relazione scientifica". Sul fronte ricerca si va avanti. "Ci sono diversi studi su anticorpi monoclonali, 6 ben avviati, di cui un paio in fase 3 in via di conclusione; una decina in fase 1 e 2. L'impatto potrà essere significativo", è convinto Palù.

Con il via libera ai primi due anticorpi monoclonali, continua, "l'Italia oggi è al pari della Germania ed è avanti in questa nuova terapia. E io vorrei ringraziare Speranza che mi ha supportato su questo fronte".

"Si pensa a uso domiciliare"

"Il dato significativo che possiamo vedere su riviste scientifiche importantissime ci dice che gli anticorpi monoclonali sono un'arma potente se somministrata ai primi sintomi, prima che l'infezione" da coronavirus Sars-CoV-2 "progredisca. Quello che si è pensato dunque è che vanno usati non tanto in ospedale, ma possibilmente a domicilio", dice ancora Palù.

"Se avessimo un sistema efficiente diffuso, come quello che alcune Regioni hanno, potremmo pensare a un sistema che permetta la somministrazione domiciliare con le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale, ndr) e anche al coinvolgimento di ambulatori territoriali che intervengano nelle prime fasi dell'infezione con una diagnosi precoce", chiarisce il virologo.

"Serve un raccordo velocissimo fra diagnosi precoce" della positività a Sars-CoV-2 "e informazione, in modo che il Servizio sanitario nazionale intervenga per garantire l'uso dei monoclonali su soggetti con comorbosità e a rischio che l'infezione evolva in malattia grave, secondo l'indicazione".

L'annuncio: "Fondo speciale per monoclonali"

Ci sarà un fondo speciale messo a disposizione dalla struttura commissariale" per gli anticorpi monoclonali anti-Covid, annuncia quindi all'Adnkronos Salute il presidente dell'Agenzia italiana del farmaco Aifa. E infatti, chiarisce il virologo, "il meccanismo con cui è stato approvato ieri in consiglio di amministrazione non è la legge 648/1996 che grava sul fondo nazionale. Per i monoclonali ci sarà un fondo straordinario come per i vaccini, facendo leva sul decreto legislativo 219 del 2006, che recepisce una direttiva europea del 2003. E' quella che venne sfruttata nel 2016 per l'emergenza Ebola, che fortunatamente non diede pandemia a differenza di Sars-CoV-2. Ed è la stessa normativa utilizzata dal ministro tedesco Jens Spahn e, a quanto sento, forse anche da Francia e Ungheria per l'uso emergenziale dei monoclonali".

Palù non si esprime sull'entità del fondo straordinario per i monoclonali che verrà reso disponibile dalla struttura commissariale per l'emergenza Covid. "Ma è positivo avere un fondo speciale, che non è legato al tetto del fondo nazionale. Ci sono tutte le premesse per un utilizzo di queste terapie. In questo modo noi possiamo acquistare presto gli anticorpi monoclonali per i quali è stato dato via libera", che sono quelli prodotti da Regeneron e Eli Lilly.

Per l'anticorpo monoclonale tutto italiano che è in questo momento sotto sperimentazione "ci vorranno invece ancora mesi", chiarisce Palù. Intanto, "con il via libera di ieri abbiamo già adesso un'arma da usare nelle prime fasi dell'infezione".

Allo stesso tempo, ricorda il virologo, "c'è il bando per la ricerca sui monoclonali con deadline il 15 febbraio. Andrà rivisto alla luce di quanto appena avviato: potremo valutare combinazioni di anticorpi monoclonali o verificare quale è più efficace o meno. Quindi rimane vivo anche questo filone. L'Italia oggi è avanti sull'attività messa in campo per queste terapie".


www.adnkronos.com

 
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view post Posted on 8/2/2021, 18:11
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Covid, stop a esami e interventi per metà degli italiani.

Ritorno alla normalità? Non prima del 2022.

“Necessario aumento attività del 45%”


Il rinvio delle prestazioni sanitarie è stato di quasi due mesi.
Nel 68% dei casi l’appuntamento è stato rimandato sine die.
Il primato spetta a gastroenterologia e urologia.
Le liste d'attesa hanno accumulato ritardi strutturali
e per smaltirle saranno necessarie risorse significative.
Nei piani di Speranza c'erano 61mila assunzioni
per colmare il gap degli ultimi 10 anni


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Tra marzo e dicembre dell’anno scorso 27,9 milioni di italiani che avevano in programma una visita, esame o una operazione in una struttura sanitaria, hanno subito uno o più rinvii. Di questi, circa 13 milioni, si sono invece visti annullare del tutto una o più visite, esami o interventi. “Vi sono sicuramente ripercussioni sullo stato di salute. Il sistema sanitario cerca di trattare adeguatamente i casi urgenti o più gravi” dice Paolo Vineis vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità. Lo scienziato, la mente che analizza curve, andamenti e picchi dell’infezione come epidemiologo, fa riferimento per esempio a diagnosi tardive, per esempio quelle relative ai tumori. A causa dell’emergenza sanitaria gli italiani hanno dovuto fare i conti con rinvii che, dati alla mano, hanno riguardato praticamente tutte le specialità; il primato spetta a gastroenterologia e urologia (rispettivamente con l’81,2% e il 75% di pazienti che hanno subito ritardi o annullamenti su visite, esami od operazioni già programmate), anche patologie molto gravi non sono state esenti da questo fenomeno e, ad esempio, hanno subito ritardi o annullamenti il 61,1% dei pazienti cardiologici e appunto il 47,2% di quelli oncologici.

Secondo il Report Sanità elaborato dalle società di ricerca mUp Research e Norstat (su dati di comparazione assicurativa, commissionati da facile.it) si legge che “mediamente” il rinvio delle prestazioni sanitarie è stato di quasi due mesi (53 giorni), ma il dato ancor più importante è che nel 68% dei casi l’appuntamento è stato rimandato sine die. Le liste d’attesa hanno accumulato ritardi strutturali, per smaltirle saranno necessarie risorse significative, “un esempio tra tutti: per recuperare il volume di attività perso nel 2020 in Piemonte per il solo screening del cancro della mammella (circa 109mila mammografie) sarebbe necessario aumentare del 45% le attività nel 2021 rispetto a quelle del 2019 – continua Vineis – questo incremento è quello che permetterebbe il ritorno ad una situazione pre-covid ad inizio 2022. Si può capire che è un obiettivo molto ambizioso. In un sistema sanitario già altamente provato dall’epidemia temo che ci vorrà molto tempo per recuperare. Non dimentichiamo che dal 2009 al 2017 il Servizio Sanitario ha perso circa 46mila tra medici e infermieri. Vi sono piani del ministro Speranza per colmare questo deficit (sono previste 61mila assunzioni) e anche per riorganizzare l’assistenza, tra l’altro incrementando l’informatizzazione, molto carente”.

Il recupero delle prestazioni perdute è tempo-correlato. Massimo Andreoni, direttore di Infettivologia del Policlinico di Tor Vergata e direttore scientifico Simit (società italiana di malattie infettive), ci spiega che “un trattamento per Epatite C avviato con un ritardo di 6 mesi porterà a 500 decessi in più, fuori scala”, i tempi di ammortizzazione non sono neutri “non solo, la ridotta possibilità di fare screening nel prossimo futuro porterà anche all’aumento di epatocarcinoma e trapianti di fegato”. Il peggioramento degli indici di sopravvivenza è indicativo anche per Antonio Cassone, già direttore di Malattie immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità “i dati dell’Istat relativi al periodo febbraio-novembre 2020 segnalano un eccesso di mortalità rispetto alla media del quinquennio precedente di circa 84mila unità mentre i decessi attribuiti ufficialmente a Covid sono stati nello stesso periodo poco meno di 60mila. Buona parte della differenza è da assegnare all’impatto indiretto che il Covid ha avuto sul mancato controllo di altre patologie, sia come diagnosi che come difficoltà di accesso alle cure”.

A mappare più nel dettaglio le fasce più fragili che hanno subito il contraccolpo più significativo è Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri: “Forte preoccupazione sul prossimo futuro è data dalla ricaduta indiretta del Covid sugli anziani, il peggioramento delle loro condizioni di vita sarà inevitabile come d’altronde il notevole aumento dei carichi economici sulle famiglie”.

Fra chi ha subito un rinvio o un annullamento (27,9 milioni di italiani), il 30,2% degli intervistati ha poi scelto di svolgere il controllo in struttura privata, il 31% in struttura pubblica, ma soprattutto, per il 38,8% l’esame è stato annullato senza alcuna riprogrammazione. Sono circa 7 milioni coloro che hanno scelto di spostare almeno una delle visite/esami/operazioni programmate da una struttura pubblica ad una privata. Di questi circa 2,2 milioni di pazienti hanno chiesto un prestito ad amici, familiari o finanziarie. L’importo medio dei prestiti personali richiesti per questa motivazione è stato pari a 6.145 euro, da restituire in 53 rate (circa 4 anni e mezzo). La soluzione del prestito è più frequente tra i rispondenti residenti al Sud e nelle Isole, “è innegabile che esiste una pandemia sanitaria che porta con se una pandemia economica – Roberto Cauda, Direttore di Infettivologia del policlinico “Gemelli” – e questa sua volta, ha anche un effetto sulla accessibilità alle cure”.

Va pure detto che, oltre ai disservizi, vi è una fetta importante della popolazione che nel 2020 ha scelto di propria iniziativa di rinunciare a prenotare o effettuare una o più visite/esami specialistici; secondo l’indagine circa il 68,6% degli italiani, pari a circa 30 milioni di individui, hanno preso questa decisione almeno una volta durante gli ultimi 12 mesi. Il perché abbiano scelto di rinunciare a curarsi ha a che fare con tre motivazioni principali: paura di contrarre il Covid recandosi in una struttura medica, scoraggiamento da lunghissimi tempi di attesa a cui si aggiungono le difficoltà economiche.

“Purtroppo in Italia un vero e proprio sistema universalistico come ce lo immaginiamo non esiste più, nel senso che già il 27% della spesa sanitaria è “out of pocket”, ovvero gli italiani esborsano di tasca propria per le prestazioni ambulatoriali – sostiene Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità – il taglio delle spese per screening e diagnosi, comporterà un aumento atteso del numero dei tumori non diagnosticati”. Secondo il presidente della Fnomceo il “diritto all’uguaglianza è messo in crisi se uno deve prendere un prestito per curarsi. Tutti dovremmo fare una riflessione in tal senso, è ormai acclarato in letteratura scientifica che l’aumento delle patologie è correlato anche al reddito, alla povertà”.

Il nostro era il paese più longevo d’Europa prima della pandemia. Adesso, il sistema sanitario del nostro Paese, dovrà cambiare e adeguarsi a crisi strutturali “il piano pandemico rilasciato dal ministero è molto generale – puntualizza Paolo Vineis – è necessario essere molto più fattivi ed efficaci. Anziché dire “che cosa si dovrebbe fare”, secondo uno stile comune a molte istituzioni pubbliche, il piano dovrebbe direttamente proporre strumenti, come per esempio chiare linee-guida per i medici di medicina generale. Ora il piano è generico, e non contiene neanche un’analisi di quello che non ha funzionato nel passato. Serve un cambiamento di passo”.

“La nostra sanità pubblica si è da sempre caratterizzata per l’universalità dell’offerta assistenziale – ricorda Roberto Cauda – e deve al più presto recuperare questa sua vocazione. Le modalità per fare questo le deve dettare la politica”. Per uscire da questo divario “bisogna iniziare da subito ad allocare risorse finanziarie ed umane a sostegno della medicina territoriale che è in grave sofferenza nella maggior parte delle Regioni Italiane – suggerisce Antonio Cassone -, il pieno recupero della medicina di base, in particolare degli screening per le patologie tumorali e cardio-vascolari deve essere un obiettivo strategico primario del prossimo governo”.

Deve mutare l’approccio finora cardine del nostro sistema, secondo Massimo Andreoni “le patologie croniche come quelle gastroenteriche o neurologiche, per fare un esempio, non dovranno essere più trattate in ospedale. Deve finire l’era ospedalocentrica. Per uscire dall’impasse il pubblico dovrà costruire e offrire sul territorio prestazioni ad alta specialità, capillari”. Non solo, “si potranno recuperare le prestazioni che hanno subito i maggiori ritardi in termini di lista di attesa, implementando l’attività ordinaria in slot orari non consueti (orario serale o festivo) – secondo Giuseppe Tarantini, Presidente Gise, Società Italiana dei Cardiologi interventisti -, tramite nuove assunzioni di personale sanitario”. Anche Sergio Iavicoli, membro del Cts del Governo, e Direttore del dipartimento di medicina dell’Inail sottolinea “l’importanza della rete della medicina territoriale, e il potenziamento degli strumenti della telemedicina – in modo che i medici operanti in quest’ultima, possano rapidamente segnalare eventuali aggravamenti clinici e “ricentralizzare” i pazienti negli ospedali”.

Una sanità a più livelli, quindi. A queste soluzioni se ne possono aggiungere altre, complementari, “secondo me si potrebbe ricorrere ad una figura finora molto marginale nel Ssn, ma che potrebbe dare un apporto estremamente importante, ovvero quella degli specialisti liberi professionisti accreditati (concetto diverso da quello delle strutture private convenzionate) – ci tiene a chiarire Filippo Anelli – sono chiamati in gergo “branche a visita”. Specialisti finanziati dallo Stato per garantire “x” visite. Oggi sono poco usate queste figure. Si può spostare una parte delle prestazioni sanitarie su questi specialisti – che si fanno carico di organizzazione e strutture in modo autonomo – aumentando budget e arruolandone di più, per provare a compensare i ritardi delle liste d’attesa e stare sul territorio”.

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view post Posted on 11/2/2021, 17:13
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Covid, Gimbe: scendono i contagi tra gli operatori sanitari.

Giù del 64%, merito del vaccino


I dati emergono da un monitoraggio della Fondazione
che rivela un primo impatto delle vaccinazioni.
Ma preoccupano le varianti del virus:
in 17 province aumento i casi del 5%



Gli operatori sanitari si contagiano di Covid meno. Molto meno. E infatti, se i nuovi casi di nella popolazione generale sono stabili da 3 settimane, tra gli operatori sanitari si sono ridotti del 64,2%: dai 4.382 rilevati dall'Istituto Superiore di Sanità (Iss) nella settimana 13-19 gennaio, quando è stata avviata la somministrazione delle seconde dosi di vaccino, ai 1.570 della settimana 3-9 febbraio.


A metterlo in evidenza è il monitoraggio della Fondazione Gimbe e, per presidente Nino Cartabellotta, "questa netta riduzione è verosimilmente effetto della somministrazione di circa 1,9 milioni di dosi di vaccino in questa categoria".


La mattina del 10 febbraio avevano completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 1.214.139 persone (2,04% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 1,38% della Calabria al 3,58% della Provincia Autonoma di Bolzano. "Anche se i ritardi - afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe - stanno rallentano la campagna vaccinale, le Regioni stanno gestendo correttamente le dosi, completando il ciclo nei tempi corretti". Rispetto alle categorie di persone vaccinate il 70% delle dosi sono state destinate a operatori sanitari, il 18% a personale non sanitario, l'11% a personale ed ospiti delle RSA e meno dell'1% a persone di età over 80 anni".

Purtroppo, prosegue Gili, "solo il 3,6% (158.805) degli over 80 ha ricevuto almeno una dose di vaccino, e solo il 2,2% ovvero 96.503, ha completato il ciclo vaccinale, percentuali molto lontane dal target di copertura raccomandato dalla Commissione Europea per questa fascia di età, ovvero l'80% entro il 31 marzo 2021".

Intanto dal 3 al 9 febbraio il numero dei nuovi contagi da Sars-Cov-2 è rimasto rispetto alla settimana precedente (84.711 rispetto a 84.652), ma in 17 Province l'incremento percentuale dei nuovi casi supera il 5% e questi aumenti marcati rappresentano "spie rosse delle varianti che incombono" per la Fondazione Gimbe che parla di "una calma purtroppo solo apparente".


Nella scorsa settimana i casi attualmente positivi sono scesi (413.967 rispetto a 437.765, pari a -5%), come anche le persone in isolamento domiciliare (392.312 rispetto a 415.234, pari a -5%), i ricoveri con sintomi (19.512 rispetto a 20.317, pari a -4%) e le terapie intensive (2.143 rispetto a 2.214, pari a -3%).



Tuttavia, in 10 Regioni si rileva un incremento percentuale dei nuovi casi e questi aumenti superano il 5% in ben 17 province. "Situazioni molto critiche come quelle dell'Umbria - spiega il presidente Nino Cartabellotta - dove le nuove varianti hanno determinato rapidamente un'impennata dei casi e la saturazione di ospedali e terapie intensive potrebbero improvvisamente esplodere ovunque". Ecco perché è fondamentale monitorare tutte le spie rosse per attuare tempestive strategie di contenimento. Nonostante la riduzione della pressione sugli ospedali, il numero dei decessi rimane molto elevato, seppur in lieve calo: sono stati 2.658 rispetto pari a -9% rispetto alla settimana precedente.

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view post Posted on 16/2/2021, 17:29
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La variante inglese, sintomi, vaccini e pericolosità:

ecco tutto quello che c'è da sapere


Secondo uno studio sarebbe più contagiosa dal 30 al 50%
e avrebbe una mortalità superiore dal 30 al 70%.
Dai sintomi ai vaccini: tutto quello che c'è da sapere



Che cos'è la variante inglese?

La variante inglese del Covid-19, indicata con le sigle 20B/501YD1 oppure B.1.1.7, è caratterizzata da 23 mutazioni, 14 delle quali sono localizzate sulla proteina Spike del virus.

Quando è comparsa per la prima volta?

E' comparsa in Gran Bretagna in settembre ed è stata resa nota a metà di dicembre 2020. Finora è stata identificata in 33 Paesi, compresa l'Italia.

La mutazione rende il virus più contagioso?

La mutazione rilevata nella posizione 501 della proteina Spike rende il virus più contagioso dal 30% al 50% rispetto ad "altre varianti non preoccupanti" in circolazione e potrebbe avere una mortalità superiore dal 30% al 70%. E' quanto indica il documento redatto dal New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group (NEVRTAG), il gruppo di esperti britannico che assiste il governo nella gestione della pandemia.

Aumenta anche la mortalità?

Analizzando i dati di 12 studi indipendenti condotti nel Regno Unito sulla variante inglese, indicata con la sigla B.1.1.7, il gruppo di esperti rileva che i dati non sono definitivi e dovranno essere ulteriormente analizzati poiché fra i diversi studi esistono differenze significative. In ogni caso, osservano, "queste analisi indicano che probabilmente la variante B.1.1.7 è associata a un aumento del rischio di ospedalizzazione e morte rispetto all'infezione da coronavirus non dovuta alla variante B.1.1. 7". Ad oggi non è nota la causa della presunta letalità superiore della variante inglese, ma tra le ipotesi c'è quella di una maggiore carica virale nei pazienti infettati.

Quanto è diffusa in Italia?

La variante inglese è ormai diffusa nella maggior parte del territorio italiano, almeno nell'88% delle regioni secondo i risultati dell'indagine rapida condotta il 4 e 5 febbraio da Istituto Superiore di Sanità (Iss) e ministero della Salute.

In quali Regioni la variante è più diffusa?

In Italia si sono sviluppati alcuni focolai locali soprattutto in Abruzzo (oltre il 50% di prevalenza), Lombardia (si stima rappresenti il 30% dei positivi), in Veneto (il 20% dei tamponi), in Puglia (il 15,5% dei casi), in Umbria e Molise. E anche in Regioni ma con casi più sporadici.

I sintomi sono gli stessi?

Sì, i sintomi sono gli stessi del Covid-19 senza mutazioni

I vaccini sono efficaci contro le varianti?

Dai primi studi infatti emerge che i vaccini Pfizer, Moderna e Astrazeneca funzionino contro questa particolare variante.


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"Con gli antinfiammatori, giù le ospedalizzazioni da Covid".

Il professor Remuzzi spiega la sua scoperta


Il direttore del Mario Negri: vacciniamo rapidamente e a giugno staremo meglio di adesso


Il ragionamento che ha condotto il Professore Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e la sua squadra di ricercatori, ad approfondire e studiare il potenziale degli antinfiammatori nella cura domiciliare dei pazienti di Covid-19 parte da un assunto molto semplice: il coronavirus è una malattia che se curata nella fase precoce basta poco per essere sconfitta. Ce lo racconta lui stesso: “Tutto è partito dall’intuizione del Primario di Malattie Infettive del nostro ospedale, il professore Fredy Suter, e da un gruppo di medici che hanno lavorato con lui e con noi: fin dall’inizio avevano l’idea che la malattia di Covid-19 si potesse curare a casa nelle fasi molto precoci, fin dai primi sintomi, senza aspettare il tampone, semplicemente come si cura qualunque infezione delle alte vie respiratorie e cioè con degli antinfiammatori”.

Fin qui, l’intuizione. Come sono andati avanti? Come si è arrivati allo studio che adesso è pubblicato in preprint?

“Hanno trattato tanti pazienti, secondo loro nessuno di questi pazienti aveva bisogno di ospedale e riuscivano a curarli tutti a casa. Naturalmente non è un fai da te, ci vuole che il medico visiti il paziente o comunque si occupi del paziente e lo segua. E’ una terapia che si modifica nel corso dei giorni a seconda di come evolve la malattia, però i risultati erano molto buoni. Tuttavia fino a quel momento non avevano un valore scientifico, per questo abbiamo condotto questo studio che, essendo retrospettivo, ha i suoi limiti, lo premetto”.

Ci spieghi meglio

“L’unico studio che potevamo fare era retrospettivo, cioè andando a vedere come erano andati dei pazienti, trattati con antinfiammatori ai primi sintomi, che avevamo selezionato per essere identici a un altro gruppo che abbiamo trattato con sistema tradizionale, cioè con vigile attesa e tachipirina. Non potevamo fare uno studio prospettico, cioè reclutando un certo numero di pazienti a un trattamento e randomizzandoli a un altro trattamento perché al Ministero della Sanità avevano già stabilito delle linee guida per i medici e il comitato etico non ha acconsentito. D’altra parte però noi abbiamo dato un razionale farmacologico molto forte a quello che proponevamo e questo è stato il contributo del Mario Negri.

Nella pratica, quale è questa cura a base di antinfiammatori che proponete?

Utilizziamo infiammatori, in particolare Celecoxib perché abbiamo trovato un forte razionale in tutta la letteratura internazionale per la capacità di Celecoxib di inibire una serie di mediatori dell’infiammazione. In altre parole eravamo certi della sua efficacia per evitare l’iiperinfiammazione da una parte e la conseguente attivazione del sistema immunologico. E poi Nimesulide, che ha le stesse proprietà. Questi non sono farmaci da utilizzare fai da te, voglio ribadirlo, ma sotto osservanza medica. In alternativa utilizziamo l’aspirina e questo per i primi 6-8 gg. Questa somministrazione avviene in fase precoce, alla comparsa dei primi sintomi. Poi si fanno degli esami in laboratorio dopo 8-10 gg, se ci sono segni di eccessiva infiammazione si somministra cortisone, mai prima di 8 giorni, e poi eventualmente eparina nel caso ci siano segni di attivazione della coagulazione.

Torniamo allo studio prospettico...

Da un certo punto in poi abbiamo seguito 90 pazienti che avevamo curato con antinfiammatori e di cui avevamo tutte le informazioni e li abbiamo confrontati con 90 pazienti identici curati come si fa di solito, con tachipirina e vigile attesa.

Cosa intende per “identici”?

Che ci hanno permesso (ed è la forza di questo studio) un confronto perfetto, perché i due gruppi di pazienti sono identici per età, sesso, comorbilità, malattie cardiovascolari, diabete, sovrappeso, sintomi, febbre, mialgia, dispnea, dolore toracico... Insomma tutto era uguale, caratteristiche e sintomi all’esordio.

E i risultati sono stati sorprendenti...

Sì, 90% di riduzione dei giorni di ospedalizzazione e 90% di riduzione dei costi è una cosa che la comunità medica deve sapere secondo noi, subito. La durata dei sintomi non si riduce rispetto alla cura tradizionale, è uguale. Ma l’obiettivo secondario che ci eravamo prefissati è centrato: 2 ospedalizzazioni su 90 con la nostra cura; 13 su 90 nei pazienti trattati con cura tradizionale. Tutto questo è nello studio che adesso è pubblico, in preprint, in attesa di essere pubblicato ufficialmente su una rivista scientifica.

Possiamo aspettarci che questa terapia possa sostituire quella tradizionale?

Ogni medico è giusto che parta da quello che ritiene opportuno rispetto al paziente che ha davanti. Il nostro sarà uno dei tanti studi a cui il medico può riferirsi: è il nostro contributo. Ma ribadisco che questa terapia ha bisogno di un intervento precoce. In generale non sono d’accordo con la “vigile attesa” perché il virus si moltiplica moltissimo nei primi 6 giorni dall’inizio dei sintomi, poi la moltiplicazione diminuisce e subentrano altre cose.

L’intervento tempestivo, dunque, è fondamentale...

Ovviamente. Oltre agli antinfiammatori da noi utilizzati c’è allo studio presso l’ospedale di Negrar, vicino Verona, l’uso dell’Ivermectina, ad esempio. I risultati non li sappiamo ancora, ma non mi meraviglierebbe se funzionasse altrettanto bene degli antinfiammatori che utilizziamo noi, dato molto precocemente. Anche gli anticorpi monoclonali funzionano se vengono dati entro 10 gg dall’inizio della malattia, altrimenti non funzionano più. Ma l’Ivermectina non è in vendita nelle farmacia, è un preparato galenico, gli anticorpi monoclonali sono molto complessi e molto costosi per questo li danno alle persone che arrivano in certe condizioni al Pronto Soccorso. Quello che proponiamo noi, invece, è una terapia semplice e si può somministrare facilmente, naturalmente sempre dopo giudizio clinico del medico.

Mi sta dicendo che se avessimo utilizzato una cura in fase precoce, senza attendere il tampone, probabilmente non saremmo arrivati a questo punto? Non avremmo avuto ospedali pieni e le conseguenze che vediamo tutti i giorni?

Questo non glielo posso dire io. E’ molto bello, ma molto impegnativo da dire: se fosse così significherebbe che bastava poco per avere un andamento diverso, ma non voglio assolutamente dire questo. Posso solo dire che noi abbiamo avuto in termini di pratica clinica questi risultati. Questo è uno studio che ha dei limiti perché è retrospettivo, anche se siamo già partiti con uno studio prospettico. Però per quanto sia retrospettivo, il numero dei pazienti è giusto, perché è stato calcolato dai nostri statistici per essere in grado di darci una differenza significativa in uno di questi obiettivi qualora ci fosse. E in effetti c’era e la differenza è enorme nell’ospedalizzazioni.

Come si vince dunque la partita contro il coronavirus?

Serve l’attenzione assoluta da parte delle persone, perché distanziamento e mascherina se fatte bene sono anche più importanti del lockdown. Servono delle cure possibilmente semplici che funzionino, magari se ne troveranno altre. Poi c’è il vaccino che è importante, ma non arriva dappertutto e poi c’è l’immunità di chi ha già contratto il virus che consente di avere degli anticorpi. Di recente in uno studio pubblicato su Nature si è scoperto che la variante sudafricana produce anticorpi capaci di combattere qualunque tipo di variante. Sono tante le cose, noi abbiamo portato un piccolissimo contributo a un puzzle molto complesso. Se anche lo studio prospettico confermerà la pratica clinica, che non ha nessun valore scientifico, che ha dei limiti, ma che ha fatto vedere dei risultati così importanti che non possiamo ignorare, le cose potrebbe essere diverse.

Sembra di non uscirne mai, sembra di non vederne mai la fine. E’ davvero così difficile arginare il coronavirus?

Questo virus è difficile da controllare perché con le varianti si diffonde molto rapidamente. Ma non dimentichiamo che ogni anno l’influenza fa dagli 8 ai 20 mila morti e questo pochissimi lo sanno e non suscita nessuna emotività. Quest’anno grazie alle misure di protezione individuali questi morti non ci sono stati, in compenso ne abbiamo avuti di più, ma non è un ordine di grandezza tanto diverso. La cosa che fa stare più male è un’altra: le persone anziane che hanno complicazioni da influenza muoiono in due giorni. Con il coronavirus alcuni guariscono, altri no, la rianimazione è molto penosa per loro, stanno molto male e muoiono dopo un’agonia di 40 giorni. Però non dobbiamo dimenticare che per l′80% delle persone questo coronavirus si risolve come tutti gli altri coronavirus, in maniera molto semplice e guariscono da sole. Per questo è importante il nostro studio: su 90 persone solo 2 vanno in ospedale. 2 rispetto a 13. Non voglio enfatizzare, ma pone le basi per fare altri studi che confermino che effettivamente è così semplice.

Quanto è distante la fine di questo incubo?

Difficile fare previsioni. Penso che fra la bella stagione, la vaccinazione e il fatto che l’epidemie hanno delle campane di 40 giorni e poi tendono a diminuire, mi auguro che a giugno staremo molto meglio di adesso. E poi naturalmente dipende da quanto riusciamo a vaccinare.

Sarebbe meglio fare una singola dose a tutti per accelerare?

Io non ho mai parlato di singola somministrazione, ma di ritardo nella seconda dose perché ritengo che l’importante sia vaccinare soprattutto la popolazione dai 70 anni in su il più rapidamente possibile: il CDC ha fatto vedere che la prima dose di tutti i vaccini conferisce una protezione dell′80% e del 100% per quanto riguarda la malattia grave. Nessuno sottolinea il fatto che il 60-70% di efficacia dei vaccini è relativo a piccoli sintomi. Come ha detto Francis Collins: ‘noi vogliamo non avere la tosse o il raffreddore o vogliamo non ammalarci in maniera grave?’ Se non vogliamo ammalarci in maniera grave la prima dose va fatta rapidamente a tutti: la controprova ce l’hanno gli inglesi: prima dose a tutti, qualche mese fa avevano 1600 morti, oggi ne hanno zero. Un miracolo, non c’è niente in medicina che ho visto funzionare così.

Parliamo di AstraZeneca e dei suoi effetti collaterali...

L’Oms, l’Ema e tutti gli enti regolatori hanno sempre detto che non c’è niente che si può fare prima e non c’è niente che si può fare dopo per minimizzare gli effetti collaterali che sono soprattutto un disagio: mal di testa, stanchezza, febbre. Come se fossero un piccolo Covid, ma che passa in pochi giorni. Per quanto riguarda una complicanza rarissima, la trombosi cerebrale, che è verosimile che dipende al vaccino, ma che è così rara da non potersi comparare agli effetti benefici del vaccino, con una diagnosi molto precoce è verosimile che si possa curare. Tuttavia, ripeto, questa complicanza grave, che colpisce donne in età fertile che in tutta Europa sono state 27 su 29 milioni di vaccini, è rarissima. Non dipende sicuramente dal vaccino, invece, la grande quantità di episodi tromboembolici che si possono verificare e che sono uguali a quelli che si verificano nella popolazione non vaccinata.

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"L'immunità di gregge è impossibile, ma la svolta sarà dopo l'estate"

Antonella Viola spiega all'Huffpost perché non raggiungere
questa soglia di protezione potrebbe non essere un problema

di Linda Varlese


All’inizio della pandemia, quando i vaccini per il coronavirus erano ancora solo un miraggio, il termine “immunità di gregge” sembrava significare la fine dei giochi. Rappresentava il punto in cui un numero sufficiente di persone sarebbe stato protetto dal virus, in modo da potersi liberare dell’agente patogeno e riprendere a vivere.

Oggi che (al momento in cui scriviamo) oltre 1 miliardo di persone nel mondo è stato vaccinato e sono circa il 25% i vaccinati con prima dose in Italia, questo traguardo sembra paradossalmente più lontano, se non “irraggiungibile”, come ci informano gli esperti. Dovremmo preoccuparci? Pare di no. O meglio, la conclusione alla quale stanno arrivando gli scienziati è che nel tempo il virus diventerà una minaccia gestibile, a prescindere dal raggiungimento dell’immunità di gregge, continuando a circolare nel mondo privo però della pericolosità e della letalità attuale. In altre parole, diventerà poco più che un’influenza.

Il cambiamento di prospettiva rappresenta una nuova sfida per le autorità sanitarie. La spinta all’immunità di gregge ha catturato l’immaginazione di ampi segmenti di pubblico. Dire che l’obiettivo non può essere raggiunto, potrebbe gettare i più nello sconforto, se non addirittura fare da sponda agli scettici per rifiutare la vaccinazione. Ebbene, conviene dirlo subito: le vaccinazioni rimangono la chiave per trasformare il virus in una minaccia controllabile. Tra i più grandi sostenitori di questa teoria, anche Anthony Fauci, il massimo consigliere dell’amministrazione Biden su Covid-19:

“La gente pensava che non saremmo mai riusciti a ridurre le infezioni se non raggiungendo questa soglia mistica che è l’immunità di gregge”, ha detto. “Ecco perché abbiamo smesso di usare l’immunità di gregge nel senso classico”, ha aggiunto. “Voglio dire: dimenticatela per un secondo. La sfida è: vacciniamo abbastanza persone e le infezioni diminuiranno”.

Sulla stessa lunghezza d’onda, Antonella Viola, immunologa e Professoressa Ordinaria di Patologia Generale presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova.

Professoressa Viola, perché raggiungere l’immunità di gregge è “impossibile”?

“Il concetto di immunità di gregge è complicato: non significa semplicemente vaccinare una certa percentuale della popolazione, vuol dire fare in modo di bloccare di fatto la circolazione del virus. Per riuscirci bisogna calcolare con una formula matematica quante persone dobbiamo vaccinare. All’inizio, quando il virus era ancora quello originario di Wuhan, si era calcolato che si sarebbe potuta raggiungere l’immunità di gregge vaccinando circa il 70% della popolazione. Però ora si innescano due ordini di problemi”.

Quali?

“La soglia del 70% è credibile se si considerano vaccini con efficacia al 100%. Con vaccini con efficacia minore, la soglia percentuale dell’immunità di gregge deve necessariamente salire. Se ho vaccini, come quelli adenovirus che hanno un’efficacia minore rispetto a quelli mRna, saremo costretti ad alzare la soglia per il raggiungimento dell’immunità di gregge. Poi c’è un altro problema”.

Ci dica

“Il virus è cambiato. La variante inglese è molto più trasmissibile. Già questo di per sé, senza considerare la questione dei vaccini, ci costringe a dire che non ci basterebbe più vaccinare il 70% della popolazione, anche con vaccini efficaci al 100%, ma dovremmo vaccinare l′80%. Se arriveranno varianti più trasmissibili, la soglia dovrà salire. Quindi siamo già all′80%, se aggiungiamo che i vaccini non sono efficaci al 100%, dovremmo arrivare a vaccinare il 100% delle persone per raggiungere l’immunità di gregge e questo sappiamo già che è impossibile.

Perché naturalmente ci saranno persone che non si vaccineranno per una serie di ragioni...

“Esatto. Dobbiamo considerare tra le altre cose che per i bambini attualmente il vaccino non esiste, una buona percentuale di no vax che non si vaccinerà, una percentuale di persone che per una serie di motivi non potrà essere vaccinata, un’altra percentuale di persone nella quale i vaccini non funzioneranno, penso agli immunocompromessi, ai sottoposti a terapie immunosoppressive. Per tutta questa serie di motivi l’immunità di gregge non potrà essere raggiunta”.

E’ un problema?

“No, nel senso che se ci vacciniamo tutti e abbiamo le persone fragili che sono protette, se anche il virus circolerà non sarà un grosso problema. Dobbiamo abituarci all’idea che il virus continuerà a circolare, ma una volta che tutti saremo stati o contagiati o vaccinati, una successiva esposizione al virus molto probabilmente sarà una cosa tipo un’influenza e niente di più grave, a meno che il virus non cambi continuamente le sue caratteristiche. Ma la previsione è che un virus che continuerà a circolare diventerà endemico. Le persone fragili dovranno continuare ad essere vaccinate, mentre i giovani che sono stati già vaccinati una volta oppure che hanno già avuto il virus, alla seconda, terza, quarta infezione avranno il sistema immunitario almeno parzialmente pronto a reagire”.

Quanto è lontano il momento in cui in Italia potremo dirci al riparo, se non salvi, dal Coronavirus? Quanto è lontano il momento in cui il virus diventerà endemico?

“Da tanto tempo dico che l’estate sarà il momento di svolta e lo confermo. La campagna di vaccinazione adesso ha preso una bella accelerata e sta andando molto bene per cui entro l’estate avremo sicuramente vaccinato tutte le persone più fragili. Magari non avremo vaccinato i giovanissimi per i quali però, tranne qualche rarissima eccezione, questa patologia non è un problema. Il caldo ci aiuterà: come abbiamo visto l’anno scorso la circolazione del virus si riduce durante l’estate sia per effetto dell’irraggiamento, sia per il fatto che stiamo più all’aperto e meno nei luoghi chiusi dove avviene preferenzialmente il contagio. Queste condizioni faranno sì che durante l’estate ci sarà un alleggerimento dell’infezione, le vaccinazioni andranno avanti e le persone a rischio saranno protette. A settembre, quando torneremo a scuola e negli ambienti chiusi e il virus potrebbe tornare a circolare, la stragrande maggioranza delle persone sarà protetta. Per cui a quel punto, a meno che il virus non cambi drasticamente, non ci saranno più problemi”.

Cosa ci dice dei richiami per i primissimi vaccinati?

“Possibile che si renda necessario un richiamo verso settembre. Ma a quel punto ci sarà tanta disponibilità di vaccini. Pfizer e Moderna stanno portando avanti test per la terza dose. Inoltre, in maniera prudenziale si è parlato di 6 mesi, ma penso che l’immunità durerà ben oltre i 6 mesi. Speriamo, comunque, si possa completare prima la vaccinazione per i non immunizzati, per poter pensare poi ai richiami”.

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view post Posted on 28/6/2021, 09:54
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Vaccino Covid, gli effetti collaterali:

dolore al braccio, febbre, mal di testa.

Perché vengono e quanto durano?

Nove disturbi su dieci sono lievi o moderati,
dovuti all’attivazione del sistema immunitario
e al conseguente stato infiammatorio:
ecco quanto durano, di norma


di Laura Cuppini


Gli «effetti collaterali» dei vaccini Covid sono oggetto della massima attenzione: da parte delle aziende produttrici, della Farmacovigilanza e delle Agenzie regolatorie, ma soprattutto da parte di chi si è vaccinato o deve ancora farlo.

Facciamo un passo indietro: in Italia sono attualmente autorizzati e utilizzati quattro vaccini, due basati sulla tecnologia dell’Rna messaggero (Comirnaty di Pfizer/BioNTech e Moderna) e due sull’uso di un vettore virale (Vaxzevria di AstraZeneca e Janssen di Johnson & Johnson).

Sono state somministrate quasi 50 milioni di dosi e oltre 17 milioni di italiani sopra i 12 anni (32,5% della popolazione) hanno completato il ciclo.

Il vaccino più utilizzato (non ché il primo ad essere stato approvato) è Pfizer, con 37 milioni di dosi consegnate; seguono AstraZeneca (10 milioni di dosi), Moderna (5 milioni) e Janssen (quasi 2 milioni).

La prima dose di AstraZeneca, la seconda dose di Pfizer e Moderna

Nell’ultimo Rapporto sulla farmacovigilanza, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) parla di 204 segnalazioni di eventi avversi ogni 100mila dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino e dalla gravità del disturbo.

I più comuni sono febbre, stanchezza, cefalea, dolori muscolari/articolari, dolore in sede di iniezione, brividi e nausea: risultano più frequenti dopo la seconda dose dei vaccini a mRna e dopo la prima dose di AstraZeneca.

A quest’ultimo vaccino sono correlati anche i rarissimi casi di trombosi venose intracraniche e in sede atipica (1 caso ogni 100mila prime dosi somministrate, nessun caso dopo la seconda dose), prevalentemente in persone con meno di 60 anni, che hanno spinto il Ministero della Salute a decidere di non utilizzare AstraZeneca in alcune fasce d’età. Sul vaccino Janssen non sono stati ancora raccolti sufficienti dati.

Il giorno stesso la vaccinazione (e il giorno dopo)

Per quanto riguarda gli eventi lievi-moderati e quindi non gravi — che sono il 90% del totale — la reazione si è verificata nella maggior parte dei casi (83%) nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno successivo e solo più raramente l’evento si è verificato oltre le 48 ore successive.

Dopo i vaccini a mRna — Pfizer e Moderna —, le reazioni più frequenti sono febbre, dolore al braccio, stanchezza/debolezza, brividi e malessere generale.

Cambiano di poco gli effetti dei vaccini a vettore virale (AstraZeneca e Janssen): febbre, stanchezza/debolezza, brividi e dolore in sede di iniezione.

Molte donne hanno segnalato irregolarità nel ciclo mestruale dopo la vaccinazione, ma ad oggi non ci sono prove scientifiche che i due fenomeni possano essere collegati.

Prendiamo in esame due effetti molto comuni (febbre e male al braccio) e un terzo, particolarmente fastidioso: il mal di testa acuto e persistente.

Perché si sente male al braccio dopo l’iniezione?

Perché dopo l’iniezione il braccio può essere gonfio, dolorante, arrossato?

C’è anche chi avverte dei formicolii.

Prima di tutto va detto che il dolore al braccio — più comune con i vaccini a mRna, cioè Pfizer e Moderna — non viene percepito da tutti ed è comune anche ad altri vaccini non-Covid.

Può svilupparsi qualche ora dopo l’iniezione e durare alcune ore o giorni: è dovuto all’attivazione del sistema immunitario.

L’intensità di questa attivazione può dipendere da vari fattori: età, sesso, stress.

In alcuni soggetti lo stato infiammatorio è più marcato, ma ciò non significa che siano più protetti di altri che dopo l’iniezione sono stati bene.

A volte il dolore al braccio si associa a un rigonfiamento dei linfonodi nell’area dell’ascella, che può durare alcuni giorni.

Tutte queste reazioni — è bene sottolinearlo — sono assolutamente normali e non preoccupanti.

Così come l’arrossamento e il gonfiore (segnalato in particolare dopo il vaccino Moderna), dovuti a un temporaneo aumento dell’afflusso di sangue. In uno studio americano è stata esaminata una peculiare reazione cutanea che può verificarsi dopo la vaccinazione con Moderna: una eruzione pruriginosa, a volte dolorosa, che dura in media 5 giorni.

L’area dell’iniezione non va massaggiata, se il dolore è forte si può applicare del ghiaccio o consultare il proprio medico di famiglia.

Perché viene la febbre?

L’infiammazione può non limitarsi al braccio sede dell’iniezione ed espandersi ad altre parti del corpo, causando in primo luogo un aumento della temperatura (febbre) e dolori diffusi.

Come detto, la febbre si manifesta principalmente dopo la prima dose nei vaccini a vettore virale e dopo la seconda nei vaccini a mRna.

Solitamente si presenta entro due giorni dal vaccino, e scompare nel giro di 48 ore.

In caso di forte malessere, sentendo il parere del proprio medico, si può prendere paracetamolo o ibuprofene (quest’ultimo non è indicato in gravidanza).

Perché viene il mal di testa

Un dolore alla testa acuto e persistente dopo la vaccinazione non deve preoccupare, eventualmente — consultando il proprio medico — si può prendere un antidolorifico.

Ci sono invece dei rari casi in cui il mal di testa deve allertare, ma sono facilmente riconoscibili.

Il mal di testa causato dalla trombosi cerebrale è peculiare: lancinante e accompagnato da sintomi neurologici (difficoltà a muoversi e/o parlare, visione doppia).

Anche nella trombosi alle vene dell’addome (sede atipica), si percepisce un dolore estremamente intenso nella parte colpita.

Se si presenta uno di questi sintomi gravi — per i quali esiste una cura — bisogna rivolgersi immediatamente al medico di famiglia e, se non si riesce a contattarlo, è bene chiamare il numero di emergenza (112).

In generale è importante segnalare qualunque sospetta reazione avversa post vaccino, per esempio attraverso il sito www.vigifarmaco.it.


www.corriere.it

 
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view post Posted on 12/10/2021, 12:21
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Pillola anti Covid, Merck chiede via libera a Fda

Al lavoro con altre agenzie regolatorie per le domande di autorizzazione
del farmaco in grado di dimezzare ricoveri e decessi


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La pillola antivirale contro il Covid di Merck arriva sulla scrivania della Fda. Ad annunciarlo è l'azienda Usa insieme a Ridgeback Biotherapeutics, con cui è stato sviluppato il farmaco: "Oggi abbiamo presentato una domanda di autorizzazione all'uso di emergenza alla statunitense Fda per il nostro trattamento antivirale orale per Covid-19", comunicano. Molnupiravir viene proposto per il trattamento di Covid-19 da lieve a moderato negli adulti a rischio di progressione verso forme gravi e ricovero.

"Se autorizzato, potrebbe essere il primo farmaco antivirale orale per il trattamento" della malattia causata dal coronavirus Sars-CoV-2, sottolineano in una nota le due aziende, che aggiungono di essere impegnare a lavorare "attivamente con le agenzie regolatorie di tutto il mondo per presentare domande per l'uso di emergenza o l'autorizzazione all'immissione in commercio nei prossimi mesi" per il farmaco.

La presentazione della richiesta negli Stati Uniti si basa sui risultati positivi di un'analisi intermedia pianificata relativa allo studio clinico di fase 3 Move-Out. Analisi secondo cui molnupiravir ha ridotto il rischio di ospedalizzazione o morte di circa il 50%.

"L'impatto straordinario di questa pandemia richiede che ci muoviamo con un'urgenza senza precedenti, ed è ciò che i nostri team hanno fatto presentando questa domanda per molnupiravir alla Fda entro 10 giorni dalla ricezione dei dati", ha affermato Robert M. Davis, Ceo e presidente di Merck. La presentazione alla Fda "è un passo fondamentale verso la disponibilità di molnupiravir per le persone che potrebbero beneficiare di un antivirale orale che può essere assunto a casa poco dopo la diagnosi", ha aggiunto Wendy Holman, Ceo di Ridgeback Biotherapeutics.

In vista di un potenziale via libera, Merck spiega di aver cominciato a produrre molnupiravir a rischio e di prevedere di arrivare alla produzione di 10 milioni di cicli di trattamento entro fine 2021.

Molnupiravir è anche in fase di valutazione per la profilassi post-esposizione nel trial di fase 3 Move-Ahead, in cui si valuta efficacia e sicurezza dell'antivirale nella prevenzione della diffusione di Covid-19 all'interno delle famiglie.


www.adnkronos.com

 
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view post Posted on 25/10/2021, 08:30
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Nobel Parisi fa la terza dose del vaccino anti Covid:

"E' fondamentale. La paura di vaccinarsi è irrazionale"


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Per il Nobel Giorgio Parisi è il giorno della terza dose del vaccino anti Covid-19.

Si è vaccinato a Roma, vicino all'Università La Sapienza. Un'iniezione al braccio sinistro e poi la consueta attesa di un quarto d'ora.

"Fare la terza dose del vaccino è fondamentale perché riduce ulteriormente la probabilità di prendere la malattia in forma sintomatica e grave", ha detto il Nobel all'ANSA.

La sua terza dose è anche l'occasione per dire che "la paura di vaccinarsi è irrazionale".

Per Parisi "è abbastanza chiaro che siamo in una situazione molto buona per via delle vaccinazioni" ed è "molto ragionevole - ha aggiunto - che tutti coloro sopra i 60 anni facciano la terza dose, così come tutti coloro che sono esposti a contatti".


www.ansa.it

 
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view post Posted on 21/11/2021, 10:49
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Covid Italia, Vaia:

"Numeri non devono spaventare,

vaccinarsi per un buon Natale"


Per il direttore sanitario dello Spallanzani è "saggio anticipare terza dose a 5 mesi"
e "introdurre l'obbligo vaccinale per tutte le categorie a contatto con il pubblico"


francesco_vaia_spallanzani_fg_2008


I numeri del Covid-19 in Italia "non devono spaventarci, si tratta di numeri attesi, non dimentichiamo che siamo nel periodo invernale, propizio alle malattie respiratorie, e le attività sono tutte aperte". Piuttosto, "andiamo tutti a vaccinarci, così sarà un buon Natale". A fare il punto è Francesco Vaia, direttore sanitario dell'Istituto Spallanzani di Roma, ospite al Tg4.

"Dobbiamo fare tutti la terza dose, nel minor tempo possibile - rimarca Vaia - perché abbiamo visto che purtroppo, per colpa della variante Delta e Delta plus, l'efficacia del vaccino si abbassa moltissimo fra i 5 e i 6 mesi" dal completamento del ciclo vaccinale. Secondo Vaia, dunque, "è saggio cominciare già dal quinto mese e vaccinarci. Questa è la strada", sottolinea aggiungendo che "in rianimazione allo Spallanzani per i due terzi sono ricoverate persone non vaccinate, un terzo è vaccinato ma si tratta di persone molto anziane o con più patologie. Questi sono dati, il resto sono chiacchiere".

Secondo Vaia, inoltre, "bisogna ampliare la fascia dell'obbligo vaccinale a tutte le persone che hanno rapporti con il pubblico, a partire dal personale sanitario, le forze dell'ordine, il personale scolastico docente e non docente, i dipendenti della grande distribuzione. Bisogna con coraggio andare avanti e allargare l'obbligo vaccinale a queste categorie".

www.adnkronos.com

 
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view post Posted on 5/12/2021, 12:24
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Variante Omicron "è diventata preoccupante":

vaccini e sintomi, cosa sappiamo


Palù: "Ha tutte quelle mutazioni che sono correlate a immunoevasività e maggior contagiosità"

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La variante Omicron "è diventata preoccupante". I dati sulle caratteristiche dell'ultima variante del covid in relazione a sintomi e vaccini - mentre in Italia viene individuato in Alto Adige il nono caso nazionale - non producono ancora giudizi definitivi ma il livello di attenzione sale. Mentre i contagi aumentano, arrivano le parole del presidente dell'Aifa, il professor Giorgio Palù. "Omicron è una variante che è diventata preoccupante, perché ha ben 38 mutazioni e soprattutto ha tutte quelle mutazioni nella proteina S che, nelle varianti precedenti a questa, sono correlate a immunoevasività e maggior contagiosità", dice a Sky Tg24. La variante Omicron si candida quindi ad essere più contagiosa di Delta, attualmente dominante, e minaccia l'efficacia dei vaccini. La variante Omicron inoltre "ha anche altre 23 mutazioni in altri punti del genoma, alcune importanti perché legate a geni che regolano la replicazione del virus", aggiunge. Riflettori accesi, quindi, in attesa di certezze: "Quello che però dobbiamo guardare con attenzione è che ci vuole un po' di tempo per fare gli esperimenti giusti. Per esempio, per verificare se è più immunoevasiva, bisogna ricostruire un virus chimerico che abbia sulla sua superficie la molecola S, per questo ci vorranno un paio di settimane".

LIVELLO DI ALLARME SALE

Non passano inosservate le parole del professor Alessandro Vespignani. "Le agenzie internazionali stanno alzando il livello di allarme rispetto a Omicron. Questo non è perché si divertono ad agitare la politica e i mercati. Lo fanno sulle analisi di risultati che preliminarmente cominciano a circolare tra addetti ai lavori", evidenzia il fisico in una serie di tweet per fare chiarezza sulla variante Omicron. "Questo non è allarmismo, ma valutazione del rischio epidemiologico che emerge dalla discussione di centinaia di scienziati di tutte le discipline, policy maker etc. La scienza non è quello che pensa lo scienziato Y o lo scienziato Z. La scienza è un processo collettivo", puntualizza Vespignani.

"Dovrebbe essere chiaro che le agenzie di salute pubblica non lavorano guardando i grafici e le dichiarazioni su Twitter. Appena scattato l’allerta le agenzie hanno mobilitato centinaia di scienziati, work group etc. che hanno cominciato a produrre analisi", scrive il docente della Northeastern University. "Questi risultati, giustamente e con senso di responsabilità, non vengono tutti diffusi sui media/social a meno che non siano definitivi e solidi. Questo però non toglie che dopo oltre una settimana ci sono analisi e dati preliminari che vengono discussi con attenzione. Purtroppo al momento molte di queste analisi, certamente da confermare, non hanno un segno positivo - chiosa - Unitamente alla dispersione della variante (centinaia di casi/35 paesi- e questa è solo la punta dell’iceberg), le agenzie vanno a rafforzare il livello di allerta".

"Assicuro, le agenzie non vedono l’ora di fare marcia indietro se emergeranno buone notizie (tutti ci speriamo e ancora mancano informazioni importanti). Per ora però - ribadisce il fisico - è loro dovere convogliare la richiesta di 'attenzione' che emerge dal lavoro della comunità scientifica".

VARIANTE OMICRON IN EUROPA, I DATI

Il bilancio europeo della variante è racchiusi nei numeri dell'Ecdc, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie: altri 58 casi positivi nei Paesi Ue e dello spazio economico europeo (Islanda, Norvegia e Liechtenstein), per un totale di 167 casi finora, in 17 Stati. In Italia i casi rilevati risultano ancora 9; il Portogallo, che conserva forti legami con Angola e Mozambico, ex colonie, è quello che ne registra di più, 34. Il Lussemburgo riporta il suo primo caso, mentre altri casi "probabili" di Omicron sono sotto esame in diversi Paesi.

La maggioranza dei positivi alla variante scoperta in Sudafrica ha viaggiato nel Continente, fatta eccezione per i contagi sequenziati in Belgio, Germania, Spagna. Tutti i casi per cui sono disponibili indicazioni sull'intensità dei sintomi sono asintomatici o lievi, conferma l'Ecdc. Finora non è stato registrato alcun morto tra i positivi alla variante Omicron, anche se, avverte l'agenzia con sede a Stoccolma, il numero dei casi è troppo basso per capire se lo spettro dei sintomi provocati dalla variante differisca o meno da quello delle precedenti versioni del Sars-CoV-2.

VARIANTE OMICRON E RAFFREDDORE

"La nuova variante che ha terrorizzato forse ingiustamente il mondo, ha acquisito un 'pezzetto' del virus del raffreddore comune. Ecco spiegato perché darebbe quadri clinici più lievi, rispetto alla Delta, molto simili al raffreddore", è l'annotazione del professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive all'ospedale Policlinico San Martino di Genova, che riporta su Facebook uno studio internazionale ancora in preprint.

Secondo i risultati ottenuti dai ricercatori, spiega Bassetti, "Omicron grazie a questa aggiunta di materiale genetico del virus del raffreddore è più 'umana' e meno animale rispetto al SarsCoV2 iniziale. Per questo sfugge più facilmente al nostro sistema immunitario che non la riconosce come totalmente estranea. Si tratta di una ricerca molto interessante che, se confermata, dimostrerebbe per la prima volta - sottolinea l'infettivologo - che il virus del Covid si sta spontaneamente indebolendo perdendo la sua forza iniziale di causare malattie gravi. A questo punto c’è quasi da sperare che la Omicron soppianti la Delta e le altre precedenti varianti. Sarà anche forse più contagiosa, ma se assomiglia così tanto al raffreddore…".


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view post Posted on 10/12/2021, 11:49
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Ema ed Ecdc “promuovono” la vaccinazione eterologa

sia per le prime due dosi che per la dose addizionale o di richiamo.

Terza dose (booster) possibile a distanza di 3/6 mesi.

Ecco tutte le raccomandazioni congiunte



Le due isitutuzioni europee hanno diramato oggi una serie di raccomandazioni su come utilizzare la vaccinazione eterologa,
alternando vaccini mRna a vaccini adenovirali o anche due vaccini mRna diversi.
Ema ed Ecdc sottolineano che al momento le risultanze provenienti da alcuni studi sulla vaccinazione eterologa suggeriscono
che la combinazione di vaccini con vettori virali e vaccini mRNA produce buoni livelli di anticorpi
contro il virus COVID-19 (SARS-CoV-2) e una risposta delle cellule T più elevata rispetto all'utilizzo dello stesso vaccino (vaccinazione omologa)
e questo sia in regime primario che di richiamo con una tolleranza generalmente buona.


07 DIC - La vaccinazione eterologa per prevenire il Covid, ovvero alternare vaccini a mRna con quelli a vettore virale, funziona sempre. Sia se si adotta durante il ciclo vaccinale primario (due dosi) che per la terza dose addizionale o di richiamo.

Lo ribadiscono oggi in una nota congiunta l’Ema e l’Ecdc, prendendo atto che “un numero crescente di studi clinici, supportati da prove del mondo reale, ha ora esaminato la possibilità di utilizzare due diversi vaccini COVID-19 1, sia per la prima che per la seconda dose di un vaccino primario ciclo (iniziale), noto come vaccinazione primaria eterologa, o utilizzo di una terza dose di un diverso vaccino COVID-19 come richiamo da 3 a 6 mesi dopo un ciclo di vaccinazione primaria (potenziamento eterologo)”.

Le due istituzioni hanno quindi provveduto ad esaminare le prove disponibili per fornire specifiche raccomandazioni e consigli tecnici sulla vaccinazione eterologa contro il COVID-19, sia nel corso primario o come richiamo.

Ema ed Ecdc sottolineano che al momento le risultanze provenienti da alcuni studi sulla vaccinazione eterologa suggeriscono che la combinazione di vaccini con vettori virali e vaccini mRNA produce buoni livelli di anticorpi contro il virus COVID-19 (SARS-CoV-2) e una risposta delle cellule T più elevata rispetto all'utilizzo dello stesso vaccino (vaccinazione omologa) e questo sia in regime primario che di richiamo con una tolleranza generalmente buona.


L'uso di un vaccino vettore virale come seconda dose negli schemi di vaccinazione primaria, o l'uso di due diversi vaccini mRNA, è invece meno studiato.

Ema ed Ecdc sottolineano quindi che - mentre la ricerca è in corso per fornire maggiori prove sulla sicurezza a lungo termine, sulla durata dell'immunità e sull'efficacia - l'uso di programmi eterologhi può offrire flessibilità in termini di opzioni di vaccinazione, in particolare per ridurre l'impatto sull'introduzione del vaccino nel caso in cui un vaccino non fosse disponibile per qualche ragione.

Raccomandazioni tecniche e consigli sulla vaccinazione eterologa primaria e di richiamo COVID-19
A seguito dell'analisi delle prove disponibili, l'EMA e l'ECDC hanno emesso le seguenti raccomandazioni e consigli tecnici:

Considerazioni sulla vaccinazione primaria eterologa

- Le prove attualmente disponibili puntano costantemente verso una tollerabilità accettabile e risposte immunitarie migliorate con il regime eterologo sequenziale del vaccino vettoriale/vaccino mRNA rispetto al regime vaccinale del vettore omologo;

- Alcuni studi hanno riportato una maggiore reattogenicità (ad es. dolore, febbre, cefalea, affaticamento) della vaccinazione eterologa, ma i risultati non sono coerenti. Per quanto riguarda le reazioni avverse che si verificano raramente, non ci sono dati sufficienti per trarre conclusioni;

- Per quanto riguarda l'immunogenicità, gli studi sono coerenti nel dimostrare che il regime eterologo è in grado di indurre risposte immunitarie significativamente aumentate, comprese le cellule B di memoria migliorate, rispetto a un regime di vettore virale omologo. A volte si osserva un leggero aumento delle risposte immunitarie umorali rispetto alla vaccinazione omologa con mRNA, ma non in modo coerente, supportando nel complesso una risposta anticorpale simile;

- L'aumento dell'immunogenicità sembra coerente con l'aumento dell'efficacia del vaccino contro l'infezione sintomatica SARS-CoV-2 del regime di mRNA del vettore eterologo rispetto all'immunizzazione del vettore omologo basato su diversi studi osservazionali di buona qualità;

- Evidenze preliminari ma consistenti indicano che il regime eterologo è in grado di indurre un'ampia gamma di risposte immunitarie, con una migliore cross-reattività umorale e cellulo-mediata contro diverse varianti, che si tradurrebbe in una migliore efficacia sulla base degli studi visti finora;

- Nel complesso i dati presentati supportano l'uso di schemi misti vettore/mRNA. Sulla base delle prove viste finora e delle conoscenze cliniche esistenti, somministrare una seconda dose di vaccino mRNA ai precedenti destinatari di una singola dose di vaccini vettori è una strategia di vaccinazione vantaggiosa dal punto di vista immunologico con un impatto positivo sul livello raggiunto di protezione da infezioni e malattie. Ci sono meno prove sui regimi di vaccinazione con mRNA eterologhi, ma sufficienti per indicare che tale approccio potrebbe essere utilizzato anche quando è necessaria flessibilità o accelerazione nelle campagne di vaccinazione. I dati sulla sicurezza dopo tali regimi di mRNA eterologhi sono attualmente in fase di studio per determinare se vi sia un aumento del rischio di miocardite;

- Somministrare un vaccino a vettore adenovirale come seconda dose dopo un vaccino mRNA potrebbe essere preso in considerazione se c'è un problema con la disponibilità di vaccini mRNA, ma sulla base dei dati limitati disponibili potrebbe essere meno vantaggioso da un punto di vista immunologico rispetto alla sequenza opposta;

- I dati sulla protezione a lungo termine dopo la vaccinazione primaria eterologa o omologa sono limitati, ma alcuni studi suggeriscono un calo della protezione contro l'infezione sintomatica da 6 mesi dopo la vaccinazione eterologa. Alcuni di questi studi mostrano anche che il declino dell'efficacia è maggiore e più veloce per Vaxzevria rispetto ad altri regimi e che il declino è complessivamente più veloce tra gli individui fragili più anziani e gli individui con comorbidità;

- Sono necessarie ulteriori ricerche per studiare l'uso di regimi eterologhi in individui immunodepressi.

Considerazioni sulla vaccinazione di richiamo eterologa

- Le prove disponibili finora con diversi tipi di vaccini autorizzati indicano che un richiamo eterologo sembra buono o migliore in termini di risposte immunitarie rispetto a un richiamo omologo. Tra le combinazioni di booster eterologhe, il potenziamento con un mRNA dopo una serie primaria di vettori è più immunogenico del contrario. Inoltre, il profilo di sicurezza delle combinazioni di richiamo eterologhe e omologhe rimane comparabile sulla base dei dati disponibili;

- Una strategia di vaccinazione di richiamo eterologa può quindi essere considerata come una strategia alternativa, ad esempio per migliorare la protezione che può essere ottenuta con alcuni vaccini, per consentire una maggiore flessibilità in caso di problemi con l'autorizzazione, la fornitura o la disponibilità del vaccino. I dati attualmente disponibili supportano la somministrazione sicura ed efficace di una dose di richiamo già a 3 mesi dal completamento della vaccinazione primaria qualora un intervallo così breve sia desiderabile dal punto di vista della salute pubblica, nonostante le attuali raccomandazioni di somministrare il richiamo preferibilmente dopo 6 mesi;

- I dati sulla sicurezza forniscono informazioni limitate ma rassicuranti riguardo alla reattogenicità a breve termine per qualsiasi combinazione di richiamo. Una dose di richiamo eterologa del vaccino vettore virale o Spikevax tende a dare più eventi avversi correlati alla reattogenicità locale o sistemica. Ampi studi osservazionali forniranno ulteriori prove rispetto al verificarsi di eventi avversi rari , come la miocardite, con booster omologhi o eterologhi;

- Sebbene ci si aspetterebbe che una risposta immunitaria più elevata si traduca in una maggiore protezione contro infezioni e malattie, anche da diverse varianti di preoccupazione, a causa della mancanza di dati di riferimento precisi, non è possibile definire con precisione in questa fase fino a che punto un'immunogenicità così migliorata si tradurrebbe in una maggiore efficacia. Tuttavia, i dati di efficacia emergenti mostrano una maggiore protezione dalla malattia sintomatica dopo il potenziamento eterologo con un vaccino mRNA durante la diffusione della variante Delta;

- La somministrazione di dosi di richiamo, sia omologhe che eterologhe, deve tenere conto del calo della protezione nel tempo e dell'intervallo ottimale per una risposta immunitaria efficiente. Al momento non ci sono dati in individui immunodepressi per supportare una raccomandazione per il potenziamento eterologo.

Altre misure di protezione

Per Ema ed Ecdc, comunque, anche con la vaccinazione, è opportuno mantenere in uso anche le altre misure come il distanziamento fisico, la garanzia di un'adeguata ventilazione negli spazi chiusi, il mantenimento delle misure di igiene delle mani e delle vie respiratorie, l'uso appropriato di maschere per il viso e il restare a casa in caso di malattia.

E questo anche perché, sottolineano le due istituzioni europee, sebbene i vaccini siano estremamente importanti nella prevenzione del ricovero e della morte e finora abbiano offerto protezione contro tutte le varianti, non possono prevenire la malattia in ogni caso.

www.quotidianosanita.it




Network Bibliotecario Sanitario Toscano

Articolo IN CONTINUO AGGIORNAMENTO

(selezione ben ponderata, ma non certamente esaustiva).

In questo approfondimento, raccogliamo raccomandazioni,

comunicati e gli studi più rilevanti sulla terza dose di vaccino anti Covid.

 
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view post Posted on 19/12/2021, 12:54
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Variante Omicron Italia,

tamponi vaccinati e mascherine:

ipotesi regole


La cabina di regia si riunisce il 23 dicembre,
eventuali decisioni legate ai dati.
Iss: casi Omicron aumenteranno


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Tamponi anche per i vaccinati per accedere ai locali al chiuso o ai grandi eventi. Mascherina obbligatoria all'aperto. E durata del green pass ridotta. Sono le ipotesi che verranno discusse il 23 dicembre dalla Cabina di regia con il premier Mario Draghi a palazzo Chigi. La variante Omicron anche in Italia è sotto i riflettori e - sebbene i numeri non siano paragonabili a quelli di paesi che registrano contagi record - l'appuntamento del 23 dicembre è necessario a ridosso vacanze di Natale che saranno caratterizzate da viaggi, riunioni familiari, feste nei ristoranti e nei locali.

CABINA DI REGIA, VARIANTE OMICRON E REGOLE

E' difficile ipotizzare una stretta già da Natale, visto che il 25 dicembre cade a sole 48 ore dalla riunione. E' più probabile che l'eventuale svolta arrivi per il resto delle festività. In ogni caso, saranno i dati a dettare la linea. Qualsiasi eventuale misura, specificano fonti di governo all'Adnkronos, "verrà valutata sulla base degli ultimi dati aggiornati".

L'Italia archivia una giornata da oltre 28mila contagi. La curva sale, aumentano ancora ricoveri e terapie intensive. La variante Omicron è ancora in seconda fila rispetto alla Delta, ma il numero dei casi cresce: sono 84, il giorno prima erano 55. In stand by, 10 casi a Firenze. Intanto la maggior parte delle segnalazioni arriva da Lombardia (33) e Campania (20), mentre in generale la variante è segnalata in 13 regioni (Lazio 8, Puglia 7, Veneto 5, Piemonte e Emilia Romagna 2, Abruzzo, Calabria, Liguria, Sardegna, Sicilia, Toscana 1) e nella provincia di Bolzano. Domani, fa sapere l'Istituto superiore di sanità, sarà effettuata una nuova flash survey per stimare la prevalenza della variante.

“La presenza della Omicron era largamente attesa, in linea con quanto osservato anche negli altri paesi, ed è probabile un aumento dei casi nei prossimi giorni - commenta il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro - La crescita del numero dei casi depositati testimonia l’efficienza della rete di monitoraggio, e dei sistemi messi in campo per seguire l’evoluzione della variante. Restano fondamentali le raccomandazioni date finora, di iniziare o completare il ciclo vaccinale anche con la terza dose, di usare la mascherina quando indicato e di seguire le misure individuali e collettive per ridurre al minimo la diffusione del virus".

L'ALLARME DAGLI OSPEDALI

Gli ospedali sono sottoposti ad una pressione che cresce progressivamente. "La variante Omicron corre, ci sarà un impatto, come già si vede, prima sui ricoveri in area media e poi sulle terapie intensive", dice all'Adnkronos Salute Antonino Giarratano, presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti).

"Ci stiamo preparando al peggio, le aziende sanitarie stanno organizzando la riapertura e l'ampiamento dei reparti Covid. Siamo preoccupati ma anche preparati". "Qualsiasi intervento preso oggi" sulla curva epidemica "avrà dei risultati tra 15-20 giorni, questo vale per lockdown per vaccinati o meno, mentre le Regioni in zona gialla non servono a nulla", ammonisce.

OBBLIGO VACCINALE E LOCKDOWN

Dagli esperti, in vista dell'eventuale stretta, arrivano sollecitazioni che fanno riferimento a misure drastiche. Omicron "è già arrivata e si diffonderà, dobbiamo trovare dei modi per mitigare e diluire l'impatto sulla curva dei contagi e assorbire al meglio le conseguenze, per questo tutti gli interventi possono aiutare e anche un lockdown ci permetterebbe di gestire meglio l'impatto. Capisco che non è facile ma dobbiamo essere flessibili", diceall'Adnkronos Salute il virologo Fabrizio Pregliasco, docente della Statale di Milano.

Il professor Matteo Bassetti punterebbe invece sull'obbligo vaccinale per gli over 40. "L'obbligo vaccinale per tutti è l'extrema ratio, ma abbiamo circa 6 milioni di persone non vaccinate e che ormai non lo faranno", dice all'Adnkronos Salute il direttore della Clinica di malattie infettive all'ospedale Policlinico San Martino di Genova.

"Siamo già siamo in ritardo e nel pieno di quarta ondata. Se si vuole proteggere la popolazione, anche in vista di una diffusione di Omicron con un super afflusso di persone in ospedale, una proposta potrebbe essere di usare i prossimi 15 giorni delle vacanze di Natale per mettere un obbligo ad immunizzarsi, almeno per gli over 40, così potremmo ridurre quel numero enorme di non vaccinati. Si potrebbe approfittare delle scuole chiuse e delle ferie, e pensare ad una multa dopo il 9 gennaio per chi non si è vaccinato", aggiunge. Mentre sul lockdown per i non vaccinati, Bassetti chiarisce che "non si combatte il covid con le restrizioni, ma se si deve scegliere è chiaro che queste misure devono valere solo per i non vaccinati".

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view post Posted on 2/1/2022, 12:31
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Variante Omicron, booster vaccino abbatte rischio ricovero

I dati Iss sull'efficacia dei vaccini anti covid contro la nuova variante

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Variante Omicron più contagiosa, con tempi di incubazione che sembrano essere più rapidi. Ma, contro la nuova variante del covid, la dose booster abbatte il rischio di malattia grave e, conseguentemente, di ricovero. Lo ha spiegato ieri l'Iss nel Report esteso sull'andamento del coronavirus in Italia, parlando di efficacia dei vaccini contro la malattia grave al 97% con la dose aggiuntiva.
"L’efficacia nel prevenire la diagnosi e i casi di malattia severa - si legge infatti nel report - sale rispettivamente al 86,6% e al 97,0% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster". Inoltre, "rimane elevata l’efficacia vaccinale nel prevenire casi di malattia severa, in quanto l’efficacia del vaccino nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni e tra i 91 e 120 giorni è pari rispettivamente al 95,7% e 92,6%, mentre cala all’88% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni", spiega l'Iss.

Nel report anche la 'fotografia' dell'andamento della pandemia in Italia per fasce di età. Nell’ultimo mese, si legge, il tasso di ricovero nella fascia over-80 per i non vaccinati (568 per 100.000) è otto volte più alto rispetto ai vaccinati completi da meno di 120 giorni e 41 volte più alto in confronto ai vaccinati con booster. Il tasso di decesso nella fascia 'over 80', nel periodo dal 5 novembre al 5 dicembre scorsi, nei non vaccinati è circa dieci volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo entro i 120 giorni e 64 volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster.

Nell’ultima settimana, inoltre, si osserva un aumento dell’incidenza in tutte le fasce d’età: in particolare nella popolazione di età 12-19 anni e la fascia di età sotto i 12 anni. "Nella classe di età 6-11 anni si evidenzia, a partire dalla seconda settimana di ottobre, una maggiore crescita dell’incidenza rispetto al resto della popolazione in età scolare, con un’impennata nelle ultime settimane. Nell’ultima settimana si osserva anche un’impennata nell’incidenza per la classe di età 16-19 anni", sottolinea il report.

VACCINI IN ITALIA: I NUMERI

Secondo quanto emerge nell'ultimo report Vaccini Anti Covid-19 del commissario straordinario per l'emergenza sanitaria aggiornato alle 19.17 di ieri, le dosi di vaccino anti Covid somministrate in Italia sono 111.199.243. Il totale con almeno una dose è pari a 48.059.745 (88,98% della popolazione over 12), il numero di persone che hanno completato il ciclo vaccinale si attesta a 46.375.042 (85,86% della popolazione over 12) mentre il totale dose addizionale/richiamo (booster) si attesta a 19.597.153 persone (il 63,21% della popolazione potenzialmente oggetto di dose addizionale o booster che hanno ultimato il ciclo vaccinale da almeno cinque mesi).

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