Alla ricerca del forum perduto

La morte di Bergotte

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view post Posted on 12/4/2013, 18:44
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vermeer_veduta_delft


Morì nelle seguenti circostanze: in seguito a una crisi, abbastanza leggera, di uremia, gli era stato prescritto il riposo. Ma poiché un critico aveva scritto che nella Veduta di Delft di Vermeer (prestata dal museo dell’Aja per una mostra di pittura olandese), quadro ch’egli adorava e credeva di conoscere alla perfezione, un piccolo lembo di muro giallo (di cui non si ricordava) era dipinto così bene da far pensare, se lo si guardava isolatamente, a una preziosa opera d’arte cinese, d’una bellezza che poteva bastare a se stessa, Bergotte mangiò un po’di patate, uscì di casa e andò alla mostra. Sin dai primi gradini che gli toccò salire, fu colto da vertigini. Passò davanti a parecchi quadri ed ebbe l’impressione dell’aridità e inutilità di una pittura così artificiosa, che non valeva le correnti d’aria e di sole di un palazzo di Venezia o di una semplice casa in riva al mare. Alla fine, fu davanti al Vermeer, che ricordava più smagliante, più diverso da tutto quanto conoscesse, ma nel quale, grazie all’articolo del critico, notò per la prima volta dei piccoli personaggi in blu, e che la sabbia era rosa, e – infine – la preziosa materia del minuscolo lembo di muro giallo. Le vertigini aumentavano; lui non staccava lo sguardo, come un bambino da una farfalla gialla che vorrebbe catturare, dal prezioso piccolo lembo di muro. «E’ così che avrei dovuto scrivere, pensava. I miei ultimi libri sono troppo secchi, avrei dovuto stendere più strati di colore, rendere la mia frase preziosa in sé, come quel piccolo lembo di muro giallo.» Tuttavia, la gravità delle vertigini non gli sfuggiva. In una celeste bilancia gli appariva, ammucchiata su uno dei due piatti, la sua propria vita, mentre l’altro conteneva il piccolo lembo di muro così ben dipinto in giallo. Sentiva d’aver dato, incautamente, la prima per il secondo. «Non vorrei comunque diventare, si disse, il fatto saliente di questa mostra per i giornali della sera.» Mentre si ripeteva: «Piccolo lembo di muro giallo con tettoia, piccolo lembo di muro giallo», crollò su un divano circolare; non meno bruscamente smise di pensare che era in gioco la sua vita e, tornando all’ottimismo, rifletté: «E’ una semplice indigestione, per via di quelle patate non abbastanza cotte; non è niente». Un nuovo colpo l’abbatté, dal divano rotolò per terra, facendo accorrere tutti i visitatori e i guardiani. Era morto.

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto

labellezzaeunaferita.wordpress.com

 
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view post Posted on 12/4/2013, 18:59
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Vermeer e Proust

marcel_proust


Nell'ottobre del 1902 Marcel Proust si recò a Bruges per l’esposizione dei primitivi fiamminghi, poi in Olanda, ove raggiunse l'amico Bertrand de Fénelon. Visitò Rotterdam, Delft, Amstedam, l’Aia per vedere i quadri di Frans Hals che ricorderà nel lunghissimo racconto del pranzo a casa Guermantes. Il 18 ottobre all'Aia vide per la prima volta La veduta di Delft di Vermeer. Proust aveva allora 21 e come scriverà in seguito, da quel giorno aveva saputo "qual è il quadro più bello del mondo".

Ebbe occasione di vedere di nuovo La veduta di Delft nel 1921. Tra aprile e maggio di quell'anno si tenne a Parigi al Museo Jeu de Paume una mostra intitolata Exposition hollandaise. Tableaux, aquarelles et dessins anciens et modernes. Erano esposte altre due opere di Vermeer, La lattaia e La ragazza con l'orecchino di perla. Proust, malato cronico da tempo, dormiva di giorno e scriveva di notte, usciva raramente da casa, ma mandò un biglietto all'amico critico d'arte Jean-Louis Vaudoyer per chiedergli d'accompagnarlo al Jeu de Paume: "...non sono andato a dormire per recarmi a vedere questa mattina Ver Meer e Ingres. Volete condurre questo morto che sono io e che si appoggerà al vostro braccio...".

muro-giallo


Rivedere il suo "quadro più bello del mondo", lo riempì di nuovo di meraviglia.
E rese tutta l'emozione di quell'incontro con Vermeer nell'episodio della morte di Bergotte, personaggio della Recherche, che davanti alla Veduta di Delft terminò di vivere. Bergotte ha un malore che pensa sia provocato da patate poco cotte, ma prima di morire le ultime riflessioni sono sui suoi libri: "E’ così che avrei dovuto scrivere...I miei ultimi libri sono troppo secchi, avrei dovuto stendere più strati di colore, rendere la mia frase preziosa in sé, come quel piccolo lembo di muro giallo". Bergotte, mentre sta per morire, si ripete: "Piccolo lembo di muro giallo con tettoia, piccolo lembo di muro giallo". È come se improvvisamente avesse capito cosa sia l'arte: un cercare, un cercare continuo, fino a trovare. Come Proust scriveva nel Tempo ritrovato: "Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso".

Era questo che Proust ammirava in Vermeer, essere stato così generoso, devoto, buono da "ricominciare venti volte qualcosa che susciterà un'ammirazione così poco importante per il suo corpo divorato dai vermi, come il lembo di muro giallo dipinto con tanta sapienza e raffinatezza da un artista per sempre ignoto, identificato appena sotto il nome di Vermeer".

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view post Posted on 13/4/2013, 09:15
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renzi_libro


Il saggio di Lorenzo Renzi, Proust e Vermeer, apologia dell'imprecisione, godibilissimo, sempre condotto sulle note di una sottile ironia, ricchissimo di note, prendendo spunto dal "muretto giallo" dipinto da Vermeer nella Veduta di Delft, approfondisce la conoscenza della tanto cittata ammirazione di Proust per il maestro olandese. Fu anche grazie a questa ammirazione profonda e quasi viscerale di Proust per Vermeer, che il pittore catturò l'attenzione di tanti intellettuali.

Proust e Vermeer, apologia dell'imprecisione
Lorenzo Renzi
112 pagine, Il Mulino

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Intervista con Lorenzo Renzi
Luglio 8, 2003


The Essential Vermeer: Potrebbe indicare il problema principale investigato nel suo libro, il suo metodo di ricerca e le sue conclusioni?

Lorenzo Renzi
: Nel mio libro ho esaminato una pagina celebre della "Recherche du temps perdu" di Marcel Proust, quella dedicata alla morte dell'immaginario scrittore Bergotte davanti all'altrettanto celebre quadro di Vermeer, Veduta di Delft. In questa scena Bergotte negli ultimi istanti della sua vita, colpito da infarto, confronta un particolare del quadro di Vermeer con lo stile nel quale ha scritto i suoi libri: uno stile troppo secco, pensa Bergotte, arido a confronto con quello di quello splendido particolare. Ma qual è esattamente questo particolare? Proust parla di un "muretto giallo vicino a una tettoia". Ho cercato nel mio saggio di identificare il celebre muretto in primo luogo interrogando i critici e commentatori di Proust (e anche di Vermeer), poi esaminando a mia volta con accuratezza, in riproduzione e sull'originale, lo splendido quadro di Vermeer. Il risultato non è sicuro, i critici danno risposte diverse al quesito. Quanto a me, la mia conclusione sarebbe che Proust ha sovrapposto due particolari del quadro, un tettuccio inondato di sole ("giallo") nella zona interna destra del quadro e due lunghi ma pallidi muri vicino a un ponte basculante, da Proust scambiato per una tettoia, all'estremità sempre destra dell'opera. Da queste osservazioni sono risalito alla mancanaza di esattezza di Proust, un tratto che non contraddice il suo genio: anzi il genio di Proust si rivela proprio nella particolare deformazione che imprime alle cose, proprio come, in pittura, si potrebbe dire per esempio di El Greco, di Modigliani e di molti altri artisti.

In che modo e quando è nata l'idea per la sua ricerca?
Sono stato appassionato fin da bambino di pittura, soprattutto del Rinascimento italiano (la mia prima visita a Firenze per conoscerlo da vicino l'ho fatta a 13 anni!), e come lettore non ho amato nessuno scrittore come Proust. Tuttavia la mia attività professionale è stata dedicata alla linguistica e alla filologia. Dopo avere ammirato la Veduta di Delft all'Aja, ho riletto la pagina di Proust, e ho scritto per me stesso qualche osservazione. Poi l'ho ampliata e ho cominciato quella ricerca che è stata spesso paragonata dai miei lettori a un'inchiesta da dedective. In realtà io, che non sono un lettore di romanzi gialli, mi sono ispirato piuttosto ai metodi della linguistica. Ma non è detto che l'inchiesta poliziesca e la linguistica non abbiano molto in comune, o addirittura che non siano la stessa cosa: lo sospetto, ma non ne sonosicuro (per saperlo dovrei forse decidermi a leggere dei romanzi gialli).

Che tipo di esperienza ha avuto con i quadri di Vermeer?

Il mio amore della pittura è indifferenziato: non capisco chi preferisce l'arte italiana a quella fiamminga o viceversa, chi apprezza il Barocco ma non il Neoclassico: cresciuto nello storicismo mi sforzo di capire e di amare tutti i periodi e tutte le scuole, e credo di riuscirci (con la sola eccezione della pittura inglese dell'età vittoriana: tutto ha un limite). Detto questo, l'opera di Vermeer esercita su di me un fascino particolare, soprattutto per le sue figure così nette e precise, il suo famoso effetto quasi fotografico, eppure così superiore alla fotografia. L'occhio umano è un apparecchio fotografico che sa sciegliere, cosa negata alla macchina. Ammiro anche la capacità di Vermeer di rappresentare l' intimità borghese, comune ad altri pittori olandesi a cominciare da Rembrandt, ma che nessun altra scuola pittorica ha saputo rappresentare.

Ha iniziato a scrivere il libro già avendo una particolare tesi in mente oppure ha raggiunto le sue conclusioni in seguito all'esame delle documentazioni raccolte? Nella sua ricerca ha incontrato prove che hanno causato una modifica delle sue idee iniziali?
Quando ho cominciato a scrivere il libro non sapevo come sarebbe andato a finire: di questo sono sicuro. Ma non mi ricordo più bene quando e come ho trovato quella che sarebbe stata la soluzione del libro, la soluzione che ho riferito prima. Ricordo che la ricerca è stata appassionante e ha comportato anche due viaggi a Parigi dove ho battuto le librerie, visitato la nuova Bibliothèque nationale, cercato nei musei d'arte orientale cosa mai potesse significare la "preziosità cinese" che Proust attribuisce al muretto giallo. A quest'ultima questione non ho saputo trovare una risposta e nel libro ho
dovuto riconoscere il mio fallimento. Ho fatto con questo quello che fa il linguista, e che penso facciano gli scienziati, che non hanno nemmeno l'idea di poter rispondere a tutti i problemi, ma sono contenti se possono offrire al loro pubblico una o due ipotesi non del tutto assurde. Ogni ricerca è difficile, ma non dobbiamo mai ingannare il nostro pubblico sulla sicurezza e sulla comprensività dei nostri risultati.

Il ruolo dell'osservazione è di fondamentale importanza sia nei lavori di Vermeer che in quelli di Proust. Quale sono le analogie e le differenze nella maniera in cui i due artisti osservano? Quali pensa siano i fini espressivi in comune fra i lavori di Proust e di Vermeer?
Non è facile paragonare un pittore e uno scrittore, trovare somiglianze o differenze. Comunque penso che Proust e Vermeer siano lontanissimi tra di loro. Forse ciò che Proust ammirava di più in Vermeer era quello di avere assimilato a sé in modo straordinariamente uniforme e compatto tutto quello che aveva dipinto: tutto ciò che Vermeer dipinge, pensa Proust, mele, tende, figure di donne, pareti, raggi di sole diventano Vermeer: "ce n'est que du Vermeer", direbbe Proust. Ma in fondo questo si potrebbe dire anche di Leonardo e di Picasso, di Manet e di Hopper. E così dello stile di ogni scrittore, purché abbia uno stile (ma se non ce l'avesse, non sarebbe uno scrittore).

Perché Proust ha scelto proprio la Veduta di Delft?

Proust, figlio di un'età, di una città e di un ambiente tra i più colti che ci siano mai stati, era un grande appassionato arte: di pittura (e di architettura) come di musica: la "petire phrase" di Venteuil pone problemi simili a quelli del muretto giallo. Si tratta probabilmente di una sovrapposizione (anche qui!) di Saint-Sans e Fauret. Nella pittura Proust, cresciuto nell'ammirazione degli Impressionisti (nella Recherche Elstir rappresenta sostanzialmente Monet), predilige le raffigurazioni della natura, del paesaggio. Scegliendo la Veduta di Delft per la scena della morte di Bergotte Proust ha prediletto l'unica veduta (e una delle prime vedute mai dipinte al mondo) di quello che è stato essenzialmente un pittore di interni.

È noto che nella Veduta di Delft Vermeer fece numerose e coscienti modifiche rispetto al panorama che aveva davanti agli occhi. Lei pensa che le imprecisioni che ha rilevato nell'esaminare il Proust del "piccolo lembo di muro giallo" nel quadro di Vermeer siano frutto di fattori casuali e/o inconsci, piuttosto che, come in Vermeer, licenza artistica?
Io penso che quello che un artista fa deliberatamente sia meno importante di quello che fa istintivamente senza accorgersi. Direte che dico una cosa paradossale. Ma in fondo è logico che un artista faccia deliberatamente soprattutto quello che gli impongono le regole artistiche del suo tempo, mentre la parte più importante della sua opera dipende da pulsioni interne,
inconsce, generalmente sconosciute allo stesso artista. Un grande artista è qualcuno che lascia filtrare nella sua opera quello che altri suoi compagni, troppo impacciati dai vincoli delle regole, trattengono in se stessi. Non è solo questo, ma c'è anche questo in un grande artista.

Noi conosciamo molto della vita di Proust mentre sappiamo poco di quella di Vermeer. Secondo lei, che importanza ha la conoscenza della vita di un artista per la valutazione della sua opera?
Proust sosteneva che la vita di un artista non ci deve interessare per niente: solo la sua opera conta. Lo stesso punto di vista sosteneva il grande filosofo Benedetto Croce, nella cui influenza sono in parte cresciuto nell'Italia degli Anni Cinquanta e ancora Sessanta (sono nato allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939). Probabilmente questi autori, e altri che hanno sostenuto lo stesso punto di vista, hanno ragione. Tuttavia la nostra curosità per gli autori delle opere che leggiamo, ammiriamo o ascoltiamo, è insopprimibile. Vogliamo sapere chi sono, quando sono vissuti, quali sono stati i loro amori (come chiedeva ingenuamente Odette a Swann, nel romanzo di Proust: e ... Odette c'est nous!). Quando ancora la critica letteraria non esisteva, Sventonio, le vidas provenziali e il Vasari ci raccontavano la vita di artisti e scrittori del loro tempo e del passato. L'interesse biografico, io credo, non è da condannare, ma nel considerare le opere artistiche o letterarie non dobbiamo permettere ai dati biografici di interferire nell'osservazione formale dell'opera fino a portare a una confusione dei piani. Invece la storia di un autore, la consocenza degli avvenimemti del suo tempo, del clima culturale in cui è vissuto e anche di alcuni episodi della sua vita sono utili, molto utili per capire la sua opera. Piccola appendice: grazie all'opera dello storico americano Montias e di altri, oggi sappiamo quasi tutto di Vermeer, questo artista che Proust riteneva "à jamais inconnu", tanto che gli pareva che non a caso si fosse rappresentato di spalle nell'Arte della Pittura di Vienna.

Se lei fosse a tavola con Proust e Vermeer che cosa chiederebbe a ciascuno di loro?
Gli domanderei: Come diavolo avete fatto a trovarvi insieme qui se siete vissuti a distanza di secoli tra di voi, e tutti e due da me? E comunque, adesso che ci siamo, voglio vedere di che diavolo ci mettiamo a parlare! Mi piacerebbe chiedervi cosa ne pensate, voi che siete due grandissimi europei, cosa ne pensate della gaffe di Berlusconi a Strasburgo, ma temo che mi diciate che non avete la più pallida idea di quello di cui sto parlando. (1)

(1) Davanti all'Europarlamento al completo il 2 luglo 2003 Silvio Berlusconi si rivolse a Martin Schulz, europarlamntare tedesco capo della delegazione Spd a Strasburgo dicendogli: "Signor Schultz in Italia c'è un produttore che sta preparando un film sui campi di concentramento nazisti, la proporrò per il ruolo di kapò".


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view post Posted on 14/4/2013, 15:24
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Veduta di Delft è un dipinto ad olio su tela di cm 96,5x117,5 realizzato nel 1660 circa dal pittore olandese Jan Vermeer. È conservato al Mauritshuis dell'Aia.

L'opera è firmata "IVM".

Il quadro raffigura la zona del porto della città di Delft; sono riconoscibili: le mura, la porta di Schiedam con l'orologio, la porta di Rotterdam con le due torri gemelle e, al centro, il campanile della Nieuwe Kerk.

L'opera è citata nella Recherche di Proust (ne La prigioniera): lo scrittore Bergotte, malato, vi muore davanti pur di poter vedere una "piccola ala di muro giallo" non notata in precedenza, che diventa metafora di una scrittura diversa, più preziosa e "colorata".

it.wikipedia.org/wiki/Veduta_di_Delft

www.mauritshuis.nl



 
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view post Posted on 20/4/2013, 11:08
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Sulla morte: Proust e l'arte come ancora di salvezza.

Vermeer-Veduta+di+Delft


C'è poi tutta quella storia sulla morte...la morte e l'arte...la morte di Bergotte (alias: Anatole France), una delle parti più toccanti e, allo stesso tempo, più filosoficamente dense della Recherche, perché è lì, è proprio in questi brani, che Proust si ferma a riflettere sull'arte (o inizia a riflettere sull'arte in quanto ancora di salvezza, e possibilità di travalicare i secoli, di sorpassare la morte fisica delle persone, in quanto unico strumento che l'uomo possiede per eternizzare quanto prodotto con la forza della propria immaginazione, dello stile, di quello che siamo in grado di creare in modo artistico a partire dagli oggetti reali che ci circondano)...

Sono ormai mesi che ho letto quel brano e, di fatto, non ne ricordo tutti i dettagli, ma con Proust è così: la scrittura proustiana produce degli echi che risuonano nell'animo del lettore a distanza di giorni, mesi, forse anni. Una determinata scena rimane impressa nella memoria e anche se non si ricorda tutto si può ricordare perfettamente l'aria (e l'aura) di un personaggio, il modo di parlare di quell'individuo che sembrava comparsa e invece non lo è, di quel particolare avvenimento tragico o luttuoso. Come la morte di Bergotte.

Siamo nel bel mezzo del volume dedicato ad Albertine, il grande amore di Marcel (La prigioniera, che è una specie d'incubo ad occhi aperti, una radiografia di quel sentimento onnipotente che chiamiamo “amore” e di quell'incubo quotidiano a esso intimamente connesso che definiamo “gelosia” - una sorta di fenomenologia dell'amore e della gelosia in quanto “ossessioni” portanti dell'essere umano). E il Narratore si sorprende quando viene a sapere la notizia della morte di quello che è stato uno dei suoi scrittori preferiti, letti sin dalla prima giovinezza. Bergotte si era ammalato, negli ultimi tempi soffriva d'insonnia, le medicine che gli vengono prescritte dai vari dottori non fanno che peggiorare la situazione. Poi, ad un tratto, Bergotte si accorge di un particolare cui non aveva mai prestato attenzione: un pezzo di muro giallo dipinto all'interno del famoso quadro Veduta di Delft, di Veermer (il pittore e il quadro preferiti di Proust). E allora Bergotte approfitta della mostra che stanno organizzando a Parigi proprio sui pittori fiamminghi per andare a vedere quel dettaglio che gli era sfuggito. Va al museo, infagottato nel suo cappotto (si suppone faccia freddo, ma non ricordo se è Giugno o Maggio, se fa caldo o freddo, e in quale stagione muoia davvero Bergotte), e contempla il quadro di Veermer, e nel contemplarlo riflette sulla propria arte, sul suo modo di scrivere, si domanda se non abbia sbagliato tutto nella vita, se non avesse dovuto cambiare stile, migliorarsi, riempire le frasi di echi più pregnanti, e scrivere con stile più evocativo, meno piano e diretto. Poi ha un attacco di tosse. Si sente male. Ma pensa che sia un attacco passeggero (forse le patate non abbastanza cotte). Cade. E il Narratore ci descrive la caduta del suo scrittore preferito come se fosse uno dei tanti testimoni oculari: “Un nuovo colpo l'abbattè, dal divano rotolò per terra, facendo accorrere tutti i visitatori e i guardiani” (p. 587 del vol. III dell'ed. Meridiani Mondadori a cura di Luciano De Maria).

C'è un che di ridicolo nella morte dello scrittore, qualcosa che ricorda vagamente una scenetta comica dei film muti di Buster Keaton o di Charlie Chaplin. E a metà tra la tragedia e la commedia sono pure le successive impressioni del Narratore, che scrive con stile filosofico: “Era morto. Morto per sempre? Chi può dirlo? Certo, le esperienze spiritiche non forniscono – non più dei dogmi religiosi – alcuna prova che l'anima sussista. Quello che si può dire è che tutto, nella nostra vita, avviene come se vi fossimo entrati con un fardello di obblighi contratti in una vita anteriore; non vi è nessuna ragione, nelle nostre condizioni di vita su questa terra, perché ci sentiamo obbligati a fare il bene, a essere delicati o anche soltanto educati, né perché un artista ateo si senta obbligato a ricominciare venti volte qualcosa che susciterà un'ammirazione così poco importante per il suo corpo divorato dai vermi, come il lembo di muro giallo dipinto con tanta sapienza e raffinatezza da un artista per sempre ignoto, identificato appena sotto il nome di Veermer. Tutti questi obblighi, che non trovano sanzione nella vita presente, sembrano appartenere a un mondo diverso, fondato sulla bontà, lo scrupolo, il sacrificio, un mondo totalmente diverso da questo, e dal quale usciamo per nascere a questa terra prima forse di tornarvi a rivivere sotto il dominio di quelle leggi sconosciute cui abbiamo obbedito perché ne portavamo l'insegnamento dentro di noi senza sapere chi ve le avesse tracciate – quelle leggi cui ci avvicina ogni lavoro profondo dell'intelligenza e che rimangono invisibili soltanto (e chissà, poi?) agli sciocchi. Così, l'idea che Bergotte non fosse morto per sempre non ha il carattere dell'inverosimiglianza. Lo seppellirono, ma per tutta la notte prima dei funerali, nelle vetrine illuminate, i suoi libri, disposti a tre a tre, vegliarono come angeli dalle ali spiegate sembrando, per colui che non era più, un simbolo di resurrezione” (id., pp. 587-88).

Proust non è un filosofo di professione; è uno scrittore e, come tutti gli scrittori, pensa per immagini. Questo brano, oggettivamente denso, sembra complicato perché evoca una serie di immagini che scatenano una serie di concetti che aprono a una serie di interpretazioni diverse sullo stesso fenomeno: la morte fisica (il corpo divorato dai vermi), a cui si contrappone, però, la vita “eterna” che l'arte sembra regalare a chi ha saputo plasmarla in un quadro (o in una partitura musicale o in un libro – qui simbolizzata da un angelo che dispiega le ali protettrici).
Che senso ha prodigarsi tanto, faticare così duramente, sforzarsi di scrivere bene, di praticare il bello e il buono, quando le condizioni di vita che ci influenzano su questa terra sono tanto contrarie al bello, al buono, perfino alla buona educazione? Chi ci ha inculcato il culto del lavoro profondo dell'intelligenza? Quale Dio ha avuto l'idea di imprimere nel nostro animo il senso del dovere e la spinta verso il bello? Perché possiamo dire che, in un certo senso, Bergotte non è morto (o non è inverosimile pensarlo “ancora vivo” nonostante i vermi abbiamo già iniziato a corrompere il suo corpo)? Trovo una risposta logica e plausibile solo a quest'ultima domanda: Bergotte vive perché esistono i suoi romanzi (quei libri esposti in vetrina e che, disposti a tre a tre, ancora ci parlano di lui). L'arte, sembra suggerire Proust, è l'unico strumento di salvezza dalla morte, l'unica resurrezione possibile per l'uomo mortale. Ogni volta che qualcuno tornerà a domandarsi che ci facesse quel lembo di muro giallo nel quadro di Veermer, ogni volta che qualcuno tornerà a leggere i libri di Anatole France (ogni volta che qualcuno prenderà in mano uno dei tomi della Recherche, senza farsi intimorire dalla vastità e dalla complessità dell'impresa), sia Veermer che France (che Marcel Proust) torneranno a vivere (nella mente dello spettatore o del lettore dedito a seguire il loro stesso sforzo d'artista, il loro stesso “lavoro profondo dell'intelligenza”).

I libri: presentati, nell'ultima frase, come “angeli custodi” che, per il morto, sembrano incarnare il simbolo della resurrezione. Eppure, Proust scrive questo brano come se stesse ricoprendo il ruolo del filosofo alla Schopenhauer (o alla Unamuno): un filosofo disilluso, deluso dalla vita, dinsingannato, e che non crede più nemmeno alle amare verità cui lo conduce la sua stessa filosofia. Sembra ancora dubitare. Sembra scettico, anche quando ci presenta i libri come fari che “illuminano” il cammino del morto (o la vetrina della libreria). La Recherche è il libro che lo scrittore in potenza sta tentando di scrivere quando ancora dubita che riuscirà a portarlo a termine. E' il viaggio di colui che ancora non sa che riuscirà a includere nella scrittura tutto quanto ricorda e pensa. E la morte di Bergotte sembra essere uno di quei momenti di crisi in cui, anche se si è circondati dagli “angeli”, non si sa bene e come e quando si riuscirà ad arrivare alla fine (a una qualche conclusione). L'arte salva ed eternizza la voce dei morti. Il punto è che qui Proust (attraverso la voce del Narratore) sembra proiettare su un piano futuro (e tramite la maschera di Bergotte) - sembra prevedere con “gli occhi della mente” - quella stessa morte che l'attende (e che, una volta sopravvenuta, non gli permetterà più di terminare la Recherche). Bergotte muore, ma è come se in questi brani Proust stesse facendo le prove per quell'ultimo atto che determinerà inevitabilmente anche la fine della sua opera. In questo brano, anche se solo per speculum et in aenigmate, il lettore si accorge di un fatto umanissimo: Proust ha paura della morte e dubita (per un momento) che l'arte possa davvero salvarlo. Quel dettaglio, poi, quel lembo di muro giallo, diventa un particolare assurdo: non sappiamo se esista davvero dentro il quadro di Veermer; e pure se dovesse esserci, è ridicolo alzarsi dal letto per andare al museo a contemplarlo, nello stato in cui si trova Bergotte. Quel dettaglio, il culto per il particolare (“Dio si nasconde nei dettagli”, diceva Flaubert, se non erro), il culto per l'arte che è fatta solo di particolari, serve anche come “spunto ironico” per riflettere su un certo tipo di scrittura che, in nome del particolare stesso, rischia di smarrire l'universale (quanto non farà mai Proust all'interno del suo romanzo-infinito). Ecco perché Bergotte crolla in quel modo un po' ridicolo e silenziosamente buffo, all'interno del museo, e davanti alla Veduta di Delft.

diariodiborderline.blogspot.it



Edited by impulsivo - 20/4/2013, 13:40
 
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view post Posted on 5/5/2013, 16:08
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Vermeer, la sorte del pittore tanto amato da Marcel Proust


di Alessandra Doratti

Vermee2


La sorte di Vermeer è tra le più straordinarie non tanto per la sua tarda comparsa nel campo della fama, quanto per la luce di gloria definitiva che gli è venuta dall'elogio di Marcel Proust. Fino al 1866 l'opera di Vermeer non aveva suscitato molto clamore, e cioè fino a quando il Bürger (Théophile Thoré) non scrisse un saggio su di lui.
Egli non lasciò alle cronache alcuna traccia di sé salvo quella derivata dal proseguimento con semplicità delle peripezie di una vita di buon padre di famiglia e di rispettabile borghese di Delft. Il fatto più saliente accadutogli fu d'esser stato scelto dai suoi colleghi ad esercitare per un anno le funzioni di decano. C'è anche chi dice fosse cattolico, e in quegli anni in Olanda la vita non era sempre tranquilla e facile per chi lo fosse; ma nella sua opera non trapelano affatto problemi di carattere religioso che gli avessero arrecato disturbo o alcun genere di inquietudine.
La sua pittura si manifesta insolita ai suoi tempi e prima, insolita nei Paesi Bassi e anche altrove. Dei pittori che in Europa lo precedettero o furono suoi contemporanei, solo un dipinto gli si può avvicinare. Si tratta della "Madonna col Bambino" di Piero della Francesca a Urbino. Il critico d'arte Roberto Longhi aveva visto e segnalato quella precedenza: "... il grande Vermeer, il cui nome occorre tuttavia richiamare perché la sua inclinazione di fondo verso la 'durata sentimentalÈ è pur già tutta nei nottolini fulgidi delle sue seggiole, nelle sue brocche incrostate di luci, e persino nelle tegole scintillanti che danno alla celebre "Veduta di Delft" l'aspetto di una "natura morta di città"'.
In Vermeer le figure non hanno né pretendono di avere maestà. Sono persone che per abitudine non escono dai quei limiti prefissi a un vivere di medio ceto, e tutt'al più, potrebbero arrivare a eleggersi quei limiti ambiti da chi sia molto semplice in tutto, e lo sia quindi anche nel sentire e nell'immaginare. Ciò non toglie nulla alla profondità, la giusta misura della profondità, quella misura che è indispensabile aiuto nel raggiungimento di un vero che non superi le misure della persona umana, che anzi si trovi, nei limiti stessi della persona umana, presente, ad affermare l'indeterminatezza della poesia persuadendola ad emergere. Un lato da tenere in considerazione: quello dal quale Vermeer vede e attesta, tra l'imperversare del verismo degli altri maestri olandesi, la negazione di quel loro verismo e di ogni altro verismo, rimanendo fedele al vero.
Subito Vermeer appare come un'antagonista degli altri maestri, forse inconsapevole. Esporre visibili alla gente che passava, dai vetri dell'ampia finestra che dava sulla strada, stoviglie di rame lustro appese alle pareti, coperte di cuoi cordovani, sedili accuratamente scolpiti nelle loro parti di legno, mobili e ogni altro oggetto, specie se esotico o prezioso, era uso in Olanda, per ostentazione del proprio benessere. Compito del maestro era dunque di dipingere con meticolosità eccezionale e di far somigliante, più di quanto avrebbe dovuto, al vero, come succede oggi con la fotografia.
Anche se Vermeer, come gli altri maestri, si dedica agli interni, il suo scopo principale non è questo, egli cerca altro: cerca la luce.
Vermeer più che la luce ha trovato il colore, un colore vero, dato nella sua assolutezza. Se in Vermeer la luce conta è anche perché la luce ha un colore, il colore di luce, e quel colore lo si vede come un colore per se stesso ed egli ne isola l'ombra. Nemmeno i volumi contano per lui, intrisi di luce, balzati in avanti, protesi, con tanto pudore, con tanta ansia, con tanto dolce trepidare da lui ritratti. Conta il colore. Sono dunque fantasmi quelle persone, la moglie, o una figlia, o lui stesso, quelle persone famigliari ritratte, quegli oggetti consueti, evocati? È possibile. Il vero resta nella giusta sua misura, pur scappandone e divenendo metafisico, facendosi idea, forma immutabile, per non divenire alla fine se non puro colore, o meglio ancora, misurata distribuzione di colori puri, che si compenetrano l'un l'altro e l'un l'altro si isolano.
Per quanto riguarda il rapporto dell'arte con la natura Vermeer è costantemente equilibrato. L'equilibrio è raggiunto senza fatica alcuna, senza stanchezza, di primo acchito, spontaneamente, pur semplice, immediata congiunzione dell'ispirazione alla forma.
Prendiamo ad esempio alcuni dipinti: "La merlettaia" è china sul lavoro. È sguardo che si concentra, è assenza da tutto il rimanente che non sia quel lavoro, quel moto di dita che annodano i fili in trame leggiadre. Dita e sguardo non cessano mai di muoversi di quel moto che si muove fermo per sempre. L'idea dell'infinità, di una familiarità con il silenzio, di un'esistenza immutabilmente quotidiana, semplice, l'idea di una solitudine e tutto il resto muto: questa è l'idea di Vermeer. Nessuno potrebbe dire il contrario.
Un altro esempio è la "Donna che scrive una lettera". Che cosa mai avrà da raccontare? La fronte spaziosa s'è volta un po' di lato, china verso gli occhi riflessivi. Cerca di connettere; le si affollano in mente troppi pensieri. Le dita intanto si affusolano mostrando la grazia delle mani carezzevoli che posano, un pochino grassottelle, una in abbandono sul foglio, l'altra trattenendo la penna impaziente di tornare a scrivere care frasi.
Come sarebbe possibile arrestare meglio di così l'idea dell'assenza? Non un'idea angosciosa. Un'idea di infinita tenerezza, con appena un soffio di malinconia.
È la ricchezza della solitudine di una giovane persona umana femminile, di una giovane donna che guarda senza alcuna fissità né fissazione, ma con un dolce slancio salito dall'anima, la persona assente, invocandola, senza disturbare il silenzio, accrescendolo all'infinito. Forma e contenuto hanno mai assimilato fondendosi una maggior giustezza di metro umano?
Potremmo dunque ormai avere già qualche nozione su Vermeer e su ciò che lo separa dagli altri maestri suoi contemporanei, sull'importanza che ha per lui la luce, considerandola a sè, come essa stessa un colore; sull'equilibrio e l'immedesimazione che sempre raggiunge nei suoi dipinti tra arte, idea e natura, rispettando nel vedere, sentire, fantasticare, le persone e gli oggetti secondo le naturali apparenze del loro vero.

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Johannes Vermeer - Veduta di Delft, 1660


La vita e le opere

Johannes Vermeer nasce nel 1632 a Delft, secondo figlio di Reyner e Dymphna Vos. Nel 1653 sposa Catharina Bolnes che proviene da una ricca famiglia cattolica di Gouda, trasferitasi poi a Delft. Il matrimonio viene celebrato secon do il rito cattolico (sebbene Vermeer fosse calvinista), per superare la resistenza della madre della sposa. In questo stesso anno il pittore viene ammesso nella ghilda dei pittori di Delft. Nel 1654 la pittura di Vermeer viene elogiata pubblicamente da Arnold Bon; mentre invece l'osteria paterna viene danneggiata dall'esplosione della polveriera di Delft. Il padre del pittore, albergatore e mercante d'arte muore nel 1655. Nel 1656 Vermeer data "La mezzana" uno dei suoi dipinti più famosi. Seguentemente (1657) difficoltà economiche costringono il pittore a far ricorso ad un prestito di duecento fiorini. Nel 1662 Vermeer viene eletto vice decano della ghilda di San Luca. Balthasar de Monconys l'anno seguente fa visita al pittore: secondo la sua testimonianza egli non aveva sue opere presso di sé. Nel 1664 nasce il figlio Johannes e probabilmente egli dipinge il famoso "Concerto a tre" e la "Pesatrice di perle".
Nel 1667 la flotta olandese penetra nel Tamigi e ottiene una clamorosa vittoria. Il tratto di Breda mette fine alla guerra con l'Inghilterra e agli olandesi spettano l'Indonesia e il Surinam e agli inglesi i possedimenti olandesi in America Settentrionale. L'anno dopo viene stipulata la Triplice Alleanza tra Olanda, Inghilterra e Svezia.
Nel 1670 muore la madre del pittore, che eredita la locanda Mechelen. Nel 1672 Vermeer è di nuovo eletto vice decano della ghilda di San Luca. È chiamato per la valutazione tecnica di alcuni quadri di scuola italiana che giudica falsi. Affitta l'osteria Mechelen e cambia domicilio; intanto scoppia la guerra d'Olanda e Luigi XIV invade i Paesi Bassi. Il malcontento popolare travolge il governo di Jan de Witt, che viene ucciso. I francesi saccheggiano e devastano il paese, gli olandesi si difendono allagandolo, aprendo e demolendo le dighe. Le truppe francesi si ritirano, lasciando alle loro spalle un paese devastato.
La suocera delega il pittore per la cura di alcuni suoi affari, a testimonianza di un rapporto di fiducia consolidato con la famiglia cattolica della moglie. Nel 1675 il pittore contrae un prestito di mille fiorini. La suocera gli affida la sua tutela in una questione testamentaria. Aumentano le difficoltà economiche. Il 15 dicembre il pittore muore: la vedova, a distanza di tempo, ricorderà lo stato di abbattimento dovuto alle difficoltà finanziarie del marito, morto quasi all'improvviso.

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view post Posted on 21/6/2020, 12:06
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view post Posted on 18/2/2021, 09:30
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Come_Bergotte

Come Bergotte - 2014



Come Bergotte

Un viaggio in Olanda, una visita al museo Mauritshuis di Den Haag per vedere “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer, e poi, di fronte al suo sguardo, vengo anch’io rapito dalla “Veduta di Delft” ……. “Come Bergotte“. Il quadro preferito di Proust. Di fronte ad esso Marcel Proust ha deciso di far morire il suo scrittore preferito: Bergotte.

Attraverso un piccolo lembo di muro giallo, in esso rappresentato, Bergotte sembra scoprire, prima di morire, il segreto dell’arte: “E’ così che avrei dovuto scrivere…I miei ultimi libri sono troppo secchi, avrei dovuto stendere più strati di colore, rendere la mia frase preziosa in sé, come quel piccolo lembo di muro giallo”.

Poche pagine che Proust ha voluto inserire, prima di morire, nelle sue “Recherche” che era da poco terminata. Forse, se riesco a comprendere il segreto che nasconde questa immagine, troverò la verità sullo sguardo puro! Scoprirò finalmente come comprendere il mondo delle immagini.

Quale visioni ha entusiasmato Bergotte-Proust? “Come Bergotte” devo trovarle e per farlo provo, anch’io, a seguire le tracce di Vermeer e di Proust. Tanti critici, artisti, filosofi hanno desiderato conoscere cosa si nasconde in quelle pagine e cosa mai Proust-Bergotte abbiano scoperto attraverso quel piccolo lembo di muro giallo (che tra l’altro risulta essere un tetto). Quale messaggio ci ha lasciare Proust da decifrare prima di morire? Mi faccio trasportare “Come Bergotte” nella ricerca di questo segreto.

Forse dovrei mettermi a terra per avere la visione di Bergotte prima di morire….. forse dovrei rendere il mio sguardo primitivo e togliere il giallo per apprezzare la sola forma in B/N della veduta ….. forse troverò la risposta nella Recherche e/o nei testi che l’hanno analizzata …… forse dovrei assaporare la veduta di Delft oggi …. trovare il luogo preciso in cui Vermeer ha trovato la sua veduta ….. oppure trovare a Delft un luogo simile che me lo faccia immaginare …. forse dovrei sovrapporre i colori del passato per scoprire il segreto della vera arte …… forse dovrei usare una camera con foro stenopeico per vedere come Vermeer usava fare…… forse dovrei provare a sovrapporre le immagini per vedere mischiare i colori …… mischiare il passato ed il presente per lasciarlo al futuro. Difficile scegliere tra tante immagini ……

Nel nostro tempo la magia dell’immagine è cambiata rispetto al ‘600. Ogni istante di vita è subissato da immagini in ogni direzione. Difficile poterle leggere e comprendere. Impossibile dominarle. Wim Wenders nel suo Lisbon Story ha provato a lasciarle vergini per non consumarle.

Colori, provocazioni, virtuosismi visivi….. diventa difficile comprendere e percepire le immagini ed i loro segreti. La superficie finale dell’immagine emerge come lo strato finale del colore giallo di Bergotte nascondendo così l’essenza delle maschere da lei velata. Impossibile isolarsi per decifrare il pensiero Proustiano del primo novecento oppure ancora peggio quello di fine seicento e le visioni interne alla camera obscura di Vermeer ….

Nessuno possiede la vera risposta a tutto questo! Non esiste una sola verità. Come Proust scriveva nel Tempo ritrovato: “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso.” Saper guardare il mondo dipende solo da come sappiamo guardare noi stessi. L’apparenza inganna, basta girare lo specchio e tutto si inverte pur sembrando uguale.

Alla fine, puoi vedere solo te stesso, oppure…… affinando lo sguardo puoi imparare a conoscere il mondo. Magia della camera obscura ma anche di quella chiara.

Spero un giorno, “Come Bergotte” di arrivare a capire questo segreto …. solo allora potrò dare una risposta alla domanda che si pone Proust a seguito della morte di Bergotte: “Era morto. Morto per sempre? Chi può dirlo?”


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