Alla ricerca del forum perduto

Giorno della Memoria

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view post Posted on 26/1/2012, 14:09
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la serpe in seno al forumismo

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Giorno della Memoria 2012:

eventi a Roma e Milano per ricordare


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Domani 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria 2012 per ricordare le vittime di Auschwitz e la liberazione dai campi di concentramento e la fine della Shoah. Ogni anno per ricordare i terribili eventi della Seconda Guerra Mondiale e quello che è successo agli ebrei deportati e torturati nei lager nazisti si svolgono molti eventi in tutta Italia per ricordare e non dimenticare. In Tv andranno in onda dei fil e dei documentari, ma anche il cinema sarà coinvolto con l’uscita del film “La chiave di Sara” che racconta la storia di migliaia di ebrei francesi.

Gli eventi dedicati al Giorno della Memoria 2012 sono diversi e le città più prolifiche sono come sempre Roma e Milano. A Roma nella giornata di oggi verrà inaugurata la mostra “I ghetti nazisti”, presso Salone Centrale del Complesso del Vittoriano, mostra che resterà aperta fino a marzo. Nella giornata di domani 27 gennaio, il Presidente Napolitano consegnerà le medaglie a 22 deportati che sono riusciti a salvarsi. A Milano nella giornata di oggi si terrà una conferenza stampa, Memoriale della Shoah di Milano, nella Stazione Centrale, proprio al binario 21, detto anche binario della morte perché da qui partivano i treni dei deportati. Nella giornata di domani sarà deposta una corona di fiori nella lapide dell’ex-Albergo Regina che fu il quartiere generale della gestapo. Non mancheranno poi eventi con incontri e letture che ricordano la Shoah alla Loggia dei Mercanti.

www.rete24.com



Edited by bergotte - 23/11/2013, 09:25
 
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view post Posted on 26/1/2013, 08:50
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joycelussu

C’E’ UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

Joyce Lussu


scarpette-rosse

 
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view post Posted on 26/1/2013, 17:11
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Binario-21


Il 30 gennaio 1944 dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano una umanità dolente, composta di cittadini italiani di religione ebraica di ogni età e condizione sociale, veniva caricata tra urla, percosse e latrati di cani su vagoni bestiame.
All’alba di una livida domenica invernale più di 600 persone avevano attraversato la città svuotata partendo dal carcere di San Vittore su camion telati e avevano raggiunto i sotterranei della Stazione Centrale con accesso da via Ferrante Aporti.
Tutti loro, braccati, incarcerati, detenuti per la sola colpa di esser nati ebrei partivano per ignota destinazione. Fu un viaggio di 7 giorni passati tra sofferenza e ansia.

I bambini da 1 a 14 anni erano più di 40, tra di loro Sissel Vogelmann di 8 anni e Liliana Segre di 13. La signora Esmeralda Dina di 88 anni era la più anziana.
All’arrivo ad Auschwitz la successiva domenica 6 febbraio circa 500 fra loro vennero selezionati per la morte e furono gasati e bruciati dopo poche ore dall’arrivo.

Dal binario 21 era già partito un convoglio con quasi 250 deportati il 6 dicembre del 1943, ne sarebbero partiti altri fino a maggio del 1944.




www.binario21.org

 
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view post Posted on 27/1/2013, 12:50
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Dichiarazioni importanti e inequivocabili quelle del Cancelliere tedesco Angela Merkel per il Giorno della Memoria:

"La Germania ha una responsabilità perenne per i crimini del nazionalsocialismo, per le vittime della Seconda guerra mondiale e, soprattutto, per l'Olocausto"

"Dobbiamo dire chiaramente, generazione dopo generazione, e dobbiamo dirlo ancora una volta: con coraggio, il coraggio civile, ognuno, individualmente, può impedire che il razzismo e l'antisemitismo abbiano alcuna possibilità"
 
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smilla_e_la_neve
view post Posted on 27/1/2013, 16:48




.

"Dite:
è faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
perché bisogna mettersi
al loro livello,
abbassarsi, inclinarsi, curvarsi,
farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
E’ piuttosto il fatto di essere
obbligati ad innalzarsi
fino all’altezza
dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi,
alzarsi sulla
punta dei piedi
per non ferirli."


Janusz Korczak

(Varsavia, 22 luglio 1878 – Campo di sterminio di Treblinka, 6 agosto 1942) è stato un pedagogo, scrittore e medico polacco.
Janusz Korczak - nome d'arte di Henryk Goldszmit - nacque a Varsavia nel 1878 in una famiglia ebrea ben integrata; ribelle fin dall’infanzia, non sopporta la suddivisione in classi e il fatto di essere nato ricco.
Nel 1911 venne approvato il suo progetto per la Casa degli Orfani, di cui poi divenne il direttore. L’orfanotrofio era gestito dagli stessi bambini, che lo sostenevano grazie al loro lavoro manuale e artigianale, pianificavano il lavoro, mantenevano un governo attraverso un Tribunale e un Giornale e organizzavano attività culturali e attività di gioco.
La mattina del 5 agosto 1942 fu deportato nel Campo di sterminio di Treblinka insieme a tutti i bambini ospiti dell'orfanotrofio ebraico del Ghetto di Varsavia. I bambini uscirono dalla loro Casa vestiti con gli abiti migliori, ordinati, mano nella mano. Il corteo era chiuso dallo stesso Korczak che badava a mantenere i bambini sulla carreggiata. Riconosciuto dagli ufficiali nemici venne trattenuto perché una tale personalità non avrebbe dovuto seguire il destino degli altri, ma egli si rifiutò di abbandonare i suoi bambini.
Sembra sia morto di dolore durante il trasporto.

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Gilberte
view post Posted on 27/1/2013, 20:21




ahahahaha

e le affermazioni di quella sagoma del berlu?

"Mussolini fece bene, leggi razziali la sua colpa peggiore"

e si è anche presentato a sorpresa senza alcun invito

all'inaugurazione del Memoriale della Shoah a Milano. :wacko:


va internato quest'uomo non c'è più alcun dubbio! :D
 
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view post Posted on 28/1/2013, 09:54
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Stavolta l'ha detta giusta il Bersa(ni):
La giornata memoria dovrebbe servire per farci riflettere su come la nostra comune umanità possa precipitare in un abisso senza nome. Berlusconi ha usato questa occasione per una manovretta elettorale, per richiamare un po’ di voti di una destra fascistoide, addirittura strizzando l’occhio a Mussolini. Per me è una cosa indecente”.
L'"indecente" riferito a Berlusconi ci sta proprio bene, sì sì. :ph34r:
 
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Gilberte
view post Posted on 28/1/2013, 09:59




anche i voti dei ducetti di casa Pound, come Grillo uguale :P
 
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view post Posted on 26/1/2014, 17:54
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Dove comincia l’antisemitismo

di Beppe Sebaste

Tutto è collegato con tutto. Un’esistenza chiusa nella sola dimensione personale non riesce a elaborarsi, ha scritto lo storico Georges Bensoussan (L’eredità di Auschwitz. Come ricordare?), solo “il tempo ci permette di collocarci in rapporto a ciò che precede e a ciò che segue, ai nostri ascendenti e discendenti”. Conoscere la storia è importante per formarsi come soggetti, ma se molti giovani credono che la Shoah sia un’esagerazione, più che stigmatizzarne l’ignoranza si dovrebbe puntare il dito sull’irresponsabile smantellamento dell’educazione e sui tagli (morali prima che economici) alla scuola pubblica. La cosiddetta crisi finanziaria non è certo uno spot a favore della conoscenza, ma è il modello sociale dominante a dannarci, quella televisione sempre accesa in cui ogni istante cancella quello precedente, un perpetuo presente dove galleggiamo senza senso, senza memoria, senza durata.

Anni fa scrivevo sul dovere pedagogico di ricordare che, nella Storia, avviene come nell’esperimento fatto in laboratorio con le rane. Mettendole direttamente in una pentola d’acqua bollente saltavano subito fuori per salvarsi; invece in una pentola d’acqua fredda, riscaldata in modo lento e costante, le rane si abituano gradualmente alla temperatura finché è troppo alta per avere la forza di uscire, e muoiono bollite. Nelle dittature avviene la stessa cosa, e inviterei tutti, giovani e meno giovani, a leggere i bellissimi romanzi polizieschi dal sapore chandleriano di Philip Kerr, ambientati non in una Los Angeles anni ’50 ma nella Berlino degli anni ’30, di cui descrive l’escalation graduale dell’hitlerismo; o Il giardino delle bestie di Erik Larson, biografia dell’ambasciatore americano a Berlino negli stessi anni, William E. Dodd, che tentò vanamente di sensibilizzare l’amministrazione Roosevelt sugli orrori compiuti giorno per giorno dal nazismo. Esempi di come furono ignorati o sminuiti i segni del presente, fino all’irreparabile, bollire come rane.

Si usa chiamare profetica la comprensione del futuro che nasce dall’osservazione del presente e dei suoi segni – un po’ come lo sguardo di Pier Paolo Pasolini sulla “barbarie del consumismo”. Dove comincia il fascismo, da quali segni, bavagli, violenze, abusi linguistici, revisionismi, provocazioni etc.? Era la domanda che alcuni si ponevano oltre dieci anni fa di fronte all’escalation del regime berlusconiano di cui abbiamo già perso la memoria.

Oggi i gesti di violenza nazista e antisemita si moltiplicano in Italia e in Europa (tra gli ultimi, le teste di maiale mandate alla sinagoga di Roma) e nella “grande stanchezza” si soffia sul fuoco del rancore sociale alimentato dalla crisi finanziaria, come nel secolo scorso. In Francia l’attore e militante politico Dieudonné, antisemita e negazionista dichiarato, ha messo insieme due segmenti di popolazione tradizionalmente opposti – i giovani di periferia dalle rivendicazioni anti-sistema e antiautorità, e l’estrema destra perbenista e autoritaria – entrambi sedotti dalle derive isteriche del “complotto ebraico dell’umanità”, sì, lo stesso immondo cliché che circolava un secolo fa. Prima della Shoah.

acchiappafantasmi.com.unita.it
 
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view post Posted on 27/1/2014, 15:47
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la serpe in seno al forumismo

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Enzo Biagi intervista Primo Levi: “Come nascono i lager? Facendo finta di nulla”

L'incontro tra il partigiano antifascista torinese e il giornalista andò in onda su Raiuno l'8 giugno 1982 nel programma "Questo secolo". Lo scrittore raccontò la sua vita dal capoluogo piemontese al campo di concentramento polacco di Auschwitz e ritorno: "Non credemmo a quanto dicevano gli inglesi sullo sterminio degli ebrei. Eravamo stupidi e anestetizzati: abbiamo chiuso gli occhi e in tanti hanno pagato"

di Enzo Biagi

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Levi come ricorda la promulgazione delle leggi razziali?
Non è stata una sorpresa quello che è avvenuto nell’estate del ’38. Era luglio quando uscì Il manifesto della razza, dove era scritto che gli ebrei non appartenevano alla razza italiana. Tutto questo era già nell’aria da tempo, erano già accaduti fatti antisemiti, ma nessuno si immaginava a quali conseguenze avrebbero portato le leggi razziali. Io allora ero molto giovane, ricordo che si sperò che fosse un’eresia del fascismo, fatta per accontentare Hitler. Poi si è visto che non era così. Non ci fu sorpresa, delusione sì, con grande paura sin dall’inizio mitigata dal falso istinto di conservazione: “Qui certe cose sono impossibili”. Cioè negare il pericolo.

Che cosa cambiò per lei da quel momento?
Abbastanza poco, perché una disposizione delle leggi razziali permetteva che gli studenti ebrei, già iscritti all’università, finissero il corso. Con noi c’erano studenti polacchi, cecoslovacchi, ungheresi, perfino tedeschi che, essendo già iscritti al primo anno, hanno potuto laurearsi. È esattamente quello che è accaduto al sottoscritto.

Lei si sentiva ebreo?
Mi sentivo ebreo al venti per cento perché appartenevo a una famiglia ebrea. I miei genitori non erano praticanti, andavano in sinagoga una o due volte all’anno più per ragioni sociali che religiose, per accontentare i nonni, io mai. Quanto al resto dell’ebraismo, cioè all’appartenenza a una certa cultura, da noi non era molto sentita, in famiglia si parlava sempre l’italiano, vestivamo come gli altri italiani, avevamo lo stesso aspetto fisico, eravamo perfettamente integrati, eravamo indistinguibili.

C’era una vita delle comunità ebraiche?
Sì anche perché le comunità erano numerose, molto più di ora. Una vita religiosa, naturalmente, una vita sociale e assistenziale, per quello che era possibile, fatta da un orfanotrofio, una scuola, una casa di riposo per gli anziani e per i malati. Tutto questo aggregava gli ebrei e costituiva la comunità. Per me non era molto importante.

Quando Mussolini entrò in guerra, lei come la prese?
Con un po’ di paura, ma senza rendermi conto, come del resto molti miei coetanei. Non avevamo un’educazione politica. Il fascismo aveva funzionato soprattutto come anestetico, cioè privandoci della sensibilità. C’era la convinzione che la guerra l’Italia l’avrebbe vinta velocemente e in modo indolore. Ma quando abbiamo cominciato a vedere come erano messe le truppe che andavano al fronte occidentale, abbiamo capito che finiva male.

Sapevate quello che stava accadendo in Germania?
Abbastanza poco, anche per la stupidità, che è intrinseca nell’uomo che è in pericolo. La maggior parte delle persone quando sono in pericolo invece di provvedere, ignorano, chiudono gli occhi, come hanno fatto tanti ebrei italiani, nonostante certe notizie che arrivavano da studenti profughi, che venivano dall’Ungheria, dalla Polonia: raccontavano cose spaventose. Era uscito allora un libro bianco, fatto dagli inglesi, girava clandestinamente, su cosa stava accadendo in Germania, sulle atrocità tedesche, lo tradussi io. Avevo vent’anni e pensavo che, quando si è in guerra, si è portati a ingigantire le atrocità dell’avversario. Ci siamo costruiti intorno una falsa difesa, abbiamo chiuso gli occhi e in tanti hanno pagato per questo.

Come ha vissuto quel tempo fino alla caduta del fascismo?
Abbastanza tranquillo, studiando, andando in montagna. Avevo un vago presentimento che l’andare in montagna mi sarebbe servito. È stato un allenamento alla fatica, alla fame e al freddo.

E quando è arrivato l’8 settembre?
Io stavo a Milano, lavoravo regolarmente per una ditta svizzera, ritornai a Torino e raggiunsi i miei che erano sfollati in collina per decidere il da farsi.

La situazione con l’avvento della Repubblica sociale peggiorò?
Sì, certo, peggiorò quando il Duce, nel dicembre ’43, disse esplicitamente, attraverso un manifesto, che tutti gli ebrei dovevano presentarsi per essere internati nei campi di concentramento.

Cosa fece?
Nel dicembre ’43 ero già in montagna: da sfollato diventai partigiano in Val d’Aosta. Fui arrestato nel marzo del ’44 e poi deportato.

Lei è stato deportato perché era partigiano o perché era ebreo?
Mi hanno catturato perché ero partigiano, che fossi ebreo, stupidamente, l’ho detto io. Ma i fascisti che mi hanno catturato lo sospettavano già, perché qualcuno glielo aveva detto, nella valle ero abbastanza conosciuto. Mi hanno detto: “Se sei ebreo ti mandiamo a Carpi, nel campo di concentramento di Fossoli, se sei partigiano ti mettiamo al muro”. Decisi di dire che ero ebreo, sarebbe venuto fuori lo stesso, avevo dei documenti falsi che erano mal fatti.

Che cos’è un lager?
Lager in tedesco vuol dire almeno otto cose diverse, compreso i cuscinetti a sfera. Lager vuol dire giaciglio,vuol dire accampamento,vuol dire luogo in cui si riposa, vuol dire magazzino, ma nella terminologia attuale lager significa solo campo di concentramento, è il campo di distruzione.

Lei ricorda il viaggio verso Auschwitz?
Lo ricordo come il momento peggiore. Ero in un vagone con cinquanta persone, c’erano anche bambini e un neonato che avrebbe dovuto prendere il latte, ma la madre non ne aveva più, perché non si poteva bere, non c’era acqua. Eravamo tutti pigiati. Fu atroce. Abbiamo percepito la volontà precisa, malvagia, maligna, che volevano farci del male. Avrebbero potuto darci un po’ d’acqua, non gli costava niente. Questo non è accaduto per tutti i cinque giorni di viaggio. Era un atto persecutorio. Volevano farci soffrire il più possibile.

Come ricorda la vita ad Auschwitz?
L’ho descritta in Se questo è un uomo. La notte, sotto i fari, era qualcosa di irreale. Era uno sbarco in un mondo imprevisto in cui tutti urlavano. I tedeschi creavano il fracasso a scopo intimidatorio. Questo l’ho capito dopo, serviva a far soffrire, a spaventare per troncare l’eventuale resistenza, anche quella passiva. Siamo stati privati di tutto, dei bagagli prima, degli abiti poi, delle famiglie subito.

Esistono lager tedeschi e russi. C’è qualche differenza?
Per mia fortuna non ho visto i lager russi, se non in condizioni molto diverse, cioè in transito durante il viaggio di ritorno, che ho raccontato nel libro La tregua. Non posso fare un confronto. Ma per quello che ho letto non si possono lodare quelli russi: hanno avuto un numero di vittime paragonabile a quelle dei lager tedeschi, ma per conto mio una differenza c’era, ed è fondamentale: in quelli tedeschi si cercava la morte, era lo scopo principale, erano stati costruiti per sterminare un popolo, quelli russi sterminavano ugualmente ma lo scopo era diverso, era quello di stroncare una resistenza politica, un avversario politico.

Che cosa l’ha aiutata a resistere nel campo di concentramento?
Principalmente la fortuna. Non c’era una regola precisa, visibile, che faceva sopravvivere il più colto o il più ignorante, il più religioso o il più incredulo. Prima di tutto la fortuna, poi a molta distanza la salute e proseguendo ancora, la mia curiosità verso il mondo intero, che mi ha permesso di non cadere nell’atrofia, nell’indifferenza. Perdere l’interesse per il mondo era mortale, voleva dire cadere, voleva dire rassegnarsi alla morte.

Come ha vissuto ad Auschwitz?
Ero nel campo centrale, quello più grande, eravamo in dieci-dodici mila prigionieri. Il campo era incorporato nell’industria chimica, per me è stato provvidenziale perché io sono laureato in Chimica. Ero non Primo Levi ma il chimico n. 4517, questo mi ha permesso di lavorare negli ultimi due mesi, quelli più freddi, dentro a un laboratorio. Questo mi ha aiutato a sopravvivere. C’erano due allarmi al giorno: quando suonava la prima sirena, dovevo portare tutta l’apparecchiatura in cantina, poi, quando suonava quella di cessato allarme, dovevo riportare di nuovo tutto su.

Lei ha scritto che sopravvivevano più facilmente quelli che avevano fede.
Sì, questa è una constatazione che ho fatto e che in molti mi hanno confermato. Qualunque fede religiosa, cattolica, ebraica o protestante, o fede politica. È il percepire se stessi non più come individui ma come membri di un gruppo: “Anche se muoio io qualcosa sopravvive e la mia sofferenza non è vana”. Io, questo fattore di sopravvivenza non lo avevo.

È vero che cadevano più facilmente i più robusti?
È vero. È anche spiegabile fisiologicamente: un uomo di quaranta-cinquanta chili mangia la metà di un uomo di novanta, ha bisogno di metà calorie, e siccome le calorie erano sempre quelle, ed erano molto poche, un uomo robusto rischiava di più la vita. Quando sono entrato nel lager pesavo 49 chili, ero molto magro, non ero malato. Molti contadini ebrei ungheresi, pur essendo dei colossi, morivano di fame in sei o sette giorni.

Che cosa mancava di più: la facoltà di decidere?
In primo luogo il cibo. Questa era l’ossessione di tutti. Quando uno aveva mangiato un pezzo di pane allora venivano a galla le altre mancanze, il freddo, la mancanza di contatti umani, la lontananza da casa…

La nostalgia, pesava di più?
Pesava soltanto quando i bisogni elementari erano soddisfatti. La nostalgia è un dolore umano, un dolore al di sopra della cintola, diciamo, che riguarda l’essere pensante, che gli animali non conoscono. La vita del lager era animalesca e le sofferenze che prevalevano erano quelle delle bestie. Poi venivamo picchiati, quasi tutti i giorni, a qualsiasi ora. Anche un asino soffre per le botte, per la fame, per il gelo e quando, nei rari momenti, in cui capitava che le sofferenze primarie, accadeva molto di rado, erano per un momento soddisfatte, allora affiorava la nostalgia della famiglia perduta. La paura della morte era relegata in secondo ordine. Ho raccontato nei miei libri la storia di un compagno di prigionia condannato alla camera gas. Sapeva che per usanza, a chi stava per morire, davano una seconda razione di zuppa, siccome avevano dimenticato di dargliela, ha protestato: “Ma signor capo baracca io vado nella camera a gas quindi devo avere un’altra porzione di minestra”.

Lei ha raccontato che nei lager si verificavano pochi suicidi: la disperazione non arrivava che raramente alla autodistruzione.
Sì, è vero, ed è stato poi studiato da sociologi, psicologi e filosofi. Il suicidio era raro nei campi, le ragioni erano molte, una per me è la più credibile: gli animali non si suicidano e noi eravamo animali intenti per la maggior parte del tempo a far passare la fame. Il calcolo che quel vivere era peggiore della morte era al di là della nostra portata.

Quando ha saputo dell’esistenza dei forni?
Per gradi, ma la parola crematorio è una delle prime che ho imparato appena arrivato nel campo, ma non gli ho dato molta importanza perché non ero lucido, eravamo tutti molto depressi. Crematorio, gas, sono parole che sono entrate subito nelle nostra testa, raccontate da chi aveva più esperienza. Sapevamo dell’esistenza degli impianti con i forni a tre o quattro chilometri da noi. Io mi sono esattamente comportato come allora quando ho saputo delle leggi razziali: credendoci e poi dimenticando. Questo per necessità, le reazioni d’ira erano impossibili, era meglio calare il sipario e non occuparsene.

Poi arrivarono i russi e fu la libertà. Come ricorda quel giorno?
Il giorno della liberazione non è stato un giorno lieto perché per noi è avvenuto in mezzo ai cadaveri. Per nostra fortuna i tedeschi erano scappati senza mitragliarci, come hanno fatto in altri lager. I sani sono stati ri-deportati. Da noi sono rimasti solo gli ammalati e io ero ammalato. Siamo stati abbandonati, per dieci giorni, a noi stessi, al gelo, abbiamo mangiato solo quelle poche patate che trovavamo in giro. Eravamo in ottocento, in quei dieci giorni seicento sono morti di fame e freddo, quindi, i russi mi hanno trovato vivo in mezzo a tanti morti.

Questa esperienza ha cambiato la sua visione del mondo?
Penso di sì, anche se non ho ben chiara quale sarebbe stata la mia visione del mondo se non fossi stato deportato, se non fossi ebreo, se non fossi italiano e così via. Questa esperienza mi ha insegnato molte cose, è stata la mia seconda università, quella vera. Il lager mi ha maturato, non durante ma dopo, pensando a tutto quello che ho vissuto. Ho capito che non esiste né la felicità, né l’infelicità perfetta. Ho imparato che non bisogna mai nascondersi per non guardare in faccia la realtà e sempre bisogna trovare la forza per pensare.

Grazie, Levi.
Biagi, grazie a lei.

www.ilfattoquotidiano.it

 
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view post Posted on 25/1/2015, 12:32
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Il Giorno della Memoria

Così Taranto ricorda la Shoah

Martedì in prefettura la cerimonia con la consegna della medaglia del presidente della Repubblica.
Nelle scuole convegni e dibattiti


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Martedì 27 gennaio, con inizio alle ore 10.30, in concomitanza con la celebrazione del “Giorno della Memoria”, si terrà presso il Salone di Rappresentanza della Prefettura la cerimonia di consegna delle Medaglie d’onore, concesse dal Presidente della Repubblica, ai cittadini - sia militari sia civili - che sono stati deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale.

Il prefetto, dott. Umberto Guidato, consegnerà la distinzione onorifica al signor Vittorio Caroli residente nel Comune di Crispiano, alla presenza delle massime Autorità Militari, Civili e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma della provincia jonica.

Grazie alla collaborazione del Dirigente dell’Ufficio Territoriale Scolastico, alla manifestazione parteciperà anche una delegazione degli studenti dell’Istituto Statale “Archita” e del Polo Commerciale “Pitagora” di Taranto. Alcuni studenti leggeranno brani tratti dal “Diario 1941-1943” di Etty Hillesum e da “Il Silenzio dei Vivi” di Elisa Springer. Alla lettura seguiranno delle brevi riflessioni degli stessi studenti.

Il prof. Mino Ianne, docente di storia della retorica antica presso la Cattedra di didattica della comunicazione alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Bari, terrà inoltre una meditazione dal titolo “Dal negazionismo all’etica dei diritti umani”. Il tutto sarà intervallato dall’esecuzione di brani musicali attinenti al tema della Shoah eseguiti dagli allievi e dal coro del liceo Statale “Archita” diretto dalla prof.ssa Maria Antonietta Carola.

AL PITAGORA: IL RUMORE DELLA MEMORIA

Il rumore della memoria”: è stata intitolata così la Giornata di studio in ricordo della Shoah organizzata per stamattina dal Pitagora. Ospite dell’istituto tecnico commerciale l’eminente membro della comunità ebraica di Roma Ugo Foà con la sua preziosa testimonianza come vittima della Shoah. Un incontro altamente formativo, in occasione della “ Giornata della Memoria” rivolto agli alunni delle quinte classi dell’Istituto e del plesso di via Mascherpa. Ad aprire l’incontro la dirigente scolastica M. Silvana D’Addario. Quindi spazio alla testimonianza di Pietro Villani sopravvissuto ai campi di concentramento. Tra gli interventi, nel corso della mattinata, quello a cura di Mino Ianne e di Michele Indellicato, docente di filosofia morale dell’Università di Bari sulla tematica “Dal negazionismo alle attuali forme di risveglio antisemitiche e non…”. La parola è quindi passata agli alunni.

MODIANO E L’IMPOSSIBILITA’ DELL’ESPIAZIONE

Il 26 gennaio alle ore 18 presso la Libreria Gilgamesh, si terrà una conferenza dal titolo “Patrik Modiano, la Shoah e l’impossibilità dell’espiazione”. Condurrà la serata la prof Hélène Claude Francès, insegnante presso il liceo Aristosseno di Taranto. L’evento è stato organizzato in occasione della Giornata della Memoria dal presidio del libro di Taranto Rosa Pristina ed ha il patrocinio della Regione Puglia assessorato al Mediterraneo, cultura e turismo e dei Presìdi del Libro.

Lo scopo della serata è quello di far conoscere meglio la figura di Patrick Modiano, premio Nobel per la Letteratura 2014, la cui vicenda personale ed artistica è strettamente legata all’occupazione nazista della Francia e alla deportazione degli ebrei. Per Modiano non esiste che il passato, che bisogna ritrovare attraverso tracce materiali flebili; queste tracce ci riportano a vite cancellate, dimenticate, a colpe indicibili, a persone sparite e di cui nessuno ha più saputo nulla. Tutti i suoi romanzi sembrano uniti da questo filo della memoria.

www.tarantobuonasera.it

 
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