Alla ricerca del forum perduto

Il Dizionario delle parole perdute

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view post Posted on 22/11/2011, 11:52
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CARTA CARBONE


Quando chiudemmo l’ufficio della Ditta, ormai molti anni fa, io, a differenza di altre donne della famiglia, conservai molti oggetti di cancelleria o altro tipo che erano serviti nel tempo e, tra questi, le veline e qualche risma di carta carbone che ancora ieri mi è capitata tra le mani. E non mi decido a buttarla. Del resto perché dovrei farlo? È carta carbone da macchina da scrivere. Per simpatia dei gesti del passato, l’ho usata, fino a poco tempo fa, per rianimare la Olivetti lettera 32, quella con cui un giorno ebbi l’idea di scrivere la prima poesia.
(Germana Pisa)


Quando il mondo si fabbricava ancora a mano. A 17 anni, al primo impiego, in piazzetta Bossi, a fianco della Scala, battevo le fatture con una macchina elettrica su un modulo verticale che ne comprendeva tre. La tripla carta carbone veniva inserita nel modulo dai fattorini, in modo che "tempi e metodi" dessero i loro frutti ottimali. Di fonte a me, su un'altra macchina, c'era la Fernanda. Chissà se vi interessa sapere che, pur desiderandolo, non l'ho mai baciata. Chissà se le altre ragazze, che invece sì, erano la carta carbone di Fernanda.
(Beno Fignon)

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Gilberte
view post Posted on 25/11/2011, 08:03




.. mi ricordo che mi imbrattavo tutte le dita! :(
 
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view post Posted on 29/11/2011, 08:36
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BRIGHELLA


«È vestito come un brighella!» esclamava mio padre di fronte ad un abbigliamento per lui discutibile. Era come se dicesse: «Guarda che buffone!». Mi chiedo che cosa direbbe oggi della moda casual, lui sarto di scuola classica che vedendo i primi jeans pronunciò una sentenza inappellabile: «Stracci, non sono altro che stracci!».
(Alfredo Tamisari)

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view post Posted on 4/12/2011, 09:20
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la serpe in seno al forumismo

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RITIRATA


Leggo sullo Zingarelli che ritirata si diceva un tempo di "luogo appartato in una casa": de la stanza regal le ritirate interne (Tasso). Da qui, probabilmente, il significato in disuso di cesso e gabinetto, anche queste parole decadute, soprattutto la prima: cesso deriva dal latino recedere ‘ritirarsi’, gabinetto viene dal francese cabinet ‘piccola cabina’, quindi luogo piccolo, piccola stanza.
L’interdizione che colpisce gli argomenti scatologici è sempre stata molto forte. Ricordo che da bambino, di una persona che si assentava per un bisogno fisiologico si diceva: «si è ritirata un momento», oppure «è andata in un posticino» o, perfino, "è andata a fare una telefonata". Ricordo anche che raramente si diceva «vado al gabinetto», ma "vado a lavarmi le mani". Del resto, latrina significa proprio luogo dove ci si lava. Perfino per mio nonno, l’orinare diventava "spandere acqua".
(Alfredo Tamisari)

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view post Posted on 9/12/2011, 19:23
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BOMBOLONE


Non c’erano un tempo le merendine confezionate, ma sul banco del panettiere, alla mattina, era uno spettacolo vedere allineati i tondi bomboloni inzuccherati che racchiudevano un cuore di dolcissima crema. Erano in bella mostra anche le veneziane ancora calde di forno, cosparse di granelli di zucchero, ma la mia scelta cadeva senza esitazione sul morbido bombolone. Quando la lingua affogava nella crema, chiudevo istintivamente gli occhi (così mi par di ricordare): era un attimo di puro godimento. Mi capita ancora di vederli, i bomboloni, sulle bancherelle delle fiere o in qualche panetteria, ma hanno un’aria scialba e dimessa. Niente a che fare con la trionfante esuberanza con la quale si mostravano a me bambina.
(Franca Baldini)

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Gilberte
view post Posted on 9/12/2011, 20:30




che bella parola! BOMBOLONE :wub:
questa parola comq non è affatto in disuso e i bomboloni ci sono ancora...boni!

Ricordo che c'era un barretto vicino all'università che ogni mattina già verso le 8 li sfornava..bhè li sfriggeva caldi con quei granelli di zucchero che lo ricoprivano, pieni pieni di crema morbidissima che al primo morso colava giù giù sul tovagliolino avvolto...che buoni che erano.. sluuuurp :D
 
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view post Posted on 10/12/2011, 13:24
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Golosona! :P :lol:
 
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Gilberte
view post Posted on 10/12/2011, 17:09




ora per smaltire il bombolone mi ci vorrebbero 50 vasche :huh:
 
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view post Posted on 10/12/2011, 17:17
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la serpe in seno al forumismo

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Mavalà!
Bombolone sano in corpore sano. :rofl.gif:
 
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view post Posted on 5/2/2012, 16:32
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TREBISONDA


Che bella quell’espressione: «perdere la trebisonda»! Quando la pronunciavo da bambina, con fare molto arrabbiato, mi sentivo un incrocio tra un terribile avventuriero che perde l’orientamento in mare (forse perché si dice anche «perdere la tramontana») e un orco inferocito. Mi ricorda un personaggio televisivo, che forse la usava, in una vecchia trasmissione per ragazzi: La nonna del Corsaro Nero.
(Giulia Zecchi)

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view post Posted on 6/2/2012, 11:26
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CARAMPANA


Donna sguaiata, volgare. Il significato, però, che davamo a questo termine noi giovanissime dattilografe, a guerra appena terminata, era un altro. Venivano ingiustamente definite così le capo-ufficio, le segretarie dei direttori considerate zitelle anche se non avevano nemmeno quarant’anni, anche se non erano affatto volgari. Molto lontano era il pensiero che quell’età sarebbe presto arrivata anche per noi.
(Wanda De Giorgis)

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view post Posted on 18/3/2012, 10:38
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STOMACARE


L’aggettivo ‘stomachevole’ è ancora usato, il verbo stomacare molto meno, sia in senso letterale (dare nausea) che in senso figurato (disgustare moralmente). Il nonno umiliava talvolta la nonna: «Sempre la stessa minestra, mi ha stomacato!». La nonna, che mangiava esclusivamente radicchi, esclamava schifata, naturalmente nel suo dialetto: « La carne? Dio mama come mi stomaca!».
Dalle donne del cortile udivo spesso giudizi negativi nei confronti di paesane e paesani, fino ad arrivare alla dichiarazione finale di chiusura del rapporto: «Non lo (la) sopporto più: m’ha proprio stomacato».
Con l’avanzare dell’età, mi sto accorgendo di essere sempre più spesso stomacato dal rumore e dal chiacchiericcio e condivido quanto Leopardi scrisse: «Io soglio sempre stomacare delle sciocchezze degli uomini». Sto imparando a difendermi col silenzio, ma non è sempre facile.
(Alfredo Tamisari)

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view post Posted on 3/12/2012, 10:42
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SERENDIPITA'


Cercavo sull’indice analitico dello Zibaldone di Leopardi le voci che riguardavano la memoria e il ricordo. Era il tempo in cui tentavo di impostare il mio primo libretto. A poco a poco la mia mente fu calamitata da una profondità di pensiero a cui non ero preparato. Tralasciai la ricerca iniziale e il naufragar mi fu dolce in quel mare infinito della molteplicità, in cui era tutto un palpitare di nessi e di rifrazioni tra i diversi saperi. Avevo trovato un libro da leggere ogni giorno come un breviario.
Serendipità: l’eterna speranza dello studioso che qualcosa attiri il suo sguardo. «Il cercare un ago in un pagliaio e trovarvi la figlia del contadino» (Julius Comroe).
Serendipità: bella e importante parola (dall’inglese serendipity) che, da quando fu introdotta nel ‘700 nella lingua italiana, ebbe scarsissima fortuna. Io l’ho incontrata solo recentemente in un articolo di giornale. Dubito che la mia maestra ne conoscesse il significato. Mi avrebbe insegnato che la scoperta dell’America è stata un caso di serendipità. Ma anche molte scoperte scientifiche, come per esempio la penicillina e, dicono, il Viagra.
(Alfredo Tamisari)

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view post Posted on 25/11/2015, 10:24
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CREDENZA


Dalle piccole vetrate del buffet facevano bella mostra di sé le chicchere del caffè e, al piano superiore, la serie di bicchieri e bicchierini per il liquore perfettamente allineati. Tutto era appoggiato su candide tovagliette con gli orli di pizzo. Sul ripiano, l’oggetto più importante era la sveglia: il papà la caricava, la puntava tutte le sere e andava a posarla sul comodino.
Poi c’erano i cassetti per le tovaglie, i tovaglioli e le posate; ma ce n’era uno molto particolare: non era destinato a nulla; vi finivano oggetti di ogni tipo che temporaneamente non servivano, ma che avrebbero potuto venir buoni. Era un cassetto che si apriva quando si cercava qualcosa: si cercava, si cercava e quasi sempre si trovava altro («Toh, come mai sarà finito qui?» si chiedeva la mamma). Per me bambino era un cassetto magico e ogni tanto lo aprivo solo per il gusto di passare in rassegna le cianfrusaglie che conteneva. E magica diventava tutta la credenza quando si avvicinava il Natale. Il papà e la mamma mettevano in ordine tutte le parti visibili, toglievano dal ripiano la sveglia e i sopramobili per fare spazio al piccolo presepe. Non c’erano luci o lucine: ad accendere gli occhi solo una povera cometa di cartone impreziosita dalla porporina d’oro.
Interessante è l’etimologia di questa parola.
Credenza: dal lat. mediev. credentia, der. di credĕre «affidare, fidarsi, ritener vero» e dalla locuzione antica “fare la credenza”, riferita all’assaggio dei cibi. Nel Medio Evo le mense dei nobili non erano “sicure”: il rischio di morire avvelenati era un fatto, potremmo dire, di normale amministrazione. Per scongiurare questa trista eventualità i signori si erano circondati di persone che avevano l’ingrato compito di assaggiare la pietanza prima del nobile in modo che quest’ultimo potesse “credere” che cibi e bevande erano assolutamente privi di veleno. La cerimonia dell’assaggio era chiamata “dar la credenza” o “far la credenza”. Se l’assaggiatore restava ritto sulle proprie gambe, il signorotto era sicuro che quanto ingeriva non lo avrebbe portato a sicura morte. Da questa cerimonia deriva il nome del mobile che conteneva le posate e i cibi destinati al nobile palato.
(Alfredo Tamisari)

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