SULL' EX ILVA UNA PANTOMIMA INDECENTE
E' ora che la politica e i sindacati, con la società civile, fermino questa assurda messinscena
di Gianmario Leone
Lo ammettiamo senza tanti giri di parole: probabilmente continuare a scrivere sull’ex Ilva è diventato un esercizio e un impegno del tutto inutile. Non certo per la complessità di una vicenda che seguiamo da circa 20 anni e che di certo non ci spaventa e mai ci ha spaventato. Ma guardando al bassissimo livello raggiunto sull’argomento da parte della politica, dei sindacati e della società civile, è palese come la battaglia per un’informazione vera, corretta, libera, civile e leale sia stata del tutto persa. Ciò non toglie però, che sia giusto e doveroso nei confronti dei cittadini-lettori, provare ancora una volta (fosse anche l’ultima) a fare il punto della situazione riportando con fedeltà la realtà dei fatti alla vigilia dell’ennesimo incontro romano e prima che possa nuovamente scatenarsi il solito caos mediatico che tutto e tutti travolge, allontanando sempre di più la verità e la possibilità di un’analisi seria ed approfondita sul presente e il futuro del siderurgico. Motivo per il quale, con questo articolo, cercheremo di smontare e smascherare le teorie più bizzarre degli ultimi tempi, per consentire al lettore di farsi un’opinione libera e disinteressata sulla più stretta attualità e sul prossimo futuro che ci attende.
Dunque, l’ultima vulgata in ordine di tempo è la richiesta di un cambio immediato della governance di Acciaierie d’Italia (società pubblico privata creata nel dicembre 2020 da un accordo tra l’allora governo Conte II e la multinazionale ArcelorMittal). In pratica si chiede al governo di effettuare l’aumento di capitale che doveva avvenire lo scorso mese di maggio ed è stato rinviato, con un accordo tra le parti, al maggio del 2024 per far sì che lo Stato, tramite Invitalia, arrivi a controllare da subito il 60% del capitale sociale della società che gestisce in fitto gli impianti del siderurgico tarantino, che ricordiamo ancora essere di proprietà della Ilva spa in Amministrazione Straordinaria (la cui procedura fallimentare è incapo al tribunale di Milano) gestita dai tre commissari straordinari. Secondo i richiedenti, tale cambio di governance produrrebbe come effetto immediato la ‘cacciata‘ dell’attuale amministratore delegato Lucia Morselli, o comunque la messa in minoranza del socio privato, reo di aver portato Acciaierie d’Italia ad un passo da un nuovo crac finanziario.
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https://www.corriereditaranto.it/2022/12/2...ce-alternativa/)
Su queste colonne abbiamo già avuto modo di spiegare, attraverso diversi articoli (che trovate linkati in questa pagina), come la verità sia esattamente l’opposto di questa teoria. Perché la crisi di liquidità in cui versa l’azienda da due anni (decisamente accelerata dalla pandemia del 2020 e dalla guerra in Ucraina del 2022) è diretta responsabilità dello Stato, che non ha mantenuto fede agli accordi sottoscritti nel dicembre del 2020. Che molto semplicemente prevedevano da parte di Invitalia investimento pari a poco più di 2 miliardi: i 400 milioni di un primo aumento del capitale già versati nel 2021 (il secondo che dovrà essere effettuato nel 2024 è pari a 680 milioni di euro), più circa 700 milioni di garanzie per il finanziamento Sace, più 900 milioni di rimborsi e sostegni agli investimenti, variamente assortiti. Gli ultimi due interventi di natura finanziaria, come ha avuto più volte modo di ricordare anche il presidente di Acciaierie d’Italia Bernabè (che ricordiamo rappresenta il socio pubblico) non sono mai stati effettuati. Guarda caso, le somme in questione sono pari al prossimo finanziamento che il governo ha reso noto a fine dicembre (i 680 milioni di cui si parla insistentemente) e il miliardo di euro approvato con l’ultimo decreto che altro non é che l’intervento finanziario già approvato con il decreto Aiuti bis dal governo Draghi.
Ora. La nostra prima domanda è la seguente: siete sicuri che gli accordi tra le parti prevedano la possibilità di un cambio di governance? Da quanto sappiamo, ciò non è possibile e non è previsto. Secondo, cosa cambierebbe con un cambio di governance immediato? Improvvisamente la società non avrebbe più bisogno di liquidità? O arriverebbero nelle casse della società miliardi di euro a flusso continuo in aggiunta a quelli che lo Stato già le deve? Assolutamente no. E questo lo sanno tutti coloro i quali chiedono a gran voce tutto ciò. Perché allora lo gridano ai quattro venti? La risposta è fin troppo semplice: perché non hanno mai avuto e mai avranno il coraggio di dire la verità. E perché molti di loro, pur ricoprendo incarichi di un certo prestigio, neanche la conoscono.
Del resto, e qui iniziano i dolori, la mancanza di liquidità è strettamente legata alla mancata proprietà degli impianti che sono ancora oggi sotto sequestro. E sul cui futuro penda anche la possibilità di un’eventuale futura confisca quando sul processo ‘Ambiente Svenduto’ sarà scritta tra molti anni la parola fine da parte dell’ultimo grado di giudizio che emetterà la Cassazione. Non è un caso che la clausola principale dell’accordo del dicembre 2020 riguardi proprio il dissequestro di quest’ultimi. Che la Procura di Taranto, insieme alla Corte d’Assise, ha già bocciato una prima volta. E che con un’inchiesta dai contorni ancora poco chiari sui controlli effettuati da ISPRA e ARPA Puglia sull’attuazione delle prescrizioni del Piano Ambientale, sembra voler allontanare nel tempo sostenendo una tesi che ad oggi ai nostri occhi appare più contraddittoria che mai: ovvero che “neppure l’adempimento completo dei lavori Aia rappresenterebbe condizione sufficiente per il dissequestro“. Domanda: qualcuno pensa che con un cambio immediato della governance quegli impianti verrebbero immediatamente dissequestrati? Assolutamente no. Al netto del fatto che entro agosto il Piano Ambientale dovrà essere attuato e che probabilmente nel mese di settembre i commissari straordinari di Ilva in AS torneranno a chiedere il dissequestro alla Corte d’Appello (che affronterà il secondo grado di giudizio del processo ‘Ambiente Svenduto’), a febbraio partirà il riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale che potrebbe portare a nuove prescrizioni migliorative rispetto al Piano Ambientale del 2017. Che oramai si avvia alla sua completa attuazione e che ha dato i suoi frutti: ciò non toglie che sia sicuramente migliorabile e che lo dovrà e potrà essere qualora lo richiedano le autorità preposte.
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https://www.corriereditaranto.it/2022/11/1...ione-di-soldi3/)
Eppure, secondo i nostri ‘eroi‘, la cacciata o la messa in minoranza di ArcelorMittal Italia, porterebbe nuova linfa vitale all’azienda e la proietterebbe verso una nuova era. Ma in che modo ciò dovrà avvenire nessuno lo spiega davvero. Del resto, a guardare i protagonisti di oggi, la totale assenza di contenuti non stupisce affatto.
Siamo rimasti francamente perplessi e stupiti, ad esempio, dell’alleanza nata da parte di Fiom, Uilm e Usb che da anni sostengono idee molto diverse sul futuro del siderurgico. La Uilm, che detiene più iscritti all’interno del siderurgico, non ha mai fatto mistero di essere totalmente contraria alla chiusura dell’area a caldo, dichiarandosi da sempre a favore di un’azienda che torni a produrre il massimo del tonnellaggio possibile annuale pur nel rispetto dei vincoli ambientali. L’Usb invece, propone da anni l’esatto opposto: la chiusura dell’area a caldo e l’eventuale conversione produttiva della fabbrica, accompagnata alla sottoscrizione di un Accordo di Programma stile Genova (cosa che tutti sanno essere del tutto irrealistica) per blindare il futuro occupazionale dei lavoratori che inevitabilmente sarebbero espulsi dal ciclo produttivo integrale una volta dismesso. La Fiom invece, negli ultimi anni ha cercato di sostenere una linea che fosse una via di mezzo tra le due: riconversione produttiva degli impianti inquinanti (con conseguente tutela dell’ambiente e della salute) e tutela dei livelli occupazionali. Eppure oggi, queste tre sigle, hanno stretto un’alleanza con l’unico obiettivo di cacciare il socio privato, per un deciso cambio di passo che dia una spinta decisiva ad un processo di transizione produttivo, ecologico e sociale, attraverso l’utilizzo dei fondi pubblici di prossimo arrivo. Cosa voglia dire tutto questo è francamente incomprensibile.
Come non bastasse, è stato fatto votare ai lavoratori diretti di Acciaierie d’Italia, di Ilva in AS e dell’appalto, un referendum nel quale sostanzialmente si chiedeva ai lavoratori se fossero d’accordo o meno con questa impostazione. A fronte di 6.111 voti validi, i sì sono stati 6.041, i no 70 (1,1%), le schede nulle 92 e le bianche 123. A leggere i numeri però, qualche perplessità ci sovviene. Perché se davvero questo referendum è stato sottoposto a tutti i lavoratori (come hanno riportato in diversi comunicati stampa gli stessi sindacati promotori), questo vuol dire che al netto di una totalità che raggiunge più o meno le 15mila unità, non avrebbe votato più della metà dei lavoratori. O comunque non più della metà. Il che qualche dubbio dovrebbe pur far sorgere nelle organizzazioni sindacali che invece dichiarano come la totalità dei lavoratori sia d’accordo con questa impostazione sindacale. Per non parlare del fatto che ci ha stupito non poco vedere, nelle foto della manifestazione romana dello scorso 11 gennaio, la presenza dell’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando. Colui il quale, nonostante la contrarietà e il disaccordo dei sindacati metalmeccanici, firmò la cassa integrazione straordinaria nella scorsa primavera. Eppure erano tutti insieme sorridenti. Ma come mai l’ex ministro Orlando firmò nonostante il mancato accordo con i sindacati? Perché nell’accordo del dicembre 2020 è messo nero su bianco che la cassa integrazione dovrà essere mantenuta per poi terminare a piano ambientale concluso quando la produzione potrà risalire.
Sarebbe troppo facile, come segnare un gol a porta vuota, ricordare ai sindacati che al tempo dei Riva nessuno mai si è sognato di cacciare il privato. E che sempre in quegli anni, gli stessi insieme a Confindustria Taranto (sulle cui vicende tanto abbiamo già scritto) ricorsero al Tar di Lecce contro il referendum consultivo promosso dall’associazione Taranto Futura che chiamava i cittadini di Taranto ad esprimersi su tre quesiti (anch’essi sicuramente alquanto particolari e finanche forse contradditosi e sul cui referendum mancò l’appoggio degli ambientalisti) sul futuro dell’ex Ilva. Ma evitiamo di addentrarci in simile polemiche. Anche se questo non vuol dire che abbiamo dimenticato cosa accadeva in quegli anni.
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https://www.corriereditaranto.it/2022/12/0...onalizzazione2/)
Come non bastasse, negli ultimi tempi si è stretta attorno a questa visione un’alleanza che vede la presenza anche del Comune e della Provincia di Taranto nonché della Regione Puglia. E qui si potrebbe aprire davvero un capitolo infinito. Ma come, i sindacati che si allenano con un sindaco e presidente della provincia, Rinaldo Melucci, che ancora oggi chiede la chiusura dell’area a caldo e si mostra perplesso nella conversione produttiva che prevede la realizzazione dei forni elettrici? Quello stesso sindaco che ha cercato con un’ordinanza sindacale, che mai avrebbe potuto avere successo come abbiamo sempre scritto, di far chiudere gli impianti del siderurgico? Quello stesso sindaco che ha più volte candidamente dichiarato che il futuro di Taranto non potrà e dovrà essere più legato all’economia dell’acciaio? E che chiede da anni un Accordo di Programma di cui ancora oggi non conosciamo i contenuti? Quello stesso sindaco che nel 2018 incontrò (in gran segreto) l’allora ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda a Palazzo di Città in vista dell’imminente passaggio dell’azienda ad ArcelorMittal? E che il 7 settembre del 2018, all’indomani dell’accordo sindacale che aprì le porte all’era della multinazionale dichiarò testualmente: “Alla fine ha prevalso il buon senso in tutti, la politica strumentale ha fatto un passo indietro. Chi ha azzardato strampalate teorie ora dovrà giustificare al proprio corpo elettorale quanto successo. Taranto da oggi può guardare al futuro con maggiore fiducia. L’accordo odierno ricalca abbastanza fedelmente la piattaforma che avevamo contribuito ad allestire con il precedente ministro (Calenda)”. Quello stesso sindaco che poi, qualche mese dopo, cambiò radicalmente posizione e chiese, ottenendolo, il Riesame dell’AIA dell’ex Ilva che, detto per inciso, è finito in un vicolo cieco e di cui non se n’è fatto più nulla. E che oggi governa una maggioranza che non è in grado di presentare un ordine del giorno unitario sulla questione Ilva, preferendo presentarne tre diversi per poi far finire tutto a tarallucci e vino? E ci fermiamo qui, ma con gli esempi potremmo continuare all’infinito.
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https://www.corriereditaranto.it/2022/12/1...a-per-taranto3/)
E che dire del sostegno della Regione Puglia guidata dal 2015 da Michele Emiliano? Che da sempre chiede anch’egli la chiusura dell’area a caldo proponendo un processo di decarbonizzazione che ad oggi non è stato mai chiarito in cosa consista davvero? Che sull’Ilva ha imbastito una guerriglia continua con l’ex premier Matteo Renzi quando i due battagliavano per il posto da segretario del Partito Democratico, ricorrendo più volte al TAR anche contro il Piano Ambientale del 2017 (venendo sempre platealmente sconfitto in punta di diritto, proprio lui che è un magistrato)? Che sosteneva che a vincere la gara internazionale per la gestione dell’ex Ilva dovesse essere la cordata capeggiata da Jindal, che dopo quella sconfitta prese in gestione gli impianti di Piombino dove non è stata nemmeno in grado di produrre un piano industriale degno di questo nome? Che non solo dichiara che se fosse per lui il siderurgico chiuderebbe anche domani ma che se fosse stato per lui quell’azienda non sarebbe mai stata costruita nei lontani anni ’60 del secolo scorso? Che negli anni ha capito quanto fosse utile, politicamente parlando, allearsi con la parte più oltranzista del movimento ambientalista tarantino, oltre che con il sindacato con le idee più vicine alle sue (l’Usb) e poi con il Movimento 5 Stelle (tanto da essersi avvicinato sempre più all’ex premier Conte fondando un movimento politico chiamato ‘Con‘ e portandosi in maggioranza alcuni dei consiglieri regionali eletti nel Movimento)? E che negli anni è stato capace di creare un centro di potere enorme, vastissimo, che gli ha portato consensi politici insospettabili e che gli ha permesso di gestire da lontano ma in maniera molto oculata la politica tarantina e non solo? E che ha saputo molto abilmente dare alla città di Taranto tante piccole grandi opportunità economiche e appoggi romani (tramite il fedelissimo Boccia) che mai avremmo potuto avere? Che alle ultime due tornate elettorali ha saputo imporre al Partito Democratico, che non è il suo partito perché non può iscriversi ad esso, i nomi dei politici da blindare e portare a Roma, tra cui quel Pagano che è di Bari ed è un suo fedelissimo ma è stato eletto per ben due volte nel collegio di Taranto?
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Viene da chiedersi come sia possibile che oggi si sia formato un fronte di questo tipo. Senza dimenticare, ovviamente, il Movimento 5 Stelle. Che trova sempre il modo di infilarsi dappertutto e di affermare e sostenere tutto e il contrario di tutto. Che nel 2018 stravinse le elezioni politiche conquistando tutti i collegi pugliesi (anche a Taranto, ovviamente, con moltissimi elettori di sinistra ed operai Ilva che votarono il Movimento), con la promessa di chiudere a Taranto le fonti inquinanti. Con l’allora ex ministro allo Sviluppo economico, l’indimenticabile Luigi Di Maio, che nell’estate di quello stesso anno sostenne come la gara internazionale che aveva vinto ArcelorMittal fosse irregolare e per questo si rivolse all’Avvocatura di Stato e all’ANAC, che però gli dissero chiaro e tondo che si sbagliava non poco. Cosa che lo costrinse a firmare l’accordo del 6 settembre 2018. Quello stesso Movimento che poi, dopo aver governato con la Lega di Salvini, pur di non lasciare quel potere tanto vituperato e criticato per anni, si alleò con la parte politica a parole sempre odiata, il Partito Democratico. Con il quale pensò bene, nell’autunno 2019, di far decadere l’esimente penale fornendo ad ArcelorMittal uno dei tanti assist che portarono la multinazionale a chiedere il recesso del contratto d’affitto. L’ex premier Giuseppe Conte e l’allora ministro allo Sviluppo economico Patuanelli promisero di imbastire la causa legale del secolo: sappiamo tutti com’è finita, con l’accordo del dicembre 2020, con lo Stato costretto a rimangiarsi le minacce e ad entrare come socio per evitare un risarcimento danni miliardario. I danni di quelle scelte li stiamo pagando ancora oggi e sono sotto gli occhi di tutti. Movimento che qui a Taranto ha nel senatore Mario Turco, braccio destro di Conte, uno dei suoi massimi esponenti. Che ha avuto anche la gestione del CIS Taranto per un anno, molto vicino all’indotto ex Ilva nel suo lavoro di commercialista, molto vicino al sindaco Usb come diversi elementi del Movimento 5 Stelle tarantino. E che sull’Ilva, come tutti gli altri citati prima (e non solo loro) ne spara almeno una al giorno.
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Eppure, tutto questo una logica ce l’ha eccome. Perché il ritorno dello Stato, permetterebbe a tutti di tornare a recitare un ruolo di primo piano nella gestione attuale e futura del siderurgico. Non è un segreto ad esempio, che i partiti politici di cui sopra, da tempo mirino alla possibilità di ottenere un posto nel cda di Acciaierie d’Italia. O che mirassero a ruoli di primo piano dentro Invitalia. Allora sì che aprire una crociata senza quartiere contro il socio privato per far tornare il controllo della fabbrica al socio pubblico ha più di un motivo. Ma anche qualora tutto questo dovesse avvenire, ma non accadrà, non risolve il problema di fondo: ovvero come gestire e trasformare la grande fabbrica nei prossimi anni. Semplicemente perché non sanno assolutamente come farlo. Perchè straparlano senza avere alcuna competenza sull’argomento. Perché hanno contribuito negli anni a far sì che tutta questa vicenda venisse talmente tanto ingarbugliata da arrivare a non sapere più dove sia la verità. Anche e soprattutto grazie ad una stampa locale e nazionale del tutto inesistente se non connivente, per i soliti tornaconti personali, con queste posizioni al di fuori dalla realtà.
Abbiamo volutamente tenuto fuori da questo articolo tutte le altre falsità che i nostri eroi, insieme al variegato movimento ambientalista locale sul quale preferiamo stendere l’ennesimo velo, raccontano sulla situazione ambientale e sanitaria di Taranto e sulla vicenda legata all’esimente penale (di cui comunque abbiamo già riferito in altri articoli). Torneremo ad occuparcene. Nella speranza che prima o poi tutta questa pantomima indecente conosca una fine. Cosa di cui, purtroppo, dubitiamo alquanto. Auguri.
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