Alla ricerca del forum perduto

Alberto Radius chi???

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view post Posted on 30/5/2011, 09:54
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RadiusAlberto-America





“Alberto Radius chi???”.

Era così che mi sentivo apostrofare dagli amici
quando si parlava della musica che ascoltavamo
e ognuno proponeva orgogliosamente l’idolo del momento.
Eppure per me Alberto Radius era stata una folgorazione.
Avrò avuto quindic’anni ed ero già un perfetto tiratardi.
Il mio motto era: “Se hai qualcosa di meglio da fare
al sonno puoi tranquillamente rinunciare
”.
Le mie nottate si dipanavano così.
Fagocitamento di un libro di Salgari
(ne leggevo quasi uno a notte perché mi prendevano
a tal punto che non riuscivo a non arrivare alla fine),
outing letterario con aggiornamento
del mio diario e composizione di almeno una poesia
(se non ne componevo una al giorno mi sentivo depresso e inespresso)
e infine mano attaccata alla manopola della mia Grundig
fino a quando il sonno non mi prendeva per sfinimento.
Erano gli anni delle radio libere, nessuna pubblicità e nessun parlato,
solo tanta buona musica da ascoltare in santa pace.
Fu una di quelle notti che sentii queste note:
...Paaaaaatricia sogna il Messico e sta qui...
...Paaaaaatricia fa l’amore e vende gin...

Per tutta la durata della canzone rimasi estatico,
come trasportato in una dimensione magica, immaginifica e sensuale.
L’attacco di batteria all’inizio e poi verso la fine
quei bellissimi accordi con la chitarra elettrica.
Nei giorni successivi entrai in possesso del vinile
“America Goodbye” da cui era tratto il brano “Patricia”.
Venni a sapere che Alberto Radius aveva fatto parte
della “Formula 3” gruppo storico di Lucio Battisti
e che nell’ambiente era considerato (a giusta ragione)
un virtuoso della chitarra.
Manco a dirlo man mano acquistai tutto ciò
che c’era di suo e tutto ciò che uscì negli anni.
Oggi Alberto Radius è uno stimato produttore discografico
e per radio non lo mandano quasi più.
Ma quando capita ripenso ai sogni ancora intatti
di un timido quindicenne e mi viene un groppo alla gola.

Edited by bergotte - 27/2/2022, 12:51
 
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view post Posted on 17/11/2012, 12:09
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la serpe in seno al forumismo

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Alberto Radius

L'araba fenice del rock italiano


intervista di Marco Bercella

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Alberto Radius e la musica. Meglio, Alberto è la musica, se per questa intendiamo la perfetta dedizione, il nutrimento da cui non si può prescindere. Perché Radius è il devoto della sua musa per eccellenza, al punto da farne un hobby lavoro - come egli stesso la definisce - il nucleo portante di una vita. Una missione ludica all'insegna del talento e di una professionalità che lo ha visto pattinare disinvolto fra le pieghe del rock italiano dalle origini fino ai giorni nostri. E non per modo di dire. La febbre per il rock'n roll fece sbarcare anche da noi le chitarre elettriche ma lui se ne trovava già una fra le mani. E dopo, a cominciare dalla seconda metà degli anni 60, diventa pressoché impossibile seguirne tutti i percorsi e le presenze. Lo ritroviamo, come un'araba fenice, in tutte le stagioni della musica italiana. Da membro de "I Quelli", dal cui nucleo nascerà la Pfm, a braccio chitarristicamente armato di Lucio Battisti con la Formula 3, da sessionman extralusso con Adriano Celentano a trasgressivo cantautore solista. Da produttore esecutivo dell'era popolare del cinghiale bianco di Franco Battiato (negli Studi Radius nascono, fra gli altri, "La Voce Del Padrone" ed "Energie" di Giuni Russo), a produttore d'avanguardia tout court (Faust'o, Underground Life), fino al chiacchierato autore sanremese per conto terzi dell'ultima stagione (molti ricorderanno il clamore attorno al brano che determinò la squalifica della Berté nella kermesse canora dello scorso anno).
Ancorché consapevole del fatto che "parlare di musica è come ballare di architettura" (cit. Frank Zappa), in un tiepido giovedì mattina milanese mi reco in compagnia dell'amico-redattore di OndaRock Davide Sechi nei celebrati studi del Maestro, come viene legittimamente appellato dai suoi collaboratori. Così, grazie a questo ulteriore contributo dialettico, quella che doveva essere un'intervista si trasforma in una chiacchierata a tre, e a finire quasi subito nel cestino è il foglio con le domande che avevo preparato. Ma arrivati in fondo finiamo con lo scoprire che è stato sicuramente meglio così, giacché Alberto paventa un iniziale distacco nei confronti degli aneddoti che ci narra, destinato a svanire man mano che il racconto prende forma, fino a trasformarsi nel suo opposto. Distacco che diventa coinvolgimento totale, inusitata passione di un protagonista assoluto della musica tricolore, come si conviene alla doppia natura di un milanese d'adozione con il sangue del romano doc. Sentite qua.

Alberto, raccontaci dei tuoi esordi...
Ho iniziato a suonare nel 1958, ma è dal 1965 grazie a Radio Luxembourg che ho cominciato ad ascoltare davvero il rock. Era un'emozione incredibile sentire quei segnali radio disturbati sulle onde medie che spesso scambiavamo per degli effetti phasing presenti nelle canzoni. Proprio in quell'anno incontrai un ragazzo inglese, Simon, che è stata un po' la mia pietra miliare sotto l'aspetto chitarristico. Io possedevo già tutto l'occorrente: una Gibson X-plorer del 58 e un amplificatore Fender Super Reverb, ma non c'era verso di farci uscire nulla. Simon invece era già scafato, così mi ha messo a posto l'amplificatore e per la prima volta dalla mia chitarra uscirono dei suoni distorti, tanto che suonando mi chiedevo se davvero fossi io a tirarli fuori. Poi, quasi per caso, avvicinandomi all'amplificatore ho trovato i primi "effetti larsen" della mia vita, e non ti dico l'esaltazione.

E poi, dopo quell'illuminazione, cosa accadde?

Ho cominciato a suonare con i Quelli (combo dalle cui ceneri nacque la Pfm, e da cui sono passati oltre a Di Cioccio, Mussida e Premoli, anche uno spiazzante Teo Teocoli, ndr) e ci sono rimasto per due anni prima che mi buttassero fuori: suonavamo per lo più cover. Trovatomi da solo, ho fondato la Formula 3 e da lì è finita la fase della mia preistoria senza soldi, ed è cominciata quella con i soldi. Perché sempre di preistoria si trattava: avevamo due casse grs da 100 watt che ora non le vorresti neppure nello stereo di casa, una qualsiasi automobile oggi monta un impianto più potente, però almeno siamo riusciti a farci sentire, e così è arrivato Battisti. Vedi, puoi essere anche bravissimo, ma se non hai la possibilità di farti conoscere, non vai da nessuna parte...

Ne hai incontrati molti di musicisti bravissimi che sono rimasti nell'anonimato?

Di gente di grande talento che nessuno conosce è pieno il mondo. Considera inoltre che allora era già difficile emergere, mentre ora è proprio impossibile. Conservo tuttora indirizzi di chitarristi che son venuti a suonare al club l'Altro Mondo all'inizio degli anni 70 ed erano degli autentici mostri. Gente da cui ho imparato moltissimo solo a starli ad ascoltare.
Poi ovviamente c'erano anche quelli famosi, come Rory Gallagher, che fu un bluesman incredibile, oppure ti capitava di ascoltare gruppi come i Chicago che, a distanza di anni, non ti capaciti di come suonassero. Peccato che se fai ascoltare in giro oggi queste cose, ti dicono che è roba vecchia. Ma come roba vecchia, dico io?!

Sono cambiate molte cose, in effetti...

Sì, ma il mercato discografico adesso è davvero fuffa. Solo che ora sta finendo pure quella e non so davvero cosa faranno tra poco. Di certo da diversi anni diventa sempre più difficile far arrivare alla gente la musica di qualità. Però vedi, in questa situazione di crisi ci sono degli aspetti positivi che potrebbero rappresentare un nuovo punto di partenza...
Ovvero?
Ad esempio, la Formula 3 ha ripreso a fare delle tournée con grande successo. Suoniamo i dieci pezzi che ci ha regalato Battisti, oltre agli altri del nostro repertorio arrangiati esattamente come nei nostri concerti del 71. Abbiamo un bello schermo su cui proiettiamo delle fotografie storiche assieme a Lucio. Purtroppo di video non ce ne sono, gli unici appartenevano a un fotografo romano a cui è andato a fuoco il negozio poco prima che me li consegnasse.
Dicevo appunto che oggi, quando suoni dal vivo, la gente riflette e si rende perfettamente conto della differenza che c'è rispetto alla musica che passa in giro. E' con la musica dal vivo che può ancora succedere qualcosa...
Anche perché non si vendono più dischi...
Già, ora partiamo tutti alla pari. Ormai anche dei nomi importanti, tipo Dalla o De Gregori, si vendono solo le compilation. Se leviamo Vasco, la Nannini o Ligabue, tutti gli altri se la devono giocare sul palco, perché la gente comincia ad essere stanca della basi pre registrate...
Beh , anche le basi pre registrate possono avere un loro fascino, non trovi?
E' logico, dipende dal tipo di musica che fai. Per la musica da discoteca non hai alternative. Prendi ad esempio Donna Summer: senza le basi di quel mago che nacque per caso a Ortisei (si riferisce, senza citarlo, a Giorgio Moroder, ndr) non vai da nessuna parte, ovviamente. Per il rock dal vivo è diverso, devi prenderti il tuo spazio, più suoni e più hai la possibilità di esprimerti. L'unico problema è che quando si è in tanti sul palco si rischia di far casino, mentre noi siamo in tre e andiamo benissimo così...

La formula a tre componenti è quella giusta allora...
In tre si sta benissimo, abbiamo trovato l'equilibrio ideale...
Anche senza bassista? Eppure nei tuoi album solisti si possono apprezzare dei bassi meravigliosi...
Sì, ma negli anni 70 era tutto più facile. Andavi in studio e trovavi Tullio De Piscopo alla batteria, Julius Farmer al basso, Sante Palumbo al pianoforte. Musicisti importanti, come sai...
E anche Vince Tempera...
Vince Tempera lo incontrai ai tempi de "Il Volo". Quello fu un progetto molto importante che per diversi motivi non ebbe il successo sperato. Nel 1974 ci eravamo resi conto che qualcosa stava cambiando, così di comune accordo sciogliemmo la Formula 3. Tony Cicco cominciò a fare musica melodica sulla falsariga di quella napoletana (fu anche prodotto da Gianni Buoncompagni), mentre "Il Volo" nacque con grandi ambizioni sotto la produzione di Mogol. Peccato che lui fece davvero poco per lanciarci, e addirittura col secondo album smise anche di scrivere i testi. Ai concerti non veniva nessuno, ebbi anche delle discussioni con lui, era davvero una situazione imbarazzante oltre che forzata. Così mi ricorderò sempre l'ultima serata con la band, era la fine di luglio sul Lago D'Orta: ci guardammo negli occhi senza nemmeno parlarci e il progetto finì in quell'esatto istante. Era il 1976.
E poi?
E poi il giorno dopo era già tutto dimenticato, visto che mi chiamò il batterista de "Il Volo" Dall'Aglio e mi disse: "Alberto preparati che si va a fare la tournée con Celentano". Quello del 77 fu un tour pazzesco, bellissimo, tutto esaurito ai concerti, con dei musicisti incredibili. Mi divertii come un matto, avevamo la nostra base a Viareggio in un hotel sontuoso, ed ebbi anche una grossa pubblicità da parte di Adriano che mi presentava come il chitarrista della Formula 3. Per me fu una grande occasione di rilancio...

Torniamo al discorso sulla crisi del mercato discografico. A parte la musica dal vivo, quali altri sbocchi pensi che ci possano essere?
Può sembrare un paradosso, ma il fatto che non girino più i soldi di un tempo può rappresentare anche un buon punto di partenza. Prendi le radio: una volta incassavano i soldi dalle case discografiche per promuovere i brani, mentre ora devono tornare a puntare sui contenuti per sopravvivere. Sarà un processo molto lento, ma qualcosa si sta muovendo. Ora l'unico veicolo che funziona davvero è il reality televisivo. X Factor potrebbe esser anche una buona idea, peccato che manchino i contenuti artistici. Quest'estate ho partecipato a una loro serata presentata dal simpatico Francesco Facchinetti, e mi sono accorto che il pubblico vuole ascoltare soltanto cover. E sai perché? Le canzoni inedite che vengono scritte per questi nuovi interpreti non valgono nulla. Questo perché sono venute a mancare le figure artistiche dell'industria discografica, mancano degli ingredienti fondamentali per ripartire. Non ci sono più gli editori, che foraggiavano gli autori a scrivere canzoni: ci si dedicava molto tempo, con la giusta tranquillità, e così fra i tanti brani saltava fuori la hit che ripagava degli investimenti fatti.
Ora a capo delle case discografiche ci sono dei generici direttori di marketing...
Appunto. Non ci sono più figure come Alfredo Cerruti, che era il direttore artistico della Cgd. Andavi lì a fargli ascoltare le canzoni e lui ti dava delle indicazioni indispensabili per completare quanto avevi scritto. Ho un sacco di canzoni nel cassetto che potrebbero benissimo essere dei successi come lo furono "Nel Ghetto" e "Che Cosa Sei", però non le posso affidare a gente che finirebbe per sputtanarmi. Mancano i soggetti artistici, ed è drammatico: io la mia carriera l'ho fatta, per cui la cosa mi tocca fino a un certo punto, ma i nuovi artisti non hanno nessuna possibilità di emergere. Un' altra figura che è venuta a mancare nel tempo è il tecnico del suono. E' colui che ti garantisce che un disco funzioni allo stesso modo ovunque lo si ascolti, ed è colui che dal vivo poi determina le sorti di un concerto. Hai voglia a suonare come un pazzo se poi non esce nulla! Per fortuna che ancora oggi lavora con me Piero Bravin, che è il migliore in circolazione, ma adesso è morta anche la manodopera specializzata.

Hai altri progetti oltre a quello assieme alla Formula 3?

Ho messo in piedi un gruppo con un chitarrista di Modena, Paolo Schianchi, poi c'è Johnny Pozzi alle tastiere e Luca Visigalli al basso. Abbiamo fatto un concerto a Parma, ma la cosa sta avendo un seguito perché Paolo è un chitarrista unico, quando suona lui pare di sentire un'orchestra.

Torniamo a parlare della tua carriera. Hai suonato con Battisti, con Celentano, con Battiato: quale fra questi mostri sacri ti è rimasto maggiormente impresso?
Se ti devo dire la verità a me, artisticamente parlando, non è mai importato nulla di nessuno fra questi.
Ma come?
Io ho sempre avuto la cultura del "volemose bene" basta che non mi rompi i cosiddetti. E invece spesso succedeva. Prendi ad esempio Battiato: ci ho impiegato due giorni per fargli digerire l'intro di "Cuccurucucu", e in casi come quello mi sono sempre chiesto che senso avesse avvalersi di un chitarrista senza dargli la giusta libertà creativa. L'unico che mi lasciava andare a briglia sciolta era Gianluca Grignani, con cui ho registrato un intero album. Lui mi diceva: "Io ora vado via, tu fai pure le chitarre". E' questo il mio metodo ideale di lavoro!
Però mi risulta che Battisti lasciasse molto spazio alla Formula 3, o no?
Può darsi, ma io non me lo ricordo. Non ricordo una fase importante, preferisco ricordare qualcosa che dovrà venire: il futuro è molto più importante di quello che è stato. Salire su un palco domani è la cosa ricordo, sul passato non mi ci soffermo.
Ma solo dal punto di vista artistico, oppure...
Naturalmente sto parlando degli aspetti artistici, perché ad esempio Franco Battiato come persona sta due spanne sopra ai comuni mortali. Ti voglio raccontare un aneddoto. Trent'anni fa stavo per sposarmi con la mia prima moglie e non mi bastavano i soldi per la casa. Quando lo seppe, Franco quasi mi rimproverò: "Ma come, hai bisogno di una mano e non mi dici nulla?". Tirò fuori un assegno e scrisse la cifra mancante. Ecco vedi, ancora oggi quando telefonano queste persone io mi metto sull'attenti. Ma non è per riconoscenza, ma solo perché mi ricordo che tipo di persona ho di fronte. Di tutto il resto mi interessa poco, ma quando un musicista è anche un uomo così, allora sono felice che abbia successo. Ho solo un rimpianto con Franco (e qui Alberto, con una frase "emotiva", sembra in parte smentire quanto ha detto sopra, ndr), ossia non aver registrato con lui "La Cura", per poter dire la mia in quella canzone. In realtà c'era ben poco da dire, nel senso che sotto ci sono pochi strumenti, però quel pezzo avrei voluto suonarlo anch'io, perché è davvero straordinario.

E della tua attività di produttore che mi dici?
Ti dico che alla fine ho prodotto trecentocinquanta album e qui in studio ho ancora tutti i "dat"...
Non ti ricordi nulla nemmeno di quelli? Ad esempio degli Underground Life, un gruppo di culto della new wave italiana...
Guarda, forse mi sono spiegato male. Io in realtà mi ricordo tutto, però non mi si accappona la pelle a ripensarci, ecco! Gli Underground Life erano una bomba, l'unico loro demerito è stato quello di non attaccarsi al carro giusto...
Stiamo parlando di un gruppo la cui prima registrazione del 1980 venne messa in vetrina nel negozio Rough Trade di Londra...
E' successo anche quando ho prodotto il loro disco nel 1987. A Londra quelli della casa discografica Red Bus erano entusiasti di loro, ad esempio. E in effetti avevano delle idee davvero assurde, erano originali e creativi, anche se poi tecnicamente era difficilissimo farli cantare come si deve, così in studio rifacevamo tutto decine di volte, dal momento che non avevamo certo a disposizione le tecnologie di adesso.

Ora invece dobbiamo fare i conti con il problema opposto, ovvero un'omologazione davvero imbarazzante...
E' vero. Con le tecniche di studio ora si riesce a sistemare ogni cosa, e non sempre è un bene. Mi ricordo quando eravamo in studio con Lucio Battisti, che era un cantante straordinario, lui non correggeva quasi nulla, persino quando c'erano delle piccole stonature, perché preferiva non perdere il pathos dell'interpretazione...
...una cosa per certi versi molto black, questa...
Esattamente. Anche se poi lui era lo stesso che mi rimproverava perché suonavo troppo forte. Ma che ci potevo fare? La strumentazione a quel tempo era quella che era, così una cosa o la facevi in un modo, oppure non la facevi affatto. (e qui Alberto si diverte, facendo il verso a un celeberrimo attacco a mo' di esempio: "Non sarà... tan tan... un'avventura...!", ndr)

Ora, se sei d'accordo, vorrei parlare del mio Radius preferito, quello solista della seconda metà degli anni 70...Quando uscì il tuo singolo "Nel Ghetto" ero un ragazzino, eppure fece molto scalpore, oltre che diventare un grande successo. Nell'Italia iper-ideologizzata del ‘77 c'era chi ti tacciava di essere di destra, così come accadeva a Battisti e alla Numero Uno, tanto che mi vien da pensare che quella canzone fu una reazione da parte tua a una situazione difficile che si era venuta a creare. Che mi dici al riguardo? Ti sei sentito un artista messo all'indice?
Quando si cavalca la tigre non si sa dove si andrà a parare. Questo per dire che non vi fu alcuna premeditazione, e in quel periodo c'era una grande voglia di rischiare e di andare oltre. Come nel caso di "Suicidio" di Faust'O...

...Faust'O fu un'altra tua bellissima produzione per uno dei talenti nascosti della musica italiana...
Sì, ma mica era facile lavorarci assieme! Non appena gli si proponeva una tastiera, o un arrangiamento, lui lo scartava perché "troppo commerciale", e poi si metteva a cantare robe tipo "La mia lingua sul tampax..." (Alberto si mette a scandire pure il motivo, ndr). E non si può, dai: un conto è l'essere incazzati, però quello è troppo. E comunque Fausto (Fausto Rossi, ndr) l'ho rivisto a luglio, è venuto qui con il suo nuovo disco.

...torniamo ai tuoi anni 70 da solista...
Sì, "Nel Ghetto" fu una canzone che molti dicevano che fosse di destra, altri di sinistra, e invece era un semplicemente un testo di Oscar Avogadro che ci piaceva così. Anzi, stava lì a dire "lasciatemi nel ghetto, non rompetemi i c... con la sinistra e robe così!". Non ci sono dei motivi particolari, anche perché in quel periodo ho scritto anche molti pezzi soft...

A proposito di cose molto chiacchierate che ti riguardano, mi racconti come andò lo scorso anno con il brano "Musica e Parole" interpretato da Loredana Berté, che fu squalificato da Sanremo in quanto già edito (uscì vent'anni prima, con testi differenti, su un disco di Ornella Ventura con il titolo "L'ultimo Segreto", sempre a firma Radius-Avogadro, ndr)?
In effetti è successo un bel casino. La verità è molto semplice: non mi ricordavo di avere inciso quel pezzo. Sono andato a trovare Loredana in un albergo qui a Milano, avevo portato con me un brano da proporle, ma lei mi disse di averne già scelto uno mio vecchio che le era rimasto nel cassetto: c'era solo da scrivere i testi. Mi ha fatto sentire il mio vecchio provino, le ho detto subito che non lo ricordavo nemmeno più, ma che era davvero forte per Sanremo. Così ci siamo rivisti qui in sala d'incisione, c'era pure Oscar Avogadro e neppure lui si ricordava di averci scritto un testo. Guarda, mi son beccato un sacco di vaff... per questa storia, eppure a nessuno è venuto in mente che io di canzoni ne ho scritte a centinaia fra edite e inedite, e non posso davvero ricordarmele tutte.

So che, da grande estimatore di Jimi Hendrix, possedevi il pedale del suo tour italiano del 1968...
Guarda è proprio quello, ce l'ho ancora ed è lì di fianco a te. Adesso ti faccio vedere una cosa: gira il pedale e guarda cosa c'è scritto dietro sull'etichetta. Lo vedi? C'è un conto di una spesa scritto a penna, e poi in fondo la frase "Scusa er guanto" ricavata con la scritta (made in) Usa. Beh, solo chi lo frequentava sa bene che quella era un'esclamazione tipica di Battisti, tanto che non perdeva occasione per scriverla ogni volta che se ne presentava l'opportunità (spesso abbreviava con "s.e.g."). E pensare che me ne sono accorto dopo parecchi anni. In realtà, quindi, questo è un doppio cimelio: un pedale wah wah appartenuto a Jimi Hendrix, con dietro degli appunti autografi di Lucio Battisti.

Visto che siamo entrati in tema chitarristi, quali sono quelli che ti hanno davvero colpito?
Direi proprio Jimi Hendrix. Prima di lui non c'era nulla, o meglio c'erano Les Paul, Hank Marvin, e altri senz'altro molto bravi, però Jimi ha inventato un modo tale di suonare la chitarra, che in seguito nulla è stato più uguale a prima. Un po' come quando, nel 1972, uscì "Popcorn" degli Hot Butter (in realtà il brano uscì nella sua prima versione nel 1969 ad opera di Gershon Kingsley, ndr). Quando ho sentito quel brano ho pensato: "Cavoli, questi ci hanno fregato". Ancora oggi, quando senti quei suoni capisci che hanno bastonato tutti con un motivetto che si è proiettato fuori dal tempo. Ecco, anche Hendrix era davvero fuori dal suo tempo...
Poi però di chitarristi bravi dopo di lui ce ne sono stati altri, che hanno cambiato il suono dello strumento...
Sì, però alla fine parte tutto da lì...(e qui Alberto si mette a canticchiare il motivetto di "Popcorn", ndr). Ti faccio un altro esempio che ti sembrerà strano: il celebre stacchetto di tre secondi di Canale 5 , hai presente?
Certo, è di Augusto Martelli...
Esatto. Martelli ha inventato lo stacchetto televisivo che prima non esisteva. Lui ha scritto anche la sigla di "Gran Prix": anche qui, se uno deve andare a scuola per imparare come si compone un pezzo per una trasmissione sportiva, deve partire per forza da lì, perché quello è l'abc. E allora tu mi chiedi dei chitarristi: ma di chitarristi in gamba ce ne sono tanti. L'altro giorno ascoltavo Gary Moore: ammazza quanto è bravo! Però è il risultato di una miscela di altri modi di suonare. Di musicisti forti è pieno il mondo, ma nella musica solo chi scaglia la prima pietra ha vinto.
Vieni da una leva di chitarristi italiani per molti versi irripetibile e senz'altro all'altezza di quella anglosassone. Quali tra i vari mostri sacri consideri come vero fuoriclasse nell'uso del tuo strumento?
Tutti molto bravi, per carità. Però prendi ad esempio Franco Mussida. Bravissimo ragazzo, ottimo chitarrista, però a me la musica della Pfm ha sempre detto poco: erano i King Crimson nostrani. Hanno cominciato con le loro cover e si sono poi accaparrati il genere come se fosse una loro invenzione. Hanno ancora un grande seguito, pure meritato ci mancherebbe, ma non è quello il punto: la questione è la poca originalità. Però abbiamo avuto dei grandi turnisti, ad esempio Giorgio Cocilovo che forse ti dirà poco, ma è un grande chitarrista ed è stato anche nell'orchestra di Sanremo. Poi c'è Ricky Portera, bravissimo, ma per cui vale il discorso che ho fatto per Mussida coi King Crimson: ha uno stile troppo simile a Van Halen. Ed ora abbiamo il giovane Luca Colombo, che fa parte dell'orchestra di Sanremo ed è il numero uno dei chitarristi italiani...
E infine abbiamo Alberto Radius che, piaccia no, lo riconosci anche prima di leggere i credit di un disco in cui ha suonato...
Il segreto è molto semplice. Prima ti devi costruire un suono, e questa è la cosa più difficile, ma soprattutto non devi ascoltare dischi degli altri. Se tu senti i dischi altrui, finisci con l'assorbire tutto come una spugna, e poi imiti senza nemmeno accorgertene. Vietato ascoltare musica, a meno che non si tratti dei classici di grandi musicisti americani, quelli che potremmo definire degli standard di genere jazz e blues. Uso da sempre questo approccio, tanto che i miei assoli non li trascrivo nemmeno, perché sennò finisci con l'adagiarti sugli accordi, finendo col suonare sempre la stessa cosa. Tanto poi, come disse giustamente Pino Daniele, se un'idea è davvero forte, ti ritorna indietro da sola.


www.ondarock.it



Edited by bergotte - 27/2/2022, 12:52
 
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view post Posted on 18/11/2012, 18:10
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la serpe in seno al forumismo

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Eccolo oggi Radius, dal vivo, a cantare "Che cosa sei", una delle sue grandi canzoni... :clap.gif: :thumb_yello.gif:


 
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Gilberte
view post Posted on 18/11/2012, 18:11




( e assai bruttino eh? ) :D
 
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view post Posted on 18/11/2012, 18:13
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la serpe in seno al forumismo

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:cry:
Ma è bello quando suona la chitarra. -_- :P
 
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Gilberte
view post Posted on 18/11/2012, 18:17




...grande questa esecuzione! :wub:
 
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view post Posted on 18/11/2012, 18:30
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Hai visto che è bello? :D
 
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Gilberte
view post Posted on 23/11/2012, 21:52




sto ascoltando ora questa...cavoli che bella! :wub:



e questa cos'è.. mmmm



però lui bruttino resta assai eh :D
 
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view post Posted on 24/11/2012, 08:50
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CITAZIONE (Gilberte @ 23/11/2012, 21:52) 
però lui bruttino resta assai eh :D

 
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view post Posted on 6/3/2016, 11:02
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Nel ghetto

s-l400

Gli anni Settanta mordono. Da “gambizzare” a “riconversione”, nascono parole nuove.
E mentre chiude «Carosello», Alberto Radius canta la rabbia di tutti


1977 I Settanta mordono forte. Roma, 14 e 15 gennaio. Il Partito comunista italiano chiama a raccolta gli intellettuali al teatro Eliseo: in primo piano è il progetto di rinnovamento del Paese, ma in quinta è l’avvicinamento progressivo del Pci all’area di governo. A ripensarci bene, la politica parlamentare all’inizio dei Settanta proponeva proprio questo: un confuire verso il centro da sinistra e da destra. La politica era come un grande incrocio nel quale, da destra si chiedeva ai giovani di indossare il doppiopetto metafora evidente di un tentativo di imborghesimento sdoganatore e da sinistra si parlava di comunismo alla occidentale, rispettoso delle alleanze, prima fra tutti l’Alleanza Atlantica. Questo sciamare al centro quasi per caso e con la faccia indifferente crea periferie insoddisfatte, pronte a scendere in piazza per mordere tutto. Oggi lo si racconta. Ma ieri, in quel 1977, lo si viveva. Male. Roma, 2 febbraio. Giovani autonomi della sinistra extraparlamentare assaltano la sede del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano: si mettono da parte sia le buone intenzioni atlantiche sia quelle in doppiopetto. Gli incidenti di Roma sono il tappetino di ingresso sulla soglia del 1977.

INDIANI METROPOLITANI. Da quel momento non mancherà nulla: nelle università, per le strade, nelle piazze saranno scontri fra le periferie politiche extra moenia, fuori dalle mura del Parlamento. Le periferie extraparlamentari. Nascono neologismi come “gambizzare”, cioè sparare alle gambe. E così si “gambizzano” Indro Montanelli, Emilio Rossi, direttore del Tg1, e dirigenti politici vari dalla Democrazia cristiana al Partito comunista passando per Comunione e liberazione. È l’anno della morte di Giorgiana Masi, diciannove anni, studentessa, colpevole di essere scesa in piazza il 12 maggio per ricordare festeggiando l’anniversario della vittoria del referendum sul divorzio di tre anni prima. È l’anno in cui si parla di “riconversione”: un eufemismo, il solito, per giustificare tagli sui posti di lavoro. Quel morso dei Settanta stringe ovunque e non risparmia nessuno. Il 17 febbraio gli “indiani metropolitani”, periferia estrema e autonoma della sinistra, ribalteranno sia lo slogan “arrivano i nostri”, sia il camion sul quale Luciano Lama tentava un comizio sindacale. Lama, segretario storico della Cgil, aggredito da sinistra sul piazzale dell’Università di Roma. È tensione periferica forte con la voglia di sfasciare o colorare tutto. Ovviamente la parte colorata era da preferirsi: nascono allora graffiti, murales, dipinti di arte metropolitana. E la televisione di Stato pare adeguarsi: da febbraio la Rai può trasmettere programmi a colori. Dopo l’età del bronzo e l’età del ferro, finisce così anche l’età del bianco e nero. Non a caso, in quei giorni chiude Carosello: una vera rivoluzione culturale. Con la fine di Carosello termina anche la ritualità di spedire a letto i bambini subito dopo. Da quel momento, si sposta in avanti il confne tra sonno e veglia infantile e la periferia della veglia si estenderà a tutti i programmi televisivi, sempre più in onda a occupare anche le notti. 1977, tra morsi e creatività. Morde Alberto Radius, chitarrista di rock progressivo, già Formula 3. E – come sempre – l’arte della musica riflette la società. Scrive Nel ghetto: ed è un simbolo efficace dell’anno e del periodo. Parola di Radius: «Manca l’aria / manca un grido / manca un dio / sulla strada solo io / la miseria / dei cervelli del fair play / mi vorrebbe come lei». Come inizio non c’è male: è esattamente come ci si sentiva vivendo e subendo i morsi dei Settanta. Poi, a caduta, il grido forte urlato contro tutto e contro tutti: «Io non ho cultura / ma non voglio stare male / che si arrangi / chi ha paura del caviale / e bruciare tutto / non è sempre così brutto / come leggi il giorno dopo sul giornale». Era la forza inespressa della periferia politica, raddoppiata in: «Io non ho un partito / non mi basta il sindacato / un lavoro non me l’hanno mai trovato / la riconversione / non mi sembra una ragione / per confondere / lo schiavo col padrone». La canzone diventa un inno per i giovani arrabbiati e non solo. Chiudendo di schianto, nell’unica maniera possibile, con il rifiuto del tutto per non riuscire a eliminarne il nulla: «E no io non ci sto / e no io non ci sto / lasciatemi nel / ghetto / ancora un po’».

www.corriere.it





Edited by bergotte - 27/2/2022, 12:54
 
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Stefanik.an
view post Posted on 15/9/2017, 19:09




Che bello...sto buttando giu in versione acustica alcuni dei brani piu belli di Alberto e cercando idee mi sn imbattuto in questo vecchio forum...Patricia...stesso effetto...atmosfera magica...una notte nello studio della radio privata x cui lavoravo...anni magici...vero...e un grande Radius che osava...osava...tutta con accordi minori...e quel sibm sulla Paaaaatricia...mi è rimasto x sempre dentro...buona vita ragazzi...
 
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view post Posted on 17/9/2017, 07:44
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Ciao Stefanik.an! :rolleyes:
Grazie per aver scritto qualcosa su Radius.
E' bello scoprire che da qualche parte qualcuno ha condiviso le tue stesse emozioni. :mipiace:
Alla prossima! :D
 
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view post Posted on 27/2/2022, 12:34
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Alberto Radius: «Con Lucio Battisti a 250 all’ora in fuga dai paparazzi»

Il pop di ieri e di oggi raccontati da un grande chitarrista:
la casa comprata con l'aiuto di Battiato, il pedale di Hendrix,
i Måneskin che «rubano bene», Jovanotti «stonato come una campana»,
il pezzo «bruttino» di Lauro, il vincitore di 'Amici' che fa il rider


di Gianmarco Aimi

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È stato definito la memoria storica del rock italiano, solo che a lui del passato non è mai importato granché. Sarà per questo che alla soglia degli 80 anni (li festeggerà il 1° giugno) ragiona ancora come un ragazzino: «Non so come mai, però dopo un po’ che suono in una band gli altri si adagiano». E parla di gente che, come minimo, ha 40 anni in meno. Siamo a San Colombano al Lambro, nella sua casa tra verdi colline e strade in terra battuta nel lodigiano, e da qui Milano è vicina il giusto per essere raggiunta quando serve e lontana abbastanza per mitigare tutti i problemi di una metropoli. Dall’altra parte del tavolo, in un bel soggiorno luminoso, c’è Alberto Radius, un chitarrista che ha lasciato il segno nei migliori album di Lucio Battisti e Franco Battiato. E che nello studio milanese da lui fondato ha prodotto circa 350 dischi. Senza dimenticare l’attività con la Formula 3, altre decine di band prima, dopo e durante, visto che è ancora in pista con diversi live programmati nelle prossime settimane. Con lui abbiamo parlato di tutto, ma proprio tutto, per ripercorrere una carriera irripetibile.

Nasci a Roma, ma cresci a Milano. Questioni familiari?
Sì, la mia famiglia era originaria di Milano, solo che mio padre dopo aver lavorato all’Alfa Romeo è stato chiamato in aviazione e ha continuato con la carriera militare fino a diventare un generale stellato. Ma era un truffatore come me…

In che senso?
Che siamo arrampicatori della vita. Ci sappiamo arrangiare. Non alla napoletana, alla milanese. Quelli rubano, noi abbiamo soltanto voglia di fare. Io ce l’ho ancora.

Ti sei fermato durante la pandemia?
Non mi lamento, in questi due anni ho lavoricchiato. Suonavo con un trio insieme a due ragazzi genovesi e dopo un po’ li ho mollati perché si erano adagiati. Adesso ho trovato un altro trio e con loro sono 3-4 anni che stiamo insieme. Però già si stanno adagiando anche loro. Ho risentito una registrazione degli inizi ed era molto più bella. Non capisco perché dopo un po’ tutti si adagiano.

È vero che, dopo quello di Milano, hai chiuso anche il tuo studio qui a San Colombano?
Era un piccolo studio, ma ormai non c’è più lavoro in quel settore. E comunque sono stato chiuso 40 anni in cantina a produrre dischi, circa 350, mi sembra di aver fatto abbastanza.

Immagino sia difficile ricordarseli tutti.
Ogni tanto scopro qualcosa grazie al web. Non sono tecnologico, mio figlio mi ha spiegato qualcosa. Ma ho cercato “tutti i dischi di Alberto Radius” e mi è uscita una lista infinita. Ho anche trovato due pezzi bellissimi di 50 anni fa e adesso li voglio reincidere perché non si capiscono bene le parole.

A giugno compirai 80 anni.
Per adesso sono contento di aver passato tutte le malattie. Per fortuna non ho mai fumato neanche una sigaretta quando era normale farlo. Così come le droghe, che nel nostro ambiente circolavano in quantità. Gli altri sapevano che non usavo e non toccavano il cane… sennò li mordevo. Mi hanno operato al cuore, alla vescica, ultimamente a un polmone per un tumore, mi sono già rotto le gambe, il polso sinistro proprio qui in salotto quando sono scivolato sul tappeto. Pensa che avevo una serata in Sicilia due giorni dopo.

E come hai fatto?
Ho suonato lo stesso con un tutore. Facevo qualche nota, quando mi si addormentava la mano andavano avanti gli altri e poi ricominciavo. Se non mi diverto sto a casa, se mi diverto suono anche gratis.

Con la trap si è tornati a parlare delle periferie, del “ghetto”, dell’assenza della politica, della mancanza di lavoro.
E noi ne parlavamo già 50 anni fa. Venivo dalla collaborazione con Mogol, ma lui parlava sempre della sua vita nei testi e non mi appassionava. Quando ho incontrato Oscar Avogadro è stata la svolta. Gli artisti di oggi parlano del nulla.

Quali sono stati gli incontri più importanti della tua vita a livello artistico?
Da quando nel ‘78 ho aperto lo studio in via Capolago a Milano, che era il più attrezzato d’Italia, sicuramente quello con Battiato. Avevo speso tutto facendo anche dei debiti, ma c’erano un banco, dei riverberi e degli echi che non aveva nessuno grazie al Lexicon 224. Ora trovi tutto nei programmi sul computer. Mi sono avviato su quella strada dopo aver sentito nel ‘77 il batterista dei Genesis che suonava direttamente sull’eco.

È vero che hai faticato due giorni per far accettare a Battiato la tua intro di Cuccurucucu?
Effettivamente… diciamo che facevo tremila cose e poi lui sceglieva. Quello è andato bene, no? Non c’era niente di simile prima. Franco, come Lucio, faceva solo gli accordi. Entrambi, ti spiegavano come avevano pensato il pezzo a grandi linee, ma senza dirti altro.

Hai raccontato anche che Battiato un giorno ti ha persino aiutato a comprare casa.
Battiato è un essere speciale. Per il lavoro su L’era del cinghiale bianco, su Patriots e su La voce del padrone mi ero dedicato totalmente a lui. Anche se mi facevano altre richieste gli davo sempre la priorità. Si sentiva che era qualcosa di importante. In America avevo comprato una batteria elettronica Roland TR-808 che in Italia non c’era ancora e avevamo realizzato con quella La voce del padrone. Era difficilissima da usare, bisognava schiacciare tutto con le dita, infatti eravamo in dieci concentrati per stare a tempo. Ma alla EMI non hanno accettato la batteria elettrica, così siamo stati costretti a tornare alla batteria vera.

E quindi, avete rifatto tutto?
Ho chiamato Alfredo Golino, che aveva tre marce più degli altri, e in un giorno e mezzo ha risuonato i brani. Si era segnato due-tre cose e, buona la prima, ha finito in tempi record. Ti dico un trucco che allora rendeva i dischi più belli. Nella strofa c’era un tempo, nell’inciso quel tempo era un pelo più veloce, questo gli dava del gas. Adesso il tempo è tutto uguale, quindi aggiungono roba in produzione ma che non riesce a dare uno sprint, anzi, contribuisce solo ad appesantire. Non è stata l’unica volta che abbiamo dovuto rifare tutto.

Quando è successo?
Per L’era del cinghiale bianco Battiato aveva già registrato il disco in un altro studio, ma non era soddisfatto. Allora è venuto da me e lo abbiamo risuonato daccapo. Quella volta alla batteria c’era Tullio De Piscopo. Ho sempre fatto il raccoglitore di idee e di elementi. Dipende da chi è più utile in base al progetto. Ho fatto anche l’introduzione per Nel sole di Al Bano…

Tanto per non farti mancare nulla…
Era il ’67 se non ricordo male. Mi disse: «Radius cosa vuoi fare?». Ho risposto suonando: du den du den… pem … e mi si è rotta la corda. Anche perché ne usavo di talmente sottili che non esistevano in commercio. Per il Mi cantino usavo la corda del banjo, solo che non aveva il fermo. Allora dovevo rompere un’altra corda di chitarra, unirla a quella del banjo e arrivava appena per essere fissata. Era un accrocchio e ogni tanto si rompeva, però come suonava ragazzi!

Ci siamo persi sul gesto di generosità di Battiato che ti ha permesso di comprare casa.
Ah giusto. Avevo deciso di comprarne una vicino allo studio e costava 250 milioni di lire. Me ne mancavano 50. Dovevo prendere un sacco di soldi dalla casa discografica e da altri lavori, però tardavano ad arrivare. Un giorno si presenta in studio Battiato e mi dice: «Ho sentito che ti mancano 50 milioni per comprare casa». «Sì, ma tu che c’entri?», gli ho risposto. Lui tira fuori il libretto degli assegni, scrive la cifra mancante, e me lo lascia sul tavolo: «Hai fatto tanto per me». Che bel momento!

Cinquanta milioni di lire non erano pochi neanche allora, no?
Come 200 mila euro di oggi, come minimo. Però aveva capito che mi ero dedicato completamente a lui.

L’ultima volta che vi siete sentiti?
Un anno prima che morisse. Io ho tutti i nastri di quelli che hanno lavorato con me in un garage strapieno. Adesso alcuni li sto rigenerando per metterli su chiavetta e un giorno ne salta fuori uno con scritto: “Battiato Japan”. Mah, non mi ricordavo neanche cosa fosse. Così lo chiamo per chiedergli cosa farne e lui mi dice: «Non me ne frega niente, fai come vuoi». Era il suo atteggiamento verso quello che era passato.

In salotto fa capolino il gatto che cattura l’attenzione di entrambi. Gli chiedo quale sia il nome e, dopo un attimo di perplessità, risponde: «Si chiama Gatto… Io al massimo lo chiamo Gattus. Il gatto di Radius…».

Prima di Battiato è stato fortissimo il tuo legame con Lucio Battisti…
Con Lucio eravamo amicissimi. Ricordo ancora quando con Mi ritorni in mente dovevamo fare un rallentamento che dava profondità al pezzo e, dopo aver provato con dei fiati italiani, non eravamo soddisfatti. Allora ho chiamato i Chriss & The Stroke, che erano mezzi italiani e mezzi stranieri. Ci abbiamo messo un pomeriggio, ma alla fine è uscito tutto come volevamo.

Con la chitarra com’era?
Ma chi, Lucio? La chitarra la suonicchiava appena… Aveva l’idea della chitarra. Come l’introduzione di Eppur mi son scordato di te è proprio mia quella. Lui mimava i suoni e io lo seguivo. Non al primo, ma al terzo colpo usciva l’idea giusta.

Ho letto che non hai apprezzato il blocco delle canzoni di Battisti da parte della moglie.
Ho lavorato con Lucio quando era fidanzato con Grazia Letizia Veronese. Sono stati un mese a casa mia quando lei era incinta. Allora la chiusura al pubblico era giusta, la condividevo. Lucio non era uno adatto ai bagni di folla alla Venditti o alla Baglioni. Lui voleva stare a casa a farsi i cazzi suoi. Un giorno li ho dovuti portare via da casa loro per seminare i paparazzi…

Un vero e proprio inseguimento?
Certo, solo che non potevano starmi dietro. Avevo una macchina americana, la Cobra Shelby. L’ho rivenduta recentemente perché era più un debito che altro. A casa loro, appena tiravano la tenda per guardare fuori c’era un fotografo pronto a scattare. Allora quando Grazia Letizia era all’ottavo mese, ho caricato lei e Lucio sulla mia auto e li ho portati via. Ci hanno inseguito, ma sull’autostrada ho schiacciato l’acceleratore e a 250 all’ora li ho seminati. Loro avevano delle Seicento… Sono stati con me in via Novara a Milano nella stanza degli ospiti fino alla nascita del figlio.

E condividi anche che in seguito che la moglie abbia stoppato per anni la diffusione delle sue canzoni sulle piattaforme digitali o tanti eventi a lui dedicati?
Ma sai, bisognerebbe entrare nella testa di Maria Grazia. Il problema è che tra moglie e marito si formano legami così forti che a volte si diventa gelosi di tutto. La gelosia ti fa bloccare, perché pensi: meglio che tenga io queste cose e non siano a disposizione di altri. Però questo lo trovo sbagliato, le canzoni di Lucio sono patrimonio di tutti. E poi prenderebbero un sacco di soldi, non so come sono finite le cause con Mogol.

Tu come ti sei spiegato la rottura Battisti-Mogol?
Per una questione finanziaria. Le divisioni erano 12/24 all’edizione, 8 al musicista e 4 al paroliere. Penso che Mogol volesse pareggiare con Lucio 6 e 6. Poteva essere comprensibile dal suo punto di vista, solo che non teneva conto di altri aspetti, cioè che Lucio faceva la musica e cantava. E come le cantava quelle canzoni… gli dava l’emozione giusta. I pezzi li rifaceva cinquecento volte prima di registrarli. Curava ogni particolare, era un perfezionista. Ma una volta registrato, se c’era qualche sbavatura la teneva. Erano quelli gli elementi che tiravano fuori l’anima di ogni brano. Oggi chissà come mai sono tutti intonati. Poi dal vivo…

Come hai vissuto gli album di Battisti del dopo Mogol?
Oggi li valuto meglio di allora, però non mi è mai piaciuto quello che ha fatto con Pasquale Panella. C’erano quaranta brani messi insieme e mai finiti. Una strofa e un inciso, una strofa e un inciso e via così, dieci in ogni pezzo…

Panella quando l’ho intervistato ha detto di essere molto fiero di aver tolto Battisti dai falò…
Sarà un vanto per lui, non per la gente. A parte La sposa occidentale e qualcos’altro che non dispiace, in generale era poco digeribile. Attenzione, non bisogna dimenticare che è stato Lucio a voler fare cose diverse, non Panella che lo spingeva. L’aveva detto anche a me: «No no, voglio fare questo e basta». L’ho visto a casa sua in quel periodo, abbiamo mangiato e poi siamo andati nel casottone dove aveva un bel pianoforte su un un palchetto, un Bösendorfer. Si è messo a suonarlo e mi faceva: «Senti che bassi». Brim, brum, bram… si gasava proprio. Ah, ti faccio vedere una cosa incredibile…

Sparisce per qualche minuto e torna con un pedale per chitarra che appoggia sul tavolo.

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E questo cos’è?
È il pedale di Jimi Hendrix che ha perso quando ha suonato in Italia. Me lo ha dato il cantante dei Camaleonti, si vede che gli è caduto dal furgone prima di andarsene. Ma il bello è che dietro c’è un appunto scritto a mano proprio da Battisti. Sono i conti di Lucio. Quindi è un doppio ricordo. Non lo metto in vendita perché non merita di andare perduto.

Jimi Hendrix è stato il più grande chitarrista di tutti i tempi?
Per me è più corretto dire che Hendrix ha inventato la chitarra. Oggi se apri YouTube trovi un sacco di chitarristi velocissimi, ma a che serve? Quando sono andato a sentire il trio dei più veloci del mondo, dopo tre pezzi sono uscito. Una gara di tecnica che non valeva nulla, del cuore non c’era traccia.

Chi è oggi secondo te il miglior chitarrista in circolazione?
Per me è ancora Santana, che con tre-quattro note ti dona delle emozioni uniche. Come lui non c’è nessuno.

Hai avuto anche una band che si chiamava Il Volo tra il ’74 e il ’75.
Quel gruppo era nato perché Mogol ha fatto scogliere la Formula 3, voleva puntare su qualcosa di internazionale. Ci aveva assicurato che avrebbe pagato tutto lui, non dovevamo preoccuparci di niente. Dopo il secondo disco abbiamo avuto un contenzioso e litigato, così Mogol ha detto agli altri: o me o lui, cioè Radius. E loro: «Ma scusa, il gruppo l’ha fondato lui». E quindi ci siamo ritrovati per un periodo, in particolare io e Mario Lavezzi che eravamo i più attrezzati, a dover pagare gli altri per le serate.

Quel nome nel 2010 lo hanno usato per il progetto composto dai giovani tenori. Ti hanno mai contattato?
Era un nome inventato alla Numero Uno, la casa discografica. E lì gravitava anche mister Quando quando quando Tony Renis, che ha formato quel nuovo progetto. Dopo tanti anni deve aver pensato, visto che gli altri non ci sono più, perché non rifarlo? Io avevo fondato Il Volo Srl con Mario Lavezzi, poi dopo qualche anno gli ho ceduto le edizioni. So che gli hanno fatto causa e hanno perso. Ma la causa dovevo farla io, perché avevo i miei dischi che avrebbero giustificato una richiesta del genere. Ma non me ne frega nulla. I tre giovani tenorini sono un po’ anacronistici ma funzionano.

Fra le righe hai già fatto capire più volte che la musica contemporanea non ti convince.
Intanto non capisco perché i cantanti biascicano le parole. Come Mahmood e Blanco, che fanno le foto da rocker e poi quando li senti cantare sono tutti gentilini… Comunque la formula è sempre la stessa. Prima un po’ di rap, poi un giro armonico e alla fine ancora rap. Ma un successo come quello della canzone Mille si deve a Orietta Berti e alla sua parte melodica, non a quella rap con Fedez e Achille Lauro. Ora c’è questa moda, ma non so quanto durerà. C’è anche da dire che il computer ha ucciso la musica. Basta cliccare e non paghi più una lira.

Un consiglio ai giovani?
Devono fare la gavetta. Stare in cantina e suonare ore e ore per anni. Io suono ancora due-tre ore al giorno.

I Måneskin sembra che abbiamo fatto la gavetta, anche suonando per strada.
Adesso avranno un cantinone dove provare… Sono contento per loro. Ho visto quando suonavano per le strade di Roma, significa che la cantina l’hanno fatta. Suonare per strada significa stare attento ai vaffanculo che ti arrivano dai negozianti o dai passanti. Prima era ancora meglio, perché facevi un mese in un posto, un mese in un altro, alla fine due mesi a Milano o Roma e conoscevi tutti gli artisti in circolazione. E allora i musicisti facevano anche i facchini… Non avevamo i tecnici, montavamo tutto noi. Con la Formula 3 spostavamo un organo Hammond che pesava 200 chili senza maniglie. Dovevamo portarlo su e giù per le scale. Mi sono spaccato la schiena e ancora mi fa male oggi. Ho una laurea in facchinaggio.

C’è chi dice che i Måneskin non sono rock.
Sono rock. Hanno rubato dal passato e hanno rubato bene. Certo, un successo del genere è un mistero.

Con la Formula 3 avete suonato con Stevie Wonder.
Ci hanno chiamato perché stava arrivando in Italia e dovevamo preparare un pezzo dove lui suona la batteria. Si è messo a sedere, io ho cominciato a fare delle note e lui appresso, siamo andati avanti 5-6 minuti. Stevie è impressionante. Ha toccato il timpano, il rullante, il charleston e ha proseguito a bomba.


Con quali altri artisti internazionali hai collaborato?
E chi lo sa… Sono andato tante volte a New York, a Monaco e a Londra per registrare, ma non so per cosa le hanno usate le miei incisioni. Allora funzionava così. Mi davano gli accordi e mi chiedevano delle parti di chitarra o degli assoli. Chissà dove sono andati a finire… Ogni tanto mi sembra di sentire qualcosa di mio nei video su YouTube, ma chissà…

Chi ascolti con più piacere?
Prima di tutto Fausto Rossi, in arte Faust’o. Lui è bravissimo, in particolare con i testi. Il suo primo disco lo risento ogni tanto, si intitolava Suicidio, fantastico! Un altro è Mino Di Martino, che ha fatto un album eccezionale ma purtroppo non lo hanno promosso. Un tempo poteva succedere, ti mettevano nel cassetto e potevi non uscirne mai. E sono quelli che hanno avuto meno successo. Ma a me non interessa nulla.

Parliamo di chitarristi, ti faccio qualche nome. Alex Britti?
Bravo, anzi, molto bravo. Poco socievole, però. Una volta ci siamo incontrati a Sanremo in quelle feste post festival. Prima suonava lui, quando sono arrivato io sul palco ha staccato il jack della chitarra e se ne è andato senza neanche salutare. Non sarà il massimo della socialità, ma è molto bravo.

Ricky Portera?
Anche lui è bravo, ha seguito l’esempio di Steve Vai. Mi piace il suo assolo in Ayrton di Lucio Dalla. Ma il più bravo di tutti è un altro…

Chi?
Luca Colombo. Peccato non sia più nell’orchestra della Rai, infatti a Sanremo c’era un suono squallido di chitarra. Colombo ha veramente le palle quando suona. Oppure c’è lo storico chitarrista di Vasco, Maurizio Solieri. Ma Vasco si tratta bene, anche Stef Burns è fenomenale. In generale ascolto poco i chitarristi. Non per cattiveria, ma se senti troppi gli altri rischi di copiarli, anche inconsciamente.

Vasco lo apprezzi?
È stato uno dei grandi innovatori della musica italiana. E non si vergogna di fare i pezzi degli altri, come di Battisti o De André.

Ti sarebbe piaciuto lavorare con lui?
Mah, ha un suono molto preciso e caratterizzato e quindi per forza il “cappello” su tutto deve essere il suo. Ma se mi chiama magari ci vado. Però in questo caso è una questione di soldi.

Come valuti le richieste?
Ultimamente se mi chiamano voglio i soldi. Se il progetto mi piace ne chiedo meno. Solo ad alcuni non chiedo nulla perché sono amici.

Stavo dimenticando che qui a San Colombano vive anche Gianluca Grignani e tu hai suonato su alcuni suoi dischi.
Ho fatto due dischi con Grignani. L’ho visto a Sanremo e non mi è sembrato in formissima. Mi spiace, abita qui vicino.

È vero che ti ha lasciato totale libertà durante il lavoro?
Sì, anche perché per me è sempre il concetto base da cui partire. Vengo, faccio quello che vuoi ma in libertà. In seguito puoi cancellare tutto, a me non interessa, ma voglio carta bianca. Sennò chiami un turnista qualsiasi. Non ho mai fatto un assolo uguale all’altro. Sennò gli stimoli dove li trovo?

Della stessa generazione c’è anche Morgan, che ha collaborato con Battiato.
Era molto amico di Franco. È un bel musicista. Se ne dicono tante su di lui, ma secondo me è pure un bravo ragazzo. Forse la televisione gli ha fatto bene da un lato e male da un altro. Quando lo sento cantare le canzoni di Battiato, sapendo che musica e testi non sono semplici, mi sembra che li faccia molto bene. Per cui bisogna riconoscere che come musicista ci sa fare.

Hai qualche rimpianto?
Forse con Jovanotti nel periodo de L’ombelico del mondo, non ricordo se già per quell’album o subito dopo. Mi è spiaciuto che sia saltata la collaborazione, perché è simpatico e molto attivo. Stonato come una campana, ma ha altre qualità.

Tra Beatles e Rolling Stones chi scegli?
Rolling tutta la vita. Quando sono usciti con Satisfaction ero nei night e sono letteralmente impazzito. Per quel suono mi sono chiesto: ma da dove viene? Se è stato Keith Richards a inventare quei riff è un genio.

Una chitarra come si sceglie?
Vieni, ti faccio vedere le mie.

Mi porta nella stanza degli ospiti, che in realtà ospita soltanto le sue chitarre.

Non ne hai moltissime.
Ne ho solo quattro tutte uguali, una però è la mia preferita. Questa Hamer, che ha un magnete che allunga le note. L’ho trovata per caso da un grossista. Me l’aveva data da provare e ho scoperto questo allungatore di suono che non finisce mai finché dura la pila. E poi ne ho un’altra a cui tengo molto, una Les Paul del ’58 o del ’59, che adesso si sta rifacendo il look da un appassionato liutaio. È la chitarra più famosa del mondo, ce l’hanno tutti. Ma hanno quelle nuove, non come questa che vale dai 100mila ai 300 mila euro.

Cosa deve avere una chitarra per essere insostituibile?
Deve trasmettere qualcosa. Non ci devi andare a letto, ma deve seguirti e tu devi seguire lei.

Sei mai stato costretto a suonarne qualcuna che non apprezzavi per questioni di sponsor?
È successo a Sanremo l’anno scorso quando sono stato ospite dei Coma_Cose. Mi hanno dato quella doppio manico che era sempre stonata. L’ho dovuta accordare poco prima di salire sul palco perché in due minuti perdeva l’accordatura. In quel caso, poi, la Sony mi ha trattato male. Leva questo, leva quello, allora alla fine venivo gratis. E ci sarei anche andato lo stesso, perché i Coma_Cose sono dei bravi ragazzi.

Un assolo che avresti voluto aver inventato tu?
Uno qualsiasi fra quelli di Jimi Hendrix.

E fra i tuoi, quale ami di più?
Sono affezionato a quello di Nel ghetto. L’ho fatto una volta sola ed è venuto così. La tecnica è bella, va però usata con parsimonia.

Sanremo quest’anno l’hai seguito?
Tutto e forse l’ho trovato un po’ meglio degli altri. Però i pezzi sono tutti uguali. Gianni Morandi si è svegliato grazie a Jovanotti. A quel punto, una volta sul podio, avrei fatto vincere lui. Il brano di Elisa era un po’ freddino, anche se lei è bravissima. Mahmood e Blanco non male, il pezzo era difficile. Solo che non si capisce mai se sono vittorie vere o presunte. Anche perché non mettono le cifre dei voti, così si sarebbe vista la differenza. Ma ormai dovrebbero chiamarlo “il festival della canzone e del look”. Anche quest’anno mi avevano chiamato per fare l’ospite il venerdì, ma non sono potuto andare.

Con chi ti saresti dovuto esibire?
Con Achille Lauro. Me l’ha presentato il produttore in un ristorante. Io non lo conoscevo e, a parte salutarci, non ci avevo più pensato. Poi mi hanno chiamato per essere suo ospite, solo che mi dovevo operare e quindi è andata buca. Non mi sembra di aver perso niente, la canzone Domenica era bruttina, così come la scena del battesimo.

Sei credente?
Sono ateo e apolitico, non mi impressiona la scena del battesimo in sé, soltanto non mi sembrava niente di rilevante. In generale non riesco a entrare in questa musica che fanno biascicando le parole. Ma avranno ragione loro visto che vendono i dischi… anzi, visto che hanno follower. Perché non vendono più un cazzo con la musica.

Il tuo brano Musica e parole, cantato nel 2008 da Loredana Bertè, fu squalificato. Era già uscito vent’anni prima con il titolo Ultimo segreto da Ornella Ventura…
E chi se lo ricordava? A mia difesa posso dire che quando Loredana mi ha chiamato, in un albergo megagalattico di Milano, e mi ha detto: «Devo andare a Sanremo, posso usare un tuo pezzo?», io le avevo portato due brani nuovi. Ma lei ha tirato fuori una cassettina con su scritto: “Testo da rifare”. Era sempre una musica mia e non mi sono ricordato che fosse già uscita. Sai, una volta ci si scambiavano i pezzi così, con delle cassettine. Ma poi ho scoperto che non avrebbero potuto squalificarci. Il regolamento di allora diceva che dopo un tot di ore dalla prova generale la regola dell’inedito era annullata.

Prima hai detto che il computer ha ucciso la musica. E i talent?
Ti racconto un aneddoto. Dopo la vittoria di Dennis Fantina a Saranno Famosi nel 2001 (il primo nome di Amici di Maria De Filippi, ndr) mi chiamano per il suo disco e suono sul pezzo Io credo in te. Non andò molto bene. Qualche tempo dopo sono in giro per Milano e sento che qualcuno suona il clacson per salutarmi. Mi giro e dentro all’auto vedo Dennis. Che ci fai qui, gli chiedo. E lui: «Consegno il cibo a domicilio». Mi sembra che renda l’idea su cosa penso dei talent.

Se avessi vent’anni oggi, credi che riusciresti comunque a raggiungere grandi risultati?
Sicuramente avrei avuto lo stesso percorso, però magari riuscendo a fare di meno. Certo è che oggi non potrei incontrare un Battisti o un Battiato. Ma sono sicuro che mi sarei comunque divertito.

La tua filosofia è sempre quella di non pensare mai al passato?
Del passato me ne frega fino a un certo punto.

E avresti mai pensato di arrivare a 80 anni?
A 50 anni mi dicevo che dopo i 70 è tutto regalato. Ora mi dico che dopo i 100 è tutto regalato. Io sono molto attaccato alla vita, la amo profondamente. Voglio ancora divertirmi. Se fai un lavoro che non ti piace è dura andare avanti, basta andare alle Poste per verificarlo.

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