Ex Ilva, arrestati Piero Amara e il poliziotto Filippo Paradiso.
Obbligo di dimora per l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo
In carcere l'ex legale di Eni e il poliziotto già in servizio negli uffici
di diretta collaborazione dei vari sottosegretari alla Presidenza del Consiglio.
Ai domiciliari l'avvocato Giacomo Ragno, condannato in primo grado
nel processo ai magistrati Nardi e Savasta.
Al centro dell'inchiesta l'accordo tra procura di Taranto
e Ilva in amministrazione straordinaria, di cui Amara era consulente legale
di Francesco Casula
Scambi di favori nell’ambito di procedimenti che riguardavano l’
ex Ilva di Taranto. È questo il cuore dell’inchiesta della
procura di Potenza che ha portato all’arresto dell’ex legale di Eni,
Piero Amara, e all’obbligo di dimora per l’ex procuratore di Taranto
Carlo Maria Capristo. Le misure cautelari emesse dal gip del tribunale lucano riguardano anche il poliziotto
Filippo Paradiso e l’avvocato
Giacomo Ragno. Tra le accuse anche la
corruzione in atti giudiziari.
In
carcere sono finiti Amara e Paradiso,
già in servizio negli uffici di diretta collaborazione dei vari sottosegretari alla Presidenza del Consiglio, con Prodi, come con Berlusconi, e al ministero dell’Interno, come collaboratore della segreteria di Matteo Piantedosi, allora capo di gabinetto di Matteo Salvini, e quindi finito nella segreteria di Carlo Sibilia. Arresti domiciliari invece per Ragno,
già condannato a 2 anni e 8 mesi nell’indagine sul “Sistema Trani” che riguardava i pm Antonio Savasta e Michele Nardi. I fatti contestati risalirebbero al periodo nel quale Capristo –
già arrestato a maggio 2020 nell’ambito di un’altra inchiesta e poi tornato libero mentre è a processo – era procuratore a Taranto e riguarderebbero anche un patteggiamento legato all’
ex Ilva.
L’inchiesta coordinata dal procuratore di Potenza,
Francesco Curcio,
era stata anticipata lo scorso giugno da Ilfattoquotidiano.it in una lunga ricostruzione di quanto avvenuto negli scorsi anni nell’ambito di un procedimento sull’ex Ilva. L’indagine ruota intorno alla scelta di
Amara come consulente della struttura legale di Ilva in As e partecipa alla cosiddetta “trattativa” con la procura per raggiungere quel patteggiamento che qualche anno prima, il pool di magistrati guidati allora da Franco Sebastio, aveva respinto.
Lo staff legale dell’Ilva alza la posta offrendo il pagamento di una sanzione pecuniaria di
3 milioni di euro, 8 mesi di commissariamento giudiziale e
241 milioni di euro di
confisca (invece dei 9 proposti nella prima istanza) come profitto del reato da destinare alla
bonifica dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ma i giudici della Corte d’assise ritennero “le pene concordate con i rappresentati della pubblica accusa” sono “sommamente
inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla
estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione”.
Ma non è tutto. Nel periodo della trattativa, l’avvocato
Giuseppe Argentino, figlio dell’allora procuratore aggiunto Pietro, poi nominato a capo della procura di Matera, entra a far parte dello studio Amara a Roma. A questo si aggiunge che a marzo 2017, due società, la
“Dagi” e la
“Entropia Energy”, di cui Amara è amministratore di fatto, si domiciliano a
Martina Franca, in provincia di Taranto: come risulta dagli atti dell’inchiesta di Roma che coinvolse Amara, Giuseppe Argentino è indicato come uno dei
consulenti della società. Un vortice di incarichi, ruoli, richieste e legami che diventa sempre più complesso e intricato. E che oggi, secondo la procura di Potenza, è stato sbrogliato.
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