Alla ricerca del forum perduto

Le ombre di papa Francesco

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view post Posted on 26/10/2015, 11:44
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Com'è finito il Sinodo?
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Ecco un'illuminante articolo di Pierfranco Pellizzetti su Il Fatto Quotidiano che ce lo spiega. :B): :ph34r: :dev.gif: :bleh.gif: :thumb_yello.gif:


Sinodo: riflessioni dopo un evento ponziopilatesco

di Pierfranco Pellizzetti

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Suvvia, cosa vi aspettavate dal Sinodo?

A quanto è dato capire, i fan più sfegatati di papa Bergoglio, presunto Simon Bolivar di una rivoluzione ecclesiastica che travalichi le Ande per giungere fino alla Roma appiccicosa al soffio dello scirocchetto, manifestavano delusione già prima che il summit porporato concludesse i propri lavori. Figuriamoci ora, dopo che la montagna ha partorito il sorcetto ponziopiltasco della comunione ai divorziati risposati, sottoposta a tagliando presso l’officina parrocchiale. Mentre per le questioni più spinose e divisive il dribbling è stato all’altezza dei migliori assi cresciuti sul Rio de la Plata: da Omar Sivori a Leo Messi.

Stupiti? Bastava soltanto informarsi un po’. Così si sarebbe potuto appurare che nella conferenza del clero latinoamericano, tenutasi nel 2007 ad Apareicida, proprio Bergoglio fece ribadire nel documento conclusivo la condanna di ogni forma di eutanasia, nonché il rifiuto della somministrazione dei sacramenti ai divorziati e alle donne che abbiano abortito. Del resto sono ben note le sue polemiche con il governo argentino quando la Casa Rosada promosse distribuzioni gratuite di contraccettivi. Per non parlare delle scelte in materia di matrimonio omosessuale della presidente Cristina Fernàndez de Kirchner. A tale proposito, nel 2010 Bergoglio inviò una lettera alle Suore Carmelitane di Buenos Aires scrivendo che «Il popolo argentino dovrà affrontare, nelle prossime settimane, una situazione il cui esito può ferire gravemente la famiglia. Si tratta del disegno di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. […] È in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo, privandoli della maturazione umana che Dio ha voluto che si desse con un padre e una madre. È in gioco un rigetto frontale della legge di Dio, per di più incisa nei nostri cuori. […] Non siamo ingenui: non si tratta di una semplice lotta politica; […] bensì di una mossa del Padre della Menzogna che pretende di confondere e ingannare i figli di Dio».

Visto che neppure noi siamo ingenui, comprendiamo bene che il formidabile comunicatore asceso al soglio di Pietro è innanzi tutto un gesuita; ossia appartiene a un ordine abituato a presidiare le estreme frontiere del territorio ecclesiastico, con tutte le ambiguità che il compito comporta. Ma sempre per servire gli interessi profondi dell’Istituzione-Chiesa e le sue strategie di sopravvivenza. Un po’ come i suoi predecessori in Paraguay, quando addomesticavano i bellicosi indios Guaranì confinandoli nelle reducciones (i falansteri comunitari creati dall’Ordine) e spianando così la strada alla schiavistica colonizzazione spagnola e portoghese.

Nello stesso spirito oggi papa Bergoglio – a differenza dei cardinali di curia, torpidi tendenti all’ottuso– ha ben chiaro che la Chiesa si salva solo grazie a un profondo restyling e un nuovo posizionamento di mercato. Ossia cambiando il focus dall’ossessione voyeuristica sui comportamenti sessuali e le scelte biografiche per concentrarsi sulle problematiche della miseria. Di conseguenza, predisponendo la migrazione missionaria dalle aree di un Primo Mondo ormai irrimediabilmente secolarizzato verso i più promettenti territori del Terzo e Quarto Mondo.

Ma c’è un punto da cui il defensor fidei perinde ac cadaver non può deflettere, pena il far crollare l’intera impalcatura che presiede: la difesa dell’ordine gerarchico-patriarcale, di cui la famiglia eterosessuale finalizzata alla riproduzione è la pietra angolare; in questa fase storica sotto minaccia della sfida portatagli dal femminile e dall’omosessuale. Un ordine in evidente declino ma da cui la Chiesa omofoba (nonostante la diffusa omosessualità nei suoi vertici) e discriminatrice delle donne non è in grado di prescindere; proprio per non mettere a repentaglio la sua essenza gerarchica. Difatti sarebbe ora di capire che la vera natura di papa Francesco è quella di un restauratore tendente al gattopardesco, non di un rivoluzionario. Nonostante i fraintendimenti del fronte conservatore che gli si oppone. Autolesionisticamente.


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view post Posted on 29/11/2015, 11:54
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CASO FITTIPALDI E NUZZI:

C’ERA UNA VOLTA LA RIVOLUZIONE DI BERGOGLIO


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Un processo penale che arriva a sentenza in due settimane. Può sembrare un miracolo, poiché c’è di mezzo la Chiesa cattolica, ma non lo è. Stiamo parlando del giudizio nei confronti dei due giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi – autori rispettivamente di Avarizia (Feltrinelli) e Via Crucis (Chiarelettere) -, che a quanto pare si concluderà entro l’8 dicembre. Giusto in tempo per il taglio del nastro del Giubileo straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco.

Qualcuno ha fatto notare la curiosa coincidenza. E in effetti non si può escludere che, una volta condannati dalla corte vaticana (i rumors vanno in questa assurda direzione), il capo supremo della Santa Sede decida di pronunciare l’ultima parola sul caso concedendo la grazia. Anzi la Misericordia.

Del resto non sarebbe una novità. Già Paolo Gabriele detto “il corvo”, il maggiordomo di Benedetto XVI che nel 2012 ha dato il via a Vatileaks 1, dopo la veloce condanna è stato graziato e in tempi brevi. Bene, anzi, male. Fittipaldi e Nuzzi, giornalisti italiani, rischiano addirittura fino a 8 anni di carcere e sono alla sbarra del tribunale pontificio per aver svolto, in Italia, un lavoro che, in Italia, è tutelato dall’articolo 21 della Costituzione. Vale a dire la pubblicazione, in Italia, in un libro, di notizie documentate da fonti certe.

Oltre allo sconcertante silenzio da parte del governo e del parlamento italiano, non si può non evidenziare che in maniera molto diversa si è svolto l’iter processuale di mons. Wesolowsky. Ridotto nel 2014 allo stato laicale per pedofilia da parte della Congregazione per la dottrina della fede, l’ex nunzio vaticano in Rep. Dominicana venne rinviato a giudizio nel marzo del 2015 dalla magistratura penale al termine di oltre quattro mesi di un’istruttoria che si è svolta nel più totale segreto. L’annuncio del processo, il primo del genere in Vaticano per di più nei confronti di un alto prelato, fu accolto dai media nostrani come un segnale evidente della discontinuità di papa Bergoglio rispetto ai suoi predecessori e della sua concreta volontà di estirpare la pedofilia dal clero cattolico.

Peccato però che quel processo non si è mai svolto. Wesolowsky è morto alla fine di agosto 2015 senza essere mai comparso davanti ai suoi giudici. Il monsignore, ricercato dall’Interpol con l’accusa di aver stuprato bambini in Santo Domingo e il forte sospetto di aver già colpito in tutti e tre i continenti nei quali aveva svolto in precedenza la sua opera pastorale e diplomatica per la Santa Sede, è morto d’infarto oltre cinque mesi dopo il rinvio a giudizio mentre si trovava ai domiciliari, davanti alla tv.

Dunque, ricapitolando, da un lato abbiamo la criminalizzazione di un diritto. Con un processo che in 30 giorni dalla divulgazione delle notizie incriminate si concluderà a tempo record con una (molto probabile) condanna per due degli imputati che secondo le norme di qualsiasi Paese civile e democratico hanno svolto il loro mestiere facendo peraltro un servizio alla comunità. E dall’altro c’è la tutela di un criminale. Con un pedofilo ricercato in tutto il mondo civile che la Santa Sede, in oltre un anno, non ha fatto a tempo a portare nemmeno una volta in tribunale.

È lecito pensare che c’è qualcosa che non torna riguardo le priorità nell’agenda del cosiddetto “papa rivoluzionario”?

Federico Tulli

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view post Posted on 24/1/2016, 09:20
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Il Papa e il matrimonio gay

di Piergiorgio Odifreddi


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Nel momento in cui l’ennesimo progetto sulle unioni civili dev’essere discusso in Parlamento, per l’ennesima volta la Chiesa scende in campo con le sue solite pressioni e i suoi soliti tentativi di ingerenza.

Molti credenti però si cullano ancora nell’illusione che il nuovo papa Francesco sia portatore di idee progressiste, in contrapposizione al conservatorismo della Curia romana e dei vescovi italiani. Ma, a smentirli, bastano le due lettere che l’allora cardinal Bergoglio scrisse in occasione dell’analogo voto del Parlamento argentino sulla legge per il matrimonio e le adozioni omosessuali: legge poi approvata il 15 luglio 2010, e molto più avanzata del nostro solito timido e pasticciato “compromesso storico” all’italiana.

La prima lettera, del 22 giugno 2010, era indirizzata alle carmelitane di Buenos Aires, e usava toni degni del cardinal Ruini: “E’ in gioco qui l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. E’ in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro maturazione umana che Dio ha voluto avvenga con un padre e con una madre. E’ in gioco il rifiuto totale della legge di Dio, incisa anche nei nostri cuori”.

E aggiungeva: “Qui pure c’è l’invidia del Demonio, attraverso la quale il peccato entrò nel mondo: un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra. Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una “mossa” del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio”.

Bergoglio concludeva addirittura con un appello alla guerra santa, invocando paradossalmente l'aiuto di una famiglia che più "contro natura" non si può: “Guardiamo a san Giuseppe, a Maria e al Bambino e chiediamo loro con fervore di difendere la famiglia argentina in questo particolare momento. Ricordiamo ciò che Dio stesso disse al suo popolo in un momento di grande angoscia: “Questa guerra non é vostra, ma di Dio”. Che ci soccorrano, difendano e accompagnino in questa guerra di Dio”.

La seconda lettera, del 13 luglio 2010, era indirizzata ai partecipanti del Family Day promosso alla vigilia della discussione della legge in Senato, e usava toni simili: “L’essenza dell’essere umano tende all’unione dell’uomo e della donna come realizzazione reciproca, come attenzione e cura, come cammino naturale verso la procreazione. Il matrimonio precede lo Stato ed è la base della famiglia, che è cellula della società precedente a ogni legislazione e precedente perfino alla Chiesa. Da questo deriva che l’approvazione del progetto di legge in discussione significherebbe un reale e grave regresso antropologico”.

E aggiungeva: “In un’epoca in cui si insiste tanto sulla ricchezza del pluralismo e della diversità culturale e sociale, è davvero contraddittorio minimizzare le differenze umane fondamentali. Un padre e una madre non sono la stessa cosa. Non possiamo insegnare alle future generazioni che è la stessa cosa prepararsi a un progetto di famiglia assumendo l’impegno di una relazione stabile tra uomo e donna e convivere con una persona dello stesso sesso”.

Le reazioni del Parlamento argentino a queste pressioni furono dure e nette, e nel dibatttito i toni del cardinal Bergoglio vennero classificati come oscurantismo medievale. I coniugi Kirchner, lei presidente e lui ex-presidente e deputato, indicarono nel cardinal Bergoglio l’organizzatore del movimento pro-famiglia. Prima delle sue ingerenze c’era una maggioranza di nove voti contraria al progetto di legge, che fu poi invece approvato con una maggioranza di tre voti favorevoli: uno dei quali quello della stessa presidente, che non prese mai parte ad altre votazioni durante il suo mandato.

Attendersi simili sussulti di orgoglio laico da parte del nostro Parlamento e dei nostri presidenti del Consiglio e della Repubblica sarebbe impensabile. Ma la vicenda dovrebbe almeno fare chiarezza sulle supposte aperture progressiste del papa Bergoglio, che continuano a essere diffuse dai media contro ogni evidenza fattuale.

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view post Posted on 25/2/2016, 15:38
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"Papa Francesco non ha fatto nulla contro la pedofilia".

L'accusa di Peter Saunders, ex membro dell'organismo vaticano anti-abusi


di Laura Eduati

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Papa Francesco lo scelse per entrare nella commissione vaticana contro i preti pedofili. A distanza di due anni, Peter Saunders lancia a Jorge Bergoglio una accusa feroce: "Durante il papato di Francesco la Chiesa cattolica non ha fatto nulla per eliminare gli abusi sui minori da parte del clero", dichiara alla Bbc in una sferzante intervista. "E lui è parte del problema".

Saunders, britannico vittima delle molestie sessuali di un sacerdote, nei primi giorni di febbraio è stato formalmente sospeso dalla Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori. L'organismo si è insediato nel 2014 per esplicito volere di papa Francesco, che ha sempre giudicato pubblicamente "una mostruosità" le attenzioni pedofile degli appartenenti al clero.

Ora alla Bbc l'uomo spiega la sua delusione: "Sono sempre stato una spina nel fianco del Vaticano fin dal primo momento del mio ingresso nella Commissione". "Pensai che il nostro lavoro sarebbe stato quello di prendere delle decisioni contro i singoli sacerdoti abusatori e invece l'obiettivo è creare politiche e linee guida per stabilire quali sono le migliori pratiche per evitare gli abusi". Nel frattempo, continua Saunders, "ogni giorno ascoltiamo storie di abusi da parte dei preti. E' terribile".

Nessun intervento concreto, dunque, bensì un organismo politico che secondo Saunders non porterà a nulla anche per problemi formali: i quattro membri della segreteria della Commissione "sono molto vicini al Vaticano" e quindi, sempre secondo quanto dichiarato da Saunders alla Bbc, poco indipendenti.

Inoltre "l'organismo si trova nel Vaticano e invece avrebbe dovuto lavorare a Roma". Saunders non risparmia nulla al pontefice: la Commissione "è soltanto una questione di pubbliche relazioni" dopo gli scandali sulla pedofilia nel clero che hanno scosso principalmente i fedeli. Un lavoro perfetto "per il miglior pr che la Chiesa potesse avere", e cioè Bergoglio.

Saunders ricorda il dialogo avuto proprio con papa Francesco: "Gli dissi che bisognava espellere tutti gli abusatori. In quel momento ebbi la sensazione che mi stava prendendo sul serio. Ma oggi so che non mi stava ascoltando".

La Commissione contro gli abusi, continua imperterrito l'ex membro, non sarebbe stata nemmeno una idea di papa Francesco bensì dell'arcivescovo di Boston, Sean Patrick O' Malley, al centro di una bufera mediatica proprio per i numerosi casi di abusi sessuali nella diocesi americana, al centro anche del recentissimo film "Il caso Spotlight".

Alle accuse di Saunders il Vaticano risponde senza entrare nel merito, ma ricordando che la Commissione non è stata istituita per perseguire singolarmente i sacerdoti che si sono macchiati di pedofilia e abusi sessuali, bensì per trovare una soluzione generale al problema che tocca la Chiesa nel suo profondo. In due anni, scrive sempre il Vaticano, sono stati espulsi 880 sacerdoti.

Tra questi, però, non figura Juan Barros, vescovo della diocesi di Osorno in Cile, che secondo le vittime ha coperto gli abusi sessuali di Fernando Karadima Fariña, sacerdote sospeso proprio per questi reati. In una intervista a Daily Beast, Saunders aveva parlato anche dello scandalo che aveva coinvolto un cardinale molto vicino a papa Francesco, Francisco Javier Erràruriz, cileno:
Erràruriz aveva chiamato "il serpente" uno degli attivisti più famosi contro la pedofilia in Cile, Juan Carlos Cruz, in una email a un altro cardinale poi pubblicata sui media cileni. Cruz a quel tempo era candidato per la Commissione papale: ma la sua nomina non andò avanti. "Quello che il papa e gli altri cardinali dissero fu terribile", ha dichiarato Saunders al Daily Beast.

Sempre al Daily Beast, Saunders spiega come mai è stato letteralmente cacciato dalla Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori:
“Il giorno prima della mia espulsione (5 febbraio), stavano parlando della necessità che i vescovi riportassero (i casi di abusi, ndr) e O'Malley lo considerava un dovere morale", dice Saunders. "Così ho presentato un programma per discutere sulla maggiore apertura e trasparenza. E' stato bocciato. Ma la segretezza è il primo motivo per il quale esiste questa piaga!".

Lo scandalo della pedofilia sta toccando uno degli esponenti più importanti del Vaticano, il cardinale Pell. Il responsabile delle finanze dovrà testimoniare il 29 febbraio alla Royal Commission australiana che indaga sulle presunte coperture che il cardinale avrebbe messo in atto per proteggere i sacerdoti della diocesi di Ballarat e Melbourne, accusati e in alcuni casi condannati di continue aggressioni sessuali sui minori.

Pell ha addotto motivi di salute per non viaggiare in Australia, suo Paese natale, e dunque la Royal Commission ha approntato una video-conferenza alla quale assisterà un gruppo di vittime di pedofilia di Ballarat che per l'occasione sarà a Roma nella stessa stanza del cardinale durante la testimonianza.
Nei giorni scorsi il quotidiano Herald Sun ha pubblicato la notizia di una inchiesta della polizia di Victoria che vedrebbe implicato proprio Pell, indagato per abusi sessuali. Il cardinale ha risposto con veemenza: "Menzogne".


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view post Posted on 6/1/2017, 09:59
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ARGENTINA: SENZA VERGOGNA, FRANCESCO COPRE I PRETI ABUSATORI,

MA DICE “ASCOLTATE LE GRIDA DI QUESTI BAMBINI”


Il Papa ha inviato una lettera a vescovi nel Giorno degli Innocenti,
dove propone di combattere la “tentazione” dei suoi clerici con “tolleranza zero”.
Dello scandalo del Provolo nel suo paese, neanche una parola.


di Daniel Satur @saturnetroc


Chissà se in un raptus di ubiquità gli assessori di Jorge Bergoglio hanno obbligato a posticipare la pubblicazione della lettera che il passato 28 di dicembre è stata inviata dal Vaticano agli indirizzi elettronici di migliaia di vescovi in tutto il mondo. È che se fosse stata diffusa lo stesso Giorno dei Santi Innocenti, probabilmente lo scherzo che “che ti basti l’innocenza” si sarebbe infiltrato in più di una abbazia o seminario.

Ciò che è sicuro è che la lettera firmata da Francesco, “con fraterno affetto”, il 28 di dicembre del 2016 è stata fatta conoscere pubblicamente recentemente, il 2 di gennaio del 2017. Curioso, per una missiva tanto “urgente” come densa in contenuto. Ma, bene, i tempi del cielo non sono gli stessi di quelli della terra.

Il contenuto della lettera è, fondamentalmente, una denuncia vaticana della situazione che vivono e soffrono milioni di bambine e bambini in tutto il mondo, prodotto dei più diversi metodi di sfruttamento ed oppressione, come la schiavitù lavorativa e sessuale, la tratta, la povertà estrema, la denutrizione e le malattie. Per coloro che conoscono Bergoglio da vari anni, niente che sorprenda poiché questo è stato sempre uno dei fulcri centrali del suo discorso pubblico.

Ma in questa occasione il Papa ha approfittato per “infilare” nella denuncia un topico che si fa ogni volta meno schivabile e più compromissivo: l’abuso sessuale sistematico commesso da infinità di preti, vescovi e suore su bambine e bambini in tutto il mondo. Con grande diplomazia, il sommo pontefice ha incorporato nella sua scuola un’esortazione pubblica alle differenti gerarchie cattoliche, chiedendo “tolleranza zero” davanti ai casi che escono alla luce in ogni momento.

Tuttavia il talento papale è rimasto pienamente esposto al momento di spiegare il perché di questi abusi sessuali. In poche linee Francesco ha definito con precisione cosa pensa la Chiesa dei suoi sacerdoti pedofili e come crede che si debbano combattere le loro deviazioni.

“Come pastori siamo stati chiamati” ad aiutare a far crescere l’ “ allegria in mezzo al nostro popolo”, ricorda ai suoi destintari. Ed aggiunge: “Voglio rinnovare con te l’invito a non lasciarsi rubare questa allegria”. Segue un atto che afferma, facendo una comparazione con il passaggio biblico sull’assassinio massivo di bambini da parte di Erode, che “oggi nei nostri popoli, purtroppo – e lo scrivo con profondo dolore – si continua a sentire il gemito ed il pianto di tante madri, di tante famiglie”.

Dopo alcuni riferimenti al Natale, Francesco si domanda, retoricamente, se “l’allegria cristiana può realizzarsi ignorando il gemito del fratello, di bambini”, in riferimento a questi abusi e vessazioni che ricevono ogni giorno milioni di infanti in tutto il pianeta.

Infine, con una giravolta dialettica Bergoglio suggerisce: “Ascoltiamo il pianto ed il gemere di questi bambini: ascolteremo anche il pianto ed il gemito della nostra madre chiesa, che piange non solo di fronte al dolore causato nei suoi figli più piccoli, ma anche perché conosce il peccato di alcuni dei suoi membri: la sofferenza, la storia ed il dolore dei minori che sono stati abusati sessualmente dai sacerdoti”. Così, senza scali, il Papa trasforma l’istituzione che dirige quasi quasi in una vittima tanto meritevole di compassione e misericordia come queste bambine e questi bambini vessati.

Questo sì, come è di costume, l’abuso degli infanti è molto meno un delitto grave che “un peccato che ci dà vergogna”. E come se fosse uno appena arrivato all’altare, dice “ci scusiamo profondamente e chiediamo perdono. Ci uniamo al dolore delle vittime e, allo stesso tempo, piangiamo il peccato. Il peccato per quanto successo, il peccato di omissione di assistenza, il peccato di occultare e negare, il peccato dell’abuso di potere. La chiesa piange anche con amarezza questo peccato dei suoi figli e chiede perdono”.

A questa altezza il cinismo papale non ha limiti. Come ha già dimostrato questo quotidiano, lo stesso Jorge Bergoglio sapeva che nell’Istituto per bambini sordi Antonio Provolo in Argentina si sono rifugiati per molti anni sacerdoti abusatori e non ha mai fatto niente. Nel 2014 varie vittime di abusi accaduti nella sede italiana dell’istituto hanno consegnato un video al Vaticano dove accusavano, tra gli altri preti, Nicola Corradi stesso che oggi è detenuto in Mendoza a seguito della coraggiosa denuncia dei famigliari delle vittime attuali del vecchio clerico italiano.

Vale ricordare, ancora una volta, che Francesco non ha mai risposto alle richieste e agli inviti delle decine di vittime di Corradi ed altri abusatori per far sì che il Vaticano realmente portasse alla pratica la “tolleranza zero” e ponesse tutte le prove a disposizione della Giustizia.

Ora Francesco dice ai vescovi che “ricordando il giorno dei Santi Innocenti, rinnoviamo tutto il nostro impegno per far sì che queste atrocità non tornino a succedere tra noi. Prendiamo il coraggio necessario per implementare tutte le misure necessarie e proteggere in tutto la vita dei nostri bambini, per far sì che tali crimini non si ripetano più”. Evidentemente un doppio discorso clericale.

Ancora una volta, come lo ha saputo fare nei tempi in cui in Argentina scomparivano uomini e donne dall’azione genocida della dittatura civico – militare, Jorge Bergoglio si veste da santo e, con il suo sorriso bonaccione, cerca di nascondere il suo vero volto. Niente che sorprenda ma, sí, molto che indigni un poco di più.

Tradotto per Rete L’ABUSO da Roberta Pietra

http://www.laizquierdadiario.com/Sin-vergu...o-de-esos-ninos


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Bergoglio al Forum sulla famiglia,

l’apertura alla modernità è sempre più lontana


di Maria Mantello

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Aula Clementina, 16 giugno 2018, «Forum delle associazioni familiari», recita la titolazione del testo scritto che Bergoglio ha con sé, ma non legge. Va a braccio. Ed è tutto un tuonare: a favore della più rigida ortodossia della Chiesa sulla famiglia cattolica – con annesso ruolo della donna vocata al sacrificio –, e contro l’interruzione volontaria di gravidanza.
Posizioni del resto che papa Francesco aveva sempre sostenuto, al di là delle frasi ad uso mediatico, tipo «chi sono io per giudicare un gay». Oppure quelle su una Chiesa, dove la dottrina non sia «da imporre con insistenza», e che procede «misericordiando».

Con buona pace di quanti continuano a fantasticare su supposte rivoluzioni di questo papa. E nella bergoglite che li affligge, continuano nell’autoconvincimento che, Lui vuole, ma le gerarchie Lo ostacolano. E imbrigliati in questo gioco illusionistico hanno sorvolato ad esempio sulle benedizioni papali elargite ai pro-life in marcia su Roma in buona compagnia di Militia Christi e Forza Nuova, o su quelle ai ginecologi cattolici per l’opera di boicottaggio contro interruzioni volontarie di gravidanza, anticoncezionali, fecondazione assistita... e quanto altro ancora.

Adesso, glisseranno anche di fronte alle affermazioni di papa Francesco al Forum delle famiglie di questo 16 giugno?
«Oggi – ha detto Bergoglio – si parla di famiglie diversificate, di diversi tipi di famiglia... Ma la famiglia immagine di Dio è una sola, quella tra uomo e donna. Può darsi che non siano credenti ma se si amano e uniscono in matrimonio sono a immagine e somiglianza di Dio». Siamo alla più classica riproposizione dell’ontologia clericale che si regge sulla concatenazione di idee supposte a cominciare da quella di un Dio di cui la Chiesa sarebbe interprete e maestra, nel dettare schemi e leggi.
Ognuno nel suo ruolo. E su questa strada papa Bergoglio nella definizione catechistica di famiglia, non ha dimenticato di elogiare la sopportazione di tante “sante donne” che «nel silenzio hanno aspettato guardando da un'altra parte, aspettando che il marito tornasse alla fedeltà. La santità che perdona tutto perché ama».

Ma forse vale appena riflettere, che proprio su questa strada della donna “vocata” alla dedizione per l’altro si è costruita la mala educazione maschilista, che tanto spazio trova nella Chiesa a cominciare dal suo ideologo Paolo di Tarso, che ad esempio nella Lettera a Timoteo I, 2, 11-15 prescriveva: «La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Perché non permetto alla donna d’insegnare, né d’usare autorità sul marito, ma stia in silenzio».

Una mala educazione che vale anche per la responsabilità della Chiesa cattolica nello stigma contro l’omosessualità, ribadita nel catechismo vigente che la definisce «oggettivo disordine morale», (canone 2357), e che vorrebbe gli omosessuali casti ed espianti, prostrati nel vivere nel «sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione» (canone 2358). Sarebbe irriverente chiedere se anche la violenza omofoba rientra nella croce da sopportare misericordiosamente? E per le famiglie gay con figli annessi a seguire?

Misericordiando... misericordiando, il 16 giugno al Forum delle famiglie (cattoliche) papa Bergoglio è arrivato ad equiparare l’aborto allo stragismo nazista.

«Il secolo scorso – ha detto – tutto il mondo era scandalizzato per quello che facevano i nazisti per curare la purezza della razza. Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi. È di moda o almeno abituale, che quando in gravidanza si vede che il bambino non sta bene o viene con qualche cosa: la prima offerta è lo mandiamo via? L'omicidio dei bambini: per risolvere la vita tranquilla si fa fuori un innocente».

Ovviamente non poteva mancare in questo Forum del 16 giugno la lode all’opera profusa dalle associazioni cattoliche – come aveva scritto anche nel testo ufficiale – «stabilendo un rapporto di fiducia e di collaborazione con le Istituzioni».
Ma dietro quella parola apparentemente pacata “collaborazione” non continua forse il vizio antico di una Chiesa che pretende di essere accreditata come univoca agenzia morale? Una Chiesa che identifica il cittadino col credente, e per questo pretende che la sua libertà sia superiore a quella di chiunque altro.

Una Chiesa insomma che non ha ancora accettato l’ingresso nella modernità, che ha un pilastro fondamentale nella separazione tra leggi umane e leggi divine.

Cosa che continua a ignorare anche papa Bergoglio. In questo – sembrerebbe – in perfetta sintonia col ministro della famiglia e delle disabiiltà del nuovo Governo, l’ultrà cattolico Lorenzo Fontana (il suo matrimonio religioso ha voluto fosse celebrato col rito tridentino), che nei giorni scorsi si era speso (“santa” collaborazione istituzionale?) in un profluvio di affermazioni razziste contro le coppie omosessuali da far restare sommerse, invisibili, nel non-essere del diritto di avere diritti.

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view post Posted on 12/2/2019, 18:26
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Il vero estremista è papa Francesco

di Raffaele Carcano

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“Un modello di convivenza, di fratellanza umana e di incontro tra diverse civiltà e culture, dove molti trovano un posto sicuro per lavorare e vivere liberamente, nel rispetto delle diversità”.

No, non è la Svezia. È un giudizio riferito alla politica degli Emirati Arabi Uniti. L’autore dell’apologia si chiama Jorge Mario Bergoglio: da quasi sei anni, anche papa Francesco. Il cristiano più potente al mondo.

Che, tuttavia, non sembra essere al corrente che negli Emirati non si lavora “liberamente”. Come negli altri paesi arabi vige infatti il kafala: prevede che qualche residente si faccia garante del lavoratore straniero. Ma la garanzia può essere revocata in ogni momento e per qualunque motivo, con le conseguenze del caso. Lo sfruttamento dei migranti più poveri, che pure il pontefice denuncia in continuazione, laggiù è una venerata tradizione. Vivere “liberamente” è altrettanto difficile, almeno per i nostri standard. La lista di divieti è lunga: basta baciarsi in pubblico per finire in carcere (ma il papa l’ha fatta franca). E non finisce certo qui. Come ha puntualmente denunciato Amnesty International, negli Emirati la situazione dei diritti umani è, molto semplicemente, “drammatica”.

Proprio negli Emirati il papa si è incontrato con Ahmad Al-Tayyib, il grande imam dell’università Al-Azhar: colui che nei giorni scorsi ha magnanimamente fatto ridurre la sanzione a due studenti, “colpevoli” di essersi abbracciati davanti a tutti. D’amore e d’accordo, papa e imam hanno firmato insieme il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. In nome della “collaborazione comune”, hanno denunciato come “tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno vi siano una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti”.

Dobbiamo prendere atto che i due riconoscono, quantomeno, “i passi positivi che la nostra civiltà moderna ha compiuto nei campi della scienza, della tecnologia, della medicina, dell’industria e del benessere”. Sono però tutti ambiti che, a ben vedere, hanno scarsi legami con i diritti umani. La Santa Sede evita ancora oggi di firmare la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, e l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, giusto qualche settimana fa, ha dichiarato che la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, nonostante il nome che porta, è incompatibile con i diritti umani.

Il documento congiunto lamenta inoltre “un deterioramento dell’etica, che condiziona l’agire internazionale, e un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità”, che contribuirebbe “a diffondere una sensazione generale di frustrazione, di solitudine e di disperazione”. Chi siano i “frustrati, soli e disperati” non ci è però dato a sapere: i non credenti? I credenti? I leader dei credenti, quando sono messi a confronto con la secolarizzazione di tanti paesi, e scoprono che va di pari passo con la crescita della sensazione di felicità?

Sta di fatto che tale situazione, secondo il papa e l’imam, “conduce molti a cadere” non soltanto “nell’integralismo religioso, nell’estremismo e nel fondamentalismo cieco”, ma anche “nel vortice dell’estremismo ateo e agnostico”. E meno male che la dichiarazione, emessa “al fine di raggiungere una pace universale”, vorrebbe rappresentare anche “un invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti” – anche se questi ultimi non sono stati ovviamente coinvolti nella sua stesura. Ma chi saranno mai gli estremisti atei? E quelli agnostici? Provate a digitare su Google “estremismo agnostico”: vi restituirà soltanto il documento dei due religiosi. “Agnostico” è chi sospende il giudizio sull’esistenza di dio: può esistere una “vorticosa sospensione estrema”?

Forse siamo noi dell’Uaar, gli estremisti, visto che il direttore di Avvenire ci ritiene “sempre pronti a scagliare invettive e anatemi (laicissimi)”. L’Uaar come l’Isis? Del resto, papa e imam hanno anche evocato la “terza guerra mondiale a pezzi”. Purtroppo per il papa e per l’imam, atei e agnostici possono vantarsi del fatto che nessuna guerra è stata mai combattuta in nome dell’ateismo e dell’agnosticismo, a differenza del cristianesimo e dell’islam: anche perché è difficile mandare gli uomini a morire in battaglia senza prospettargli un paradiso.

Atei e agnostici possono inoltre ricordare loro che la Chiesa ha una lunga tradizione di vera e propria ateofobia (e anche l’islam non scherza affatto), e che ancora oggi i non credenti sono discriminati in quasi tutto il mondo. Anche negli Emirati Arabi, ovviamente, dove per l’apostasia è prevista la pena capitale. Che è soltanto la punta dell’iceberg, in un paese tra i più liberticidi del pianeta. I suoi petrodollari pompano ovunque il fondamentalismo musulmano: pensiamo, tanto per restare al caso più eclatante, al sostegno dato ai talebani.

E allora vien da pensare che la dichiarazione, definita “storica” da tanti organi d’informazione italiani, sia invece da considerare un patto, un’alleanza più o meno santa. È infatti molto simile a quella che il papa sottoscrisse tre anni fa con il patriarca di Mosca Kirill, in cui si denunciava “che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica”. Per il papa e il patriarca, chiedere di trattare i cristiani come qualunque altro cittadino, senza privilegi o discriminazioni, rappresenterebbe dunque “una discriminazione”.

Ma la laicità non interessa proprio, a papa Francesco. Non per niente, ha paragonato il ricorso all’aborto all’affitto di un sicario, al nazismo in guanti bianchi. Ha accostato la fantomatica “teoria gender” alla bomba atomica per impedire il riconoscimento di diritti ai gay, che “non riconoscono l’ordine del creato”. È in totale continuità con il suo predecessore: più passa il tempo, e più dovrebbe essere evidente a chiunque che le differenze sono prevalentemente d’immagine - anche se in tanti, specialmente a sinistra, ci sono cascati in pieno.

Dati alla mano, il vero estremista è proprio papa Francesco. È un antilaico impegnato a negare diritti umani a tutti coloro che non pensano o si comportano come lui. Ricordiamocelo, quando i politici o i mass media lo santificano. Perché non è da papi, imam e patriarchi che possiamo sperare di avere un’umanità realmente felice, libera, pacifica e fraterna. Possiamo fare enormemente meglio senza di loro.


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view post Posted on 29/3/2020, 11:20
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la serpe in seno al forumismo

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Un tipo sinistro

di FEDERICO TULLI



Davvero papa Francesco è un progressista?
Breve vademecum per i politici nostrani che non sanno resistere
alla tentazione quotidiana di esaltarlo e citarlo quotidianamente.
Infischiandosene della laicità e dei più elementari principi costituzionali


Nel 2000 Jorge Mario Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires, si unì al coro dei gerarchi della Chiesa che fecero pubblica penitenza per il sostegno garantito tra il 1976 e il 1983 dalla Conferenza episcopale argentina alla giunta civico-militare responsabile di almeno 30mila sparizioni forzate e di migliaia di altri crimini contro l’umanità. Omicidi, rapimenti, torture e furti di neonati compresi. Il gesto, forse un po’ tardivo, fu un’autoassoluzione dell’istituzione che chiedeva perdono per i preti che avevano “peccato” dando appoggio logistico e materiale oltre che spirituale ai carnefici della generazione scomparsa? Oppure fu un’ammissione di colpa? Sta di fatto che mai durante il regime l’allora capo dei gesuiti argentini, come del resto gran parte dei suoi colleghi di culto, aveva preso pubblicamente posizione contro le violenze di Stato perpetrate nei confronti di chiunque fosse anche solo stato sospettato di essere un “sovversivo”. Cosa che invece nel vicino Cile, per esempio, fece il cardinale di Santiago, Raúl Silva Henríquez, il quale dall’11 settembre 1973 in poi non smise mai di puntare il dito contro le politiche repressive del dittatore fascista Augusto Pinochet e dei suoi guardaspalle. Palesemente diverso rispetto al silenzio mantenuto durante la dittatura è stato l’atteggiamento di Bergoglio nei confronti delle istituzioni democratiche. Nel 2010 quando era capo della Conferenza episcopale argentina si scagliò senza esitare contro il Parlamento reo di aver introdotto nell’ordinamento il matrimonio gay. Definendo la legge frutto della «invidia del demonio» che «vuole distruggere il piano di Dio».

Con la stessa veemenza, fresco di nomina a capo della Chiesa argentina, si era schierato nel 2005 contro il ministro della Sanità del governo Kirchner, Ginés González García, perché aveva proposto la depenalizzazione dell’aborto. La negazione del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza per Bergoglio è un chiodo fisso. La libertà di scelta, l’autodeterminazione, la sessualità della donna nel suo pensiero non sono contemplate. In totale continuità con la misoginia dei suoi predecessori anche da pontefice egli relega la donna entro un recinto predefinito, annullandone l’identità. La donna è tale solo se vergine e madre. «Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, quella che aiuta a crescere la Chiesa» dice da pontefice sull’aereo di ritorno dal viaggio pastorale in Brasile il 28 luglio 2013. «Dio ha creato la donna perché tutti noi avessimo una madre» ribadisce a Santa Marta il 9 febbraio 2017. «Sentir dire che tre figli già sono troppi mi mette tristezza, perché tre figli per coppia sono il minimo necessario a mantenere stabile la popolazione» aveva detto sul volo di ritorno dalle Filippine il 19 gennaio 2015. Madri sì ma con moderazione, per non turbarlo. Tuttavia non si era affatto intristito quando, dieci anni prima, il capo dei cappellani militari argentini, monsignor Antonio Baseotto, affermò che González García, il ministro pro-aborto, avrebbe meritato che gli fosse messa una pietra al collo e fosse buttato in mare. La scelta di questa immagine presa in prestito dal Vangelo di Luca (17, 1-2), che richiama alla memoria i voli della morte e la tragedia che ha segnato il destino di migliaia di suoi connazionali e la vita dei loro familiari, deve aver profondamente colpito Jorge Mario Bergoglio. In positivo. Incurante dell’incidente diplomatico provocato da Baseotto con il governo argentino, e di tutto ciò che a livello emotivo può evocare una frase del genere nei confronti dei familiari di desaparecidos, il pontefice l’ha fatta sua otto anni dopo, l’11 novembre 2013. Durante un’omelia in Vaticano ha auspicato la macina al collo e la fine in mare per «i cristiani e i preti corrotti» dalle tangenti. L’attacco agli evasori suscitò la profonda ammirazione in Italia dell’intero arco costituzionale e della stampa tutta. E poco importa se tra le vittime dei famigerati voli della morte ci sono anche migliaia di nostri connazionali.

Aborto, donne, diritti umani. Già quanto detto fin qui basterebbe per non vedere mai accostate nella stessa frase “papa Francesco” e le parole “Sinistra” o “Rivoluzione”. Tanto più in un momento storico culturale come quello attuale in cui la donna è al centro di un’offensiva violenta senza tregua. Gli omicidi, le percosse, lo stalking, innumerevoli stupri sono all’ordine del giorno. La negazione e l’annullamento dell’identità femminile spesso porta a un tentativo di coercizione e di annientamento fisico che si oppongono sia al processo di emancipazione cioè al riconoscimento di una uguaglianza giuridica sia alla liberazione, vale a dire alla accettazione di una diversa soggettività della donna. Emancipazione e liberazione sono delicatissimi processi ancora in atto. Affinché siano portati a compimento occorrono fondamentali cambiamenti sul piano culturale e sociale di cui solo la Sinistra in quanto tale se ne può fare carico. Rifiutando in primis i fautori della mentalità patriarcale e religiosa che vogliono la donna inchiodata al ruolo di moglie e madre. Tra questi papa Bergoglio è la punta di diamante. Per essere certi di non lasciare adito a dubbi ricordiamo un altro paio di episodi. Il capo della Chiesa che il 2 febbraio 2014 dal balcone di piazza San Pietro ammoniva la platea affermando: «La vita va difesa dal grembo materno fino alla sua fine», è lo stesso sacerdote che ha militato nella Guardia de Hierro, il settore giovanile del peronismo di destra. La Guardia de Hierro nel 1976, il più cruento dei sette anni di dittatura, propose una laurea honoris causa all’ammiraglio Massera. Il titolo fu poi conferito al genocida della caserma Esma di Buenos Aires, il 25 novembre 1977, dall’Università del Salvador (Usal), della cui amministrazione faceva parte il futuro pontefice. E ancora, a proposito di cappellani militari giova ricordare la vicenda di monsignor Christian Federico von Wernich, l’ex cappellano della polizia di Buenos Aires soprannominato “il prete del diavolo”. Costui sconta l’ergastolo dall’ottobre del 2007 perché il tribunale federale di La Plata lo ha riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità per aver partecipato a 6 omicidi, 31 casi di tortura e 42 sequestri. Di fronte ai familiari delle vittime, dei sopravvissuti e ai giudici, il monsignore si è sempre dichiarato innocente, privo di colpe. Nel senso che lui non aveva mai fatto nulla di male. Commentando la sentenza, nel sottolineare «il dolore che ci provoca la partecipazione di un sacerdote in delitti gravissimi», il cardinale Bergoglio si limitò a sottolineare la necessità di una «riconciliazione», rilevando inoltre che l’Argentina doveva allontanarsi «sia dall’impunità sia dall’odio e dal rancore».

Come dire, “scordiamoci il passato”. Una indulgenza che vale per un sadico torturatore omicida, e vale ancora oggi poiché von Wernich non risulta né pentito né dimesso dallo stato clericale, ma non per una donna che se decide di interrompere una gravidanza esercita un diritto, tutela la propria salute psicofisica e non uccide nessuno (perché il feto è un feto e chi non è nato non può morire). «Assoluzione dal peccato di aborto solo se c’è pentimento» ha ribadito papa Francesco a novembre 2016 in vista del Giubileo straordinario. Con questo interessante curriculum in tasca, niente affatto ignoto e davvero difficile da annoverare a “sinistra” e nel pantheon della laicità, il 13 marzo 2013 Jorge Mario Bergoglio appena nominato papa si è affacciato al famoso balconcino e ha detto «buonasera». Suscitando immediatamente entusiasmi e ottenendo un’apertura di credito incondizionata. L’elenco di genuflessioni parlamentari ed extraparlamentari a sinistra è lunghissimo. Basti in questa sede pensare al recente discorso davanti ai sindacalisti della Cisl durante il quale papa Francesco ha lanciato i suoi anatemi contro «le pensioni d’oro» perché sono «un’offesa al lavoro». Siamo tutti d’accordo che certi assegni mensili siano indecenti ma non un sopracciglio si è alzato per far notare a Bergoglio che lo Stato italiano elargisce queste pensioni sulla base di leggi italiane. Lui che c’entra? Tanto meno – da destra a sinistra, passando per i sindacati – c’è stato qualcuno che abbia avuto l’ardire di ricordare che sempre lo Stato italiano paga profumate pensioni, per dirne una, ai cappellani militari che rispondono agli ordini dei gerarchi vaticani. Anzi.

A fronte di un (imbarazzante) silenzio tombale sull’ingerenza di un capo di Stato straniero negli affari italiani è via via montata una (altrettanto imbarazzante) marea di osanna dei media e degli opinionisti per la “sensibilità” del pontefice verso i lavoratori sotto pagati. È questa la reazione da quando il gesuita argentino ha pronunciato il fatidico «buonasera» di quattro anni fa. Una reazione che non tiene mai conto dell’inapplicabilità di una visione laica – che parta cioè dal rispetto dei diritti inalienabili della persona e dal pensiero che siamo tutti esseri umani dalla nascita – a un’organizzazione come quella della Chiesa cattolica che per sua natura e cultura si oppone a questi stessi princìpi. Davvero occorre ricordare ai fan progressisti di papa Francesco che costui oltre a essere il capo di una religione monoteista che crede nel peccato originale e nell’esistenza del diavolo, è un monarca assoluto a cui tutti i suoi sudditi devono obbedienza e che detiene i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sulla base di una elezione decisa da una casta di circa 200 persone, tutti uomini? Cosa c’è di sinistra in questo? E di laico? C’è per caso qualcosa di laico e di sinistra cui ispirarsi, nella consueta linea politica di marca gesuita, che consiste nel rimproverare gli sfruttatori e al tempo stesso predicare mansuetudine presso gli sfruttati, egregiamente sintetizzata da papa Francesco nel discorso pronunciato il 4 febbraio 2017 durante un incontro con il movimento dei Focolari? Nel mondo ideale di papa Francesco i ricchi rimangono ricchi e i poveri rimangono poveri. “I poveri vanno accompagnati”. Nulla viene detto o fatto per toglierli dalla condizione di povertà. È questa la nuova idea di uguaglianza a sinistra? Bergoglio lo ha detto chiaramente, basta leggere questa frase. «Il “no” ad un’economia che uccide diventi un “sì” ad una economia che fa vivere, perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare comunione». Quell’“economia che include i poveri” sta lì a dire che la realtà sociale di queste persone è per il papa immodificabile. Siamo ben lontani da un’economia che produce reddito e redistribuisce equamente ricchezza rimuovendo «gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Così c’è scritto nel secondo comma dell’articolo 3 della nostra laica Costituzione. Per ridare slancio alla sinistra queste parole non sono assai più utili di quelle del gesuita papa Francesco? Domanda pleonastica.

Torniamo infine alla stretta attualità e al modo in cui il papa sta conducendo la sua presunta battaglia contro la pedofilia nel clero. Cosa c’è di laico e di umano nel considerare un delitto contro la morale, cioè un’offesa a Dio, lo stupro di un bimbo di tre anni da parte di un adulto cinquantenne? E sempre a proposito di superamento delle disuguaglianze, è forse laica e di sinistra la frase pronunciata da papa Bergoglio l’8 gennaio 2014? «Un bambino battezzato non è lo stesso che un bambino non battezzato» disse nell’udienza generale a Santa Marta. Queste parole possono essere declinate in diversi modi, basti citarne uno per tutti: un bambino battezzato non è lo stesso che un bambino ebreo. Di fondo c’è l’idea non proprio laica e di sinistra secondo cui l’identità umana è data dal battesimo. Se il battesimo non c’è, non ci sono nemmeno l’identità e l’uguaglianza tra esseri umani. La pretesa che i vari Bertinotti, Pisapia, Renzi, Fassina e tanti altri, hanno di indicarlo come guida morale della nostra società si scontra con questa visione della natura umana che distingue le persone cattoliche da quelle che non lo sono. È una visione figlia di una cultura che attraversa fino a oggi la storia millenaria poco edificante dell’istituzione che papa Francesco rappresenta, segnata da intolleranze verso le altre religioni monoteiste, da inaudite violenze contro le donne e gli eretici e dagli abusi psicologici e fisici su minori affidati alla sua cura.

A proposito della pedofilia, si diceva, senza dover andare troppo lontano nel tempo ecco uno dei passaggi più significativi del durissimo atto di accusa delle Nazioni Unite contro la Santa Sede per la sua ambiguità nella gestione della pedofilia clericale, elaborato nel 2014 in virtù della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia: «La Commissione è fortemente preoccupata perché la Santa Sede non ha riconosciuto la portata dei crimini commessi, né ha preso le misure necessarie per affrontare i casi di abuso sessuale e per proteggere i bambini, e perché ha adottato politiche e normative che hanno favorito la prosecuzione degli abusi e l’impunità dei responsabili».

La Convenzione cui la Santa Sede aderisce, prevede come clausola ineludibile per i firmatari l’obbligo di adottare ogni misura possibile per tutelare i diritti fondamentali dei minori e per proteggere la loro crescita da qualsiasi situazione a rischio. Secondo il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia, l’essenza della Convenzione è stata ripetutamente e palesemente violata dal Vaticano, come si evince dal rapporto pubblicato il 5 febbraio 2014 al termine di una capillare inchiesta avviata a luglio del 2013. Pur senza citarli, l’Onu ha puntato quindi il dito contro gli ultimi tre capi della Chiesa: Francesco I, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Il riferimento alle carenze normative non è casuale ed è tuttora valido. Già perché l’acclamatissimo inasprimento delle norme penali attuato da Francesco a cosa può davvero servire se per i “peccatori” la pena consiste nel dover recitare più avemmarie in un convento? Finché in Vaticano si continuerà a considerare le violenze sui bambini un peccato e non un reato, cioè un crimine contro la persona, la “tolleranza zero” contro la pedofilia ecclesiastica che tante volte abbiamo sentito invocare prima da Benedetto XVI e poi da Bergoglio sarà un annuncio fine a sé stesso. Buono solo per convincere parte dell’opinione pubblica che qualcosa effettivamente stia cambiando dopo decenni di complicità con migliaia di pedofili e impegni in serie non mantenuti. È questa la chiave per comprendere come mai papa Francesco abbia prima deciso di affidare a monsignor George Pell la guida del superministero dell’Economia, rimanendo sordo agli avvertimenti ricevuti ovunque, e poi lo abbia lasciato andare quando ormai era diventato indifendibile agli occhi dell’opinione pubblica. In cima ai pensieri di un papa c’è sempre la tutela dell’istituzione. L’obiettivo primario è quello di sostenerne l’immagine e il buon nome. Sempre. Le persone non contano. “Vatican first”, possiamo dire parafrasando Trump. Prima c’è la Chiesa, poi, se c’è tempo e spazio ci si può occupare delle persone (se sono battezzate). Ma anche qui c’è una gerarchia. In cima ai pensieri del papa non ci sono le vittime dei preti pedofili che da 40 anni in Australia attendono giustizia, ma il monsignore chiacchierato cui ha concesso l’aspettativa per andarsi a difendere di persona in Patria. Affinché tenga l’ormai ingombrante ombra lontana dalla Santa Sede. E se ancora siete perplessi, badate bene che lo ha rifatto. Consegnando le chiavi della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf), l’organismo della Santa Sede presso cui sono accentrati i processi più gravi per pedofilia, all’arcivescovo gesuita Luis Francisco Ladaria Ferrer. E cosa c’è nel palmares di questo monsignore? Nel 2012 quando era segretario della Cdf mise la sua firma insieme all’allora prefetto Levada sulla sentenza di condanna di un prete pedofilo nella quale si intimava di non rendere pubblica la notizia. E che fine fece questo signore? Scontata la penitenza, con il suo bell’abito talare decise di diventare allenatore di una squadra di calcio giovanile. All’insaputa della condanna, tante famiglie gli affidarono i loro bambini. Nel 2015 è stato arrestato, questa volta dalla polizia italiana. Stando alle accuse ne ha violentati almeno dieci. E però Jorge Mario Bergoglio è un rivoluzionario, lava i piedi ai carcerati e ha detto «buonasera».

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view post Posted on 17/3/2023, 13:09
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La costruzione della star ‘Francesco’

A 10 anni dalla nomina di Papa Francesco ripercorriamo le ragioni del suo successo,
frutto di una perfetta operazione di marketing, con un articolo tratto da MicroMega 4/2018


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Quali elementi hanno fatto sì che un semisconosciuto vescovo sudamericano
si trasformasse in una popstar mondiale venerata e intoccabile?
Sono almeno quattro gli attori che hanno concorso a questo risultato:
i vertici della Chiesa che, leggendo i segni dei tempi, hanno scelto un pontefice ‘populista’;
la stampa, che del papa argentino ha esaltato a dismisura fin dal primo giorno ogni parola, ogni gesto, ogni azione;
i cattolici progressisti, sempre speranzosi che il Concilio Vaticano II sia finalmente applicato;
e infine quella sinistra politica e sociale che in questi anni si è più volte genuflessa dinanzi al gesuita argentino.
A questi va aggiunto un quinto attore: la destra tradizionalista, la cui demonizzazione dell’operato del papa
non fa che ingigantire gli effetti di un pontificato in realtà contrassegnato dall’immobilismo.


In La Chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata (Laterza, 2018) ho analizzato nel dettaglio le azioni e le decisioni del Bergoglio pontefice, giungendo alla conclusione che il suo pontificato è, da ogni punto di vista, tutto fuorché rivoluzionario: la Chiesa cattolica rimane perfettamente immobile, dando però l’impressione di aver avviato un clamoroso cambiamento. Nel libro, analizzo molte delle ragioni per le quali le riforme non si sono fatte e non si faranno probabilmente mai e insieme descrivo le ambiguità e le «doppiezze» delle scelte e dei gesti di Bergoglio. Nelle pagine che seguono, messi in secondo piano i comportamenti del papa, illustrerò il complesso meccanismo politico-culturale-mediatico che ha prodotto il «miracolo di Francesco», ovvero la trasformazione di un semisconosciuto vescovo sudamericano in una popstar mondiale venerata e intoccabile. Farò riferimento soprattutto alla situazione italiana, ma molti degli elementi che menzionerò valgono anche per altri paesi. Si può dire che il prodigio di Francesco sia un’operazione vincente intestabile ad almeno quattro autori (oltre allo stesso pontefice, si intende).

1) Il primo di questi è la dirigenza cattolica romana, la cupola dell’istituzione.

Eleggendo Francesco al vertice dell’organizzazione, nel 2013 (ma qualcuno di loro ci aveva già provato nel 2005), i gerarchi che guidano la Chiesa cattolica hanno mostrato, ancora una volta (come già fu con Wojtyła), la loro straordinaria capacità di leggere «i segni dei tempi» e di avere a cuore il bene dell’istituzione (e il loro personale), al punto da individuare un leader capace di diventare fulmineamente una star di immenso successo. I membri del Conclave conoscevano alla perfezione la personalità, le virtù e le capacità di Jorge Mario Bergoglio e dunque potevano immaginare meglio di chiunque altro gli effetti benefici, in un tempo come il nostro, di un pontefice «populista», che va in giro con le scarpe malandate, che si porta da solo la vecchia borsa, che paga il conto dell’albergo al termine del Conclave, che fa la fila in mensa col vassoio in mano, che arriva a un incontro internazionale importante con i fogli del discorso in mano e poi li getta via quasi subito per parlare a braccio, che riesce naturalmente «simpatico» anche grazie alla passione per le battute e al linguaggio semplice e totalmente privo di sottili astrattezze. Francesco è un leader certamente poco o nulla appassionato alle dispute teologiche e però sensibilissimo a fiutare, per usare una sua espressione, «l’odore delle pecore», ovvero i sentimenti delle masse, e pronto ad assecondarli demagogicamente, soprattutto quando non implicano alcuna responsabilità concreta per la Chiesa, come nel caso dei genericissimi discorsi morali o di quelli sulla povertà, l’immigrazione, l’ecologia e in generale i temi politico-sociali.

Designando Bergoglio al soglio di Pietro, i gerarchi cattolici hanno insomma mostrato di saper sfruttare al meglio tutti i vantaggi che derivano dalla peculiare forma di governo che caratterizza la Chiesa cattolica: la monarchia elettiva. Il fatto che la scelta del principe sia delegata a un piccolo gruppo di anziani gerarchi e non all’intero «popolo di Dio» limita al minimo la possibilità che vengano compiute scelte controproducenti per la continuità e la stabilità della vita dell’istituzione e degli interessi che a essa sono associati.

Le cospirazioni e gli intrighi dei quali parlano gli organi di informazione sono frutto della fantasia di alcuni giornalisti o sono alimentati dagli stessi uomini di curia per distrarre l’opinione pubblica dai contenuti reali delle decisioni prese in Vaticano. Non c’è nemmeno uno straccio di evidenza empirica che attesti l’esistenza, tra i massimi dirigenti della Chiesa, di una insoddisfazione «politica» per l’operato del papa. L’opposizione a Francesco è in realtà limitata a pochissimi cardinali, i sottoscrittori della famosa lettera coi dubia sull’Amoris laetitia (due dei quali già deceduti e uno pensionato quasi novantenne) 1. I «lupi», cioè i nemici di Francesco, sono solo costoro e il loro sparuto seguito. Ci saranno poi certamente, tra la schiera dei gerarchi, altre persone insoddisfatte dell’operato del pontefice, vuoi perché escluse dal suo «cerchio magico», vuoi perché politicamente emarginate o anche solo insoddisfatte di questa o di quella nomina, di questo o di quell’atto di governo. In tutte le organizzazioni del mondo il capo fa venire il mal di pancia a qualche sottoposto o a qualche cordata di potere, ma la politica e l’ideologia non c’entrano niente.

A conti fatti, il costo principale che molti alti funzionari cattolici sono chiamati a pagare in ragione dello stile e delle scelte comunicative di Francesco è la rinuncia, in omaggio al populismo pauperista del capo, a qualche orpello estetico, a un paio di belle scarpe o a una veste sontuosa da indossare in una cerimonia solenne, insieme al dovere di menzionare un po’ di più del solito nei sermoni domenicali e nelle altre occasioni pubbliche, sempre facendo il verso al leader, poveri e ultimi, sfigati e rifugiati.

Credo che in definitiva il bilancio che questo gruppo sociale può tracciare di Francesco non possa che essere ampiamente positivo: a cinque anni dalla sua elezione, il capo del cattolicesimo è più popolare che mai, il suo successo dà lustro e smalto a tutta l’organizzazione e della balzana idea di riformare la Chiesa evocata da molti ai tempi di Ratzinger, non parla più nessuno. All’opinione pubblica, laica e cattolica, la novità Bergoglio basta e avanza.

2) La stampa in adorazione

Il secondo autore del «miracolo di Francesco» è il sistema dei media. Sempre alla disperata ricerca di «celebrità», gli organi di informazione hanno trovato in Bergoglio un personaggio fresco, nuovo, inedito: un leader mondiale che, per la prima volta, viene «quasi dalla fine del mondo», amabile ed estroverso, con la spiccata attitudine a inventare metafore, a giocare con le parole, a coniare espressioni originali. La stragrande maggioranza dei media ha proceduto, già da quel 13 marzo 2013 e da quel «buonasera» pronunciato dal balcone di San Pietro, a «beatificare» il papa argentino, esaltandone a dismisura ogni parola, ogni gesto, ogni azione o decisione, compresi i più insignificanti.

La beatificazione da parte dei media si è avvalsa del consolidato escamotage di considerare il papa come sinonimo perfetto della Chiesa, come suo equivalente. Ai giornali e alle tv quello che succede dentro la Chiesa non interessa né poco né punto: gli scandali legati alla pedofilia del clero, la condanna degli anticoncezionali e dei gay, l’emarginazione delle donne o l’arrivo di centinaia di preti dal Terzo Mondo che prendono il posto dei giovani italiani che disertano in massa i seminari sono eventi che non fanno abbastanza notizia, interessano probabilmente poco a una popolazione in larga misura secolarizzata e che non mette mai piede in chiesa e poi sono espressione di fenomeni che andrebbero indagati e documentati sul campo, alzandosi dalla scrivania o abbandonando la propria postazione nella sala stampa vaticana. Troppa fatica. Per moltissimi giornalisti che seguono le cose cattoliche e per quasi tutte le redazioni dei giornali e delle tv è molto più semplice concentrarsi sul papa, raccontare con estrema dovizia tutti i particolari delle sue giornate, proporre un’esegesi dietrologica di ogni suo intervento, fantasticare su veri o presunti intrighi di corte che si svolgono nei palazzi romani, trasformare la vita di un’istituzione complessa come la Chiesa nella puntata di una fantastica soap opera: i buoni contro i cattivi, il nuovo papa sincero e coraggioso contro il papa emerito infido e subdolo, Francesco come il sovrano buono che ama tanto il popolo e che lo sommergerebbe di amore e di ricchezze se solo non fosse circondato da uno stuolo non meglio identificato di cortigiani corrotti e perversi.

Ogni sillaba pronunciata dal papa argentino diventa istantaneamente, grazie alla grancassa mediatica, azione, riforma, cambiamento, rivoluzione. Così, per citare solo l’esempio più noto, se il papa in aereo dice «chi sono io per giudicare un omosessuale?» questa per i media non è una frase estemporanea peraltro ricavata (come dichiarato più volte dallo stesso Francesco) dal Catechismo della Chiesa Cattolica, ma il segno inequivocabile che il papa vorrebbe che la sua organizzazione concedesse piena cittadinanza anche a gay e lesbiche.

Per beatificare il papa, la stampa ha bisogno naturalmente non solo di esaltare alcune notizie, ma anche di sottacerne altre. Ad esempio, è chiaro che se si vuole accreditare l’immagine di un papa misericordioso che svuota gli inferi conviene non parlare troppo dell’esortazione apostolica Gaudete et exultate dedicata, tra gli altri argomenti, al tema del demonio e di Satana, così come per corroborare la leggenda del papa progressista non bisogna insistere sul fatto che ha autorizzato, tramite il suo inviato speciale, l’arcivescovo di Varsavia Hoser, il culto nel santuario di Medjugorje, riconoscendo così implicitamente l’autenticità delle apparizioni, o visitato in pompa magna il santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Ancora, per far passare il papa come un implacabile persecutore dei pedofili dentro la Chiesa bisogna ridimensionare la terribile gaffe compiuta durante il viaggio in Cile (quando ha espresso, in modo assai netto, la sua solidarietà a un vescovo accusato di aver protetto alcuni preti pedofili) o riportare solo brevemente la notizia delle clamorose e polemiche dimissioni di Marie Collins (da bambina vittima di un prete abusatore) da componente della Pontificia commissione che dovrebbe combattere la diffusione della pedofilia nel clero 2. E così via. Per avvalorare l’immagine di un papa moderno e di sinistra bisogna stendere un velo di silenzio sulle sue posizioni sulla fantomatica «teoria gender» e sulle finalità intrinseche della sessualità; sull’omosessualità bisogna enfatizzare l’importanza della già citata battuta fatta in aereo, ma trascurare, tra i tantissimi brani simili, questi passaggi dell’esortazione apostolica Amoris laetitia [172 e 251] nei quali si legge che «ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa. […] Non si tratta solo dell’amore del padre e della madre presi separatamente, ma anche dell’amore tra di loro, percepito come fonte della propria esistenza, come nido che accoglie e come fondamento della famiglia. Diversamente, il figlio sembra ridursi a un possesso capriccioso. […] Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia; ed è inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso». Infine, per amplificare l’immagine del leader riformatore è necessario dare l’enorme spazio che è stato dato alla creazione della Commissione cardinalizia per la riforma della curia, ma non menzionare mai il fatto che, ad anni di distanza dal suo insediamento, quella Commissione non ha prodotto un bel nulla. E, a dar credito a molte autorevoli indiscrezioni e ipotesi, nulla produrrà, se non una banale riorganizzazione amministrativa degli uffici vaticani.

Naturalmente, una parte (largamente minoritaria) della stampa (quella di destra) demonizza Bergoglio invece di santificarlo. In questo caso il segno dell’operazione è diverso, ma il dispositivo che ne sta alla base è il medesimo: l’enfatizzazione di alcuni gesti e decisioni di importanza trascurabile che esagerano una discontinuità in realtà inesistente e la rinuncia a un esame analitico, critico e razionale dell’operato di Francesco.

3) La cecità dei cattoprogressisti

Il terzo responsabile della miracolosa ascesa di Bergoglio nell’empireo delle popstar contemporanee è certamente la sinistra ecclesiale. I cattolici progressisti, al di là della loro consistenza numerica assoluta, annoverano nelle loro file molti intellettuali di vaglia e sono il naturale elemento di collegamento tra la Chiesa e la più ampia opinione pubblica laica e aconfessionale. Nel mezzo secolo seguito alla chiusura del Concilio Vaticano II, questa componente del cattolicesimo ha accumulato un’enorme mole di frustrazioni. Queste sono derivate essenzialmente dal fatto che alla chiusura del Concilio non è seguito lo smantellamento della struttura autoritaria tridentina e della tradizionale dottrina morale cattolica che l’approvazione di alcuni documenti conciliari aveva per la prima volta, dopo secoli di assoluto immobilismo, fatto intravedere. In altre parole, il Concilio, con tutte le sue promesse di rinnovamento, si è rivelato, nel medio periodo, una, pur clamorosa e solenne, parentesi nella storia dell’istituzione, nulla più di un «intermezzo riformista», i cui effetti sono stati immediatamente e drasticamente ridimensionati da tutti coloro che hanno guidato la Chiesa negli ultimi cinquant’anni, da Paolo VI in avanti. A questo depotenziamento del Concilio la sinistra cattolica non si è mai rassegnata. Ha continuato a pensare che, prima o poi, quel programma di riforme radicali che era stato ventilato nella prima metà degli anni Sessanta sarebbe riemerso in qualche forma, sarebbe stato ripreso e finalmente attuato.

La notizia dell’elezione dell’argentino Bergoglio – già rivale di Ratzinger nel precedente conclave – e quindi della sconfitta di Angelo Scola e degli altri ratzingeriani di stretta osservanza, ha fatto istantaneamente immaginare ai cattoprogressisti che fosse finalmente arrivato il tanto atteso «ritorno al Concilio».
I primi gesti, le prime dichiarazioni di Francesco, il documento programmatico Evangelii gaudium, la sua decisione di nominare una Commissione di cardinali per la riforma della curia romana hanno fatto pensare ai progressisti che uno di loro fosse diventato finalmente il capo della Chiesa.

A distanza di cinque anni da quei giorni la sinistra cattolica dovrebbe onestamente ammettere che il bilancio del papato è terribilmente deludente, che il papa argentino non ha mantenuto nemmeno una delle promesse iniziali: non ha riformato la curia, non ha aperto alle donne, non ha toccato il celibato né la morale familiare e sessuale. Francesco insomma non ha cambiato proprio nulla e la sinistra cattolica dovrebbe riconoscerlo e dichiararsi delusa e pentita di averlo sostenuto con tutto quell’acritico entusiasmo. Questo dovrebbe avvenire secondo logica, eppure non avviene e negli interventi degli intellettuali della sinistra cattolica non si trova alcuna traccia di pentimento, ma la consueta mielosa e adorante retorica filopapale. Perché? Come spiegare questo strano fenomeno? Una prima spiegazione, forse banale ma piuttosto plausibile, ci induce a costatare che i cattoprogressisti si sono spinti troppo avanti per poter fare retromarcia. Con quale coraggio potrebbero ancora pretendere di dir la loro persone che hanno preso una cantonata così gigantesca come quella che li ha portati a scambiare per uno scalmanato incendiario un tranquillo pompiere? E cosa ne sarebbe delle carriere di tutti costoro, dei posti che si sono guadagnati, grazie al culto della personalità di Francesco, nelle redazioni dei giornali, nelle case editrici, nelle parrocchie, nei circoli culturali e nei seminari di tutta Italia? Chi li inviterebbe più a dire quel che pensano?

Ma c’è qualcosa di più profondo della sola paura di perdere la faccia e la reputazione nello spiegare l’atteggiamento della sinistra cattolica. È qualcosa che ha che fare con la fede. Non tanto con la fede in Dio quanto in quella nell’organizzazione e nella sua capacità di rinnovarsi, ammodernandosi e democratizzandosi. E di farlo spontaneamente e dall’alto, senza nessuno strappo istituzionale, cioè per iniziativa del suo leader supremo, senza nessun sommovimento della periferia, senza nessuna particolare mobilitazione popolare, a partire dal semplice riconoscimento della necessità e dell’opportunità politica ed evangelica dei cambiamenti da apportare.

Si tratta, lo ripeto, di un atto di fede e alla fede è difficile contrapporre degli argomenti razionali. Certo è che, se osservata da un punto di vista più distaccato, questa prospettiva è viziata da alcuni macroscopici errori di fondo che qui mi limito a riassumere: a) l’idea che le grandi istituzioni burocratiche come la Chiesa cattolica cambino gradualmente, in modo incrementale, un passetto alla volta; b) la convinzione che la Chiesa cattolica si trovi in una situazione di difficoltà tale da rendere necessaria e urgente la sua riforma; c) l’opinione che l’inerzia conservatrice possa essere aggirata in assenza di qualche clamoroso trauma esterno. Detto in altri termini, io sono convinto che le riforme di struttura (quelle che sconvolgono i rapporti di potere dentro un’organizzazione) rappresentino, per le burocrazie ipertrofiche come la Chiesa, una strada buia, rischiosa e pericolosissima, da percorrere solo nel tragico caso in cui non se ne possa fare a meno. Come è avvenuto per l’Unione Sovietica negli anni Ottanta, costretta a riformarsi dalla drammatica situazione economica e poi, proprio in conseguenza delle riforme, dissoltasi come neve al sole. Al pari dei «comunisti riformatori», dei Dubček, dei Gorbačëv, delle Christa Wolf e di tanti altri intellettuali e dirigenti politici marxisti-leninisti, i cattolici progressisti non hanno compreso la natura del sistema di cui fanno parte e spereranno sino all’ultimo secondo della loro esistenza nella possibilità della sua umanizzazione e democratizzazione. Si rifiutano di accettare l’evidenza storica che, guardando al caso del comunismo cinese, mostra come nei sistemi autoritari sia più facile sostituire del tutto l’ideale originario che riformare l’organizzazione. Lì è sparito il socialismo, ma il partito è rimasto onnipotente.

I cattoprogressisti sono convinti che il sistema (cioè la Chiesa) sia fondamentalmente buono e migliorabile e che prima o poi la storia darà loro ragione, che le deviazioni e le corruzioni verranno eliminate e l’ideale originario di un cristianesimo semplice ed egualitario potrà finalmente trionfare nella sua adamantina e primitiva purezza. In questa cornice ideologica, ogni piccolo segno di cambiamento, anche quello che può apparire agli occhi di un profano il più insulso e irrilevante, assume una portata gigantesca, diventa, trasfigurato con gli occhi della speranza fideistica, il sassolino che innesterà la frana, l’inizio della fine del vecchio mondo.

Col cuore colmo di questa speranza e in attesa che l’epifania si compia, i progressisti cattolici finiscono naturalmente per legittimare completamente il presente e per sostenere, con uno zelo privo di parsimonia, l’azione di un papa riformatore solo a parole.

4) I ‘compagni’ folgorati da Francesco

Il quarto e ultimo autore del miracolo di Francesco è quell’ampia parte della sinistra politica e sociale che in questi anni si è più volte genuflessa dinanzi all’ex gesuita argentino. Anche in questo caso, come per la sinistra ecclesiale, al di là dell’esigua consistenza quantitativa, pesano la qualità intellettuale, la visibilità e il dato simbolico dell’essere stata a lungo un’irriducibile avversaria della Chiesa.

Più che i cattocomunisti di Franco Rodano ispiratori del berlingueriano compromesso storico, i papisti laici ricordano gli «atei devoti» di Ratzinger. Al pari di quel che, sul fronte opposto, Marcello Pera e soci facevano con il papa tedesco, costoro, rimanendo i miscredenti di sempre, selezionano del messaggio papale quel che loro garba e su quello costruiscono le ragioni della loro richiesta di arruolamento come truppe di complemento dell’esercito cattolico. In un modo analogo agli intellettuali conservatori atei sedotti dalla capacità dei leader cattolici di parlare al popolo, i comunisti devoti sono signore e signori borghesi che delle periferie sociali e culturali del nostro paese non conoscono nemmeno la collocazione fisica, non sanno nemmeno dove siano sulle mappe. Per questo, l’immenso successo popolare di Francesco, la sua capacità di attirare il favore delle masse, li incanta al punto di pensare, aggregandosi al suo carro, di poter ricavare qualche frutto da mettere in cascina. Oltre a questo c’è un pizzico di invidia per la sorprendente tenuta organizzativa che la Chiesa cattolica ha saputo mostrare, per l’abilità di cui essa ha dato prova nel tenere in piedi, malgrado la secolarizzazione, apparati organizzativi, rigide gerarchie, rituali e simboli, che a sinistra si sono da tempo completamente liquefatti.

Quel che va detto è che a giustificare la genuflessione verso Bergoglio degli atei devoti di sinistra non c’è nessun reale cambiamento della dottrina sociale della Chiesa, sostanzialmente identica da un secolo e mezzo a questa parte, dai tempi della Rerum novarum. Quel che una parte dei «compagni» folgorati da Francesco non comprende, o finge di non comprendere, è che la Chiesa le cose che oggi Francesco dice sui poveri, gli immigrati, le guerre e il capitalismo le ha sempre affermate. Certo oggi le ribadisce con un’enfasi diversa, sia perché una parte del mondo occidentale è più disponibile a prestarvi attenzione a causa della fase di difficoltà economiche e politiche che sta attraversando, sia, e soprattutto, perché si è finalmente (per la Chiesa) tolto di mezzo quello che è stato il suo grande avversario storico nel «secolo breve», e cioè il comunismo. È proprio la scomparsa del comunismo ad aver determinato, a partire dai primi anni Novanta e dall’enciclica Centesimus annus di Wojtyła (1991), un rilancio della critica cattolica agli eccessi del capitalismo; un biasimo che però non si traduce certo in un sistematico sostegno alle forze di sinistra o in un incoraggiamento alla lotta di classe e men che mai in una qualche forma di simpatia per il socialismo. La limitazione degli eccessi del capitalismo e il miglioramento delle condizioni sociali devono essere la conseguenza, all’interno del tradizionale approccio interclassista e consensuale della dottrina sociale della Chiesa fatto proprio da papa Francesco, di una «conversione spirituale» delle élite economiche e politiche mondiali che conduca i ricchi e i potenti a scoprire le ragioni della solidarietà e dell’altruismo. Aspettando che questo prodigio si produca, la Chiesa nel mondo tutela soprattutto i suoi interessi e non esita a venire a patti, soprattutto nei paesi più poveri e qualora ragioni di Realpolitik lo richiedano, con dittatori di ogni sorta.

In altre parole, la predicazione sociale e politica cattolica è soprattutto un esercizio di raffinata retorica, tanto più che i prelati di ogni grado (incluso il papa) non hanno responsabilità dirette di governo e quindi non verranno mai chiamati a rispondere di quello che fanno per davvero, sul piano politico, a vantaggio di poveri, diseredati e fuggiaschi. In altri termini, a differenza di quel che resta del comunismo devoto nostrano ridotto a poco più di un club di animazione culturale, la Chiesa ha degli enormi interessi materiali e politici che costituiscono, una volta sceso dal pulpito e messi da parte gli appelli alla conversione delle anime, il vero centro degli interessi e dell’azione del pontefice. Ma i comunisti devoti di questo sembrano non accorgersi. Così come non si accorgono che il papa ricevendo per esempio in Vaticano i «movimenti popolari» abbia riservato loro un’attenzione pari a quella che dedica a tutti gli altri suoi interlocutori, di destra e di sinistra 3. Francesco è il papa che ha di fatto riportato l’estrema destra tradizionalista lefebvriana dentro la Chiesa, colui che fatto traslare la salma di Padre Pio a Roma durante l’Anno Santo. Francesco è il papa che ha lodato Lutero e al tempo stesso quello che ha siglato con Kirill, il patriarca russo amico di Putin, un documento omofobo e reazionario 4. Francesco è un papa dialogante ed ecumenico, perché l’élite che guida la Chiesa e il suo capo in questo momento non hanno veri nemici né interni né esterni e riescono a difendere meglio i loro interessi promuovendo l’amicizia e la riconciliazione universali.

Peraltro va anche detto che l’irenismo e la «politica dell’amicizia» bergogliane non annullano in alcun modo il nucleo profondo dell’ideologia cattolica e non cancellano quindi la tradizionale opposizione della Chiesa all’allargamento dei diritti civili, alla libertà sessuale e al controllo delle nascite. È vero infatti che papa Francesco dedica meno spazio rispetto ai predecessori ai «valori non negoziabili», ma è altrettanto indubitabile che essi non sono certo scomparsi né dalla dottrina né dalla predicazione sia del papa sia del clero cattolico, soprattutto nel Sud del mondo. Non mi risulta che la Chiesa abbia autorizzato in Africa (né altrove) l’uso del preservativo come strumento di lotta all’Aids e di controllo delle nascite, né che la stessa organizzazione abbia fatto mostra di un minimo cambiamento di posizione sul divorzio, l’aborto, e i diritti delle coppie omosessuali. E lo stesso Francesco ha ripreso più volte, anche in documenti ufficiali, compresa la tanto lodata Amoris laetitia, i temi dell’odiosa propaganda reazionaria sulla «teoria gender» in termini che a una coscienza laica dovrebbero risultare inaccettabili.

In definitiva, la sinistra atea in ginocchio dinanzi a Bergoglio porta solo acqua al mulino cattolico; ai gerarchi la cosa sta benissimo giacché coincide con una clamorosa vittoria storica e dimostra per intero l’ampiezza della resa (politica, intellettuale e umana) di coloro che sono stati, per tanto tempo, il loro incubo, il loro principale avversario.

Il trionfo di Bergoglio è il risultato dunque di un’opera corale, innescata da una scelta geniale delle gerarchie cattoliche e poi rinforzata dal lavoro congiunto di media e sinistra, politica ed ecclesiale. C’è in realtà un quinto autore rilevante, spesso evocato in queste pagine, ed è la destra tradizionalista. La sua demonizzazione del papato, la reazione allarmata ed esasperata a ogni gesto di Francesco, anche il più innocuo e insignificante, sortiscono l’effetto di ingigantire, nel male in questo caso, gli effetti di un papato in realtà contrassegnato dall’immobilismo e dalla conservazione.

Una volta chiarito il quadro attuale, il quesito rilevante per il futuro diventa questo: cosa succederà col prossimo papa? Cosa si inventerà la gerarchia cattolica per tentare di ripetere il miracolo dell’argentino o perlomeno per non disperdere gli enormi frutti in termini di popolarità che la sua stagione ha portato alla Chiesa?



1 Si fa riferimento ai quattro cardinali (Raymond Leo Burke, Joachim Meisner, Walter Brandmüller e Carlo Caffarra) che espressero al papa cinque dubbi a proposito dell’ortodossia del documento post-sinodale sulla famiglia Amoris laetitia (circa l’accesso dei divorziati risposati all’eucarestia), chiedendogli di fare chiarezza. Di fronte al silenzio del papa, il cardinal Burke giunse a ventilare una «correzione formale». Tutte le note sono redazionali.

2 Un’intervista a Marie Collins è pubblicata in questo stesso volume.

3 Ci si riferisce alle tre edizioni dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari, il percorso di dialogo attorno ai tre grandi temi della Terra, della casa e del lavoro costruito da papa Francesco con alcuni importanti leader sociali. Un processo avviato nel 2014 a Roma, proseguito nel 2015 a Santa Cruz de la Sierra, durante il viaggio del papa in Bolivia, per poi far nuovamente ritorno a Roma nel novembre del 2016.

4 Disponibile sul sito del Vaticano al seguente link: goo.gl/CZBJ5x.

www.micromega.net

 
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